Stiamo perdendo la guerra? Beh, intanto lasciatemi finire la partita …
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(Riccardo M.)
Una partita a scacchi non è mica una partita di calcetto o di pallamano. Mi perdonino gli appassionati di questi due sport, mi spiego subito meglio. Con gli scacchi ne va del prestigio, senza scusanti, di due ben identificate persone. Pertanto, se proprio devo perdere la guerra e quindi il potere, vincendo a scacchi salverò il prestigio. Il prestigio è infatti la vera ombra del potere, anche quando questo non c’è più.
Quanti uomini importanti non hanno dato troppo rilievo ad una situazione militare delicatissima perché avevano necessità di tempo per giocare o completare una partita a scacchi? Non ne conoscete neppure uno? Ricordiamone allora almeno due, da antichi aneddoti.
Muhammad Al Amin
Nell’anno 813 d.C. la città di Baghdad, capitale del califfato islamico, era sotto assedio durante la guerra fratricida tra il califfo Muhammad Al Amin (787-813 d.C.), sesto esponente della dinastia Abbaside e ventiquattresimo califfo islamico, e il fratellastro Abū Jaʿfar ʿAbd Allāh al-Maʾmūn. Quest’ultimo alla fine ebbe la meglio, vinse la guerra civile, o meglio la guerra fratricida, e divenne il settimo califfo della dinastia. Non so se il califfo sconfitto Al Amin avesse avuto delle chances di prevalere sullo spietato fratellastro, ma di certo non gli fu d’aiuto il suo ossessivo attaccamento alla scacchiera.
Si narra difatti che nel bel mezzo di uno degli assedi portati da Al-Mamun, il califfo si trovasse a giocare con il suo eunuco preferito una partita a scacchi particolarmente coinvolgente. Era ormai quasi arrivato alla posizione vincente e stava per sferrare l’attacco da matto, allorquando un messaggero trafelato arrivò per portargli un importante aggiornamento sulla situazione, di giorno in giorno più precaria, dell’assedio. Al Amin non volle ascoltarlo, doveva prima finire la sua partita! E la finì vittoriosamente. Non si sa se quella sia stata l’ultima partita e l’ultima vittoria dello sciagurato califfo, che dopo qualche settimana avrebbe perso la guerra e venne decapitato su ordine del potente generale Ṭāhir al-Husayn, il quale neppure volle attendere il parere di Al-Mamun. Era il 25 settembre dell’anno 813.
Carlo XII di Svezia
Spostiamo le lancette della storia esattamente 900 anni in avanti, quando l’impero di Svezia s’incontrava e si scontrava con i vicini di Polonia e Danimarca, e soprattutto con la Russia, che in quegli anni riuscì a prendere il posto proprio della Svezia come nazione guida del Nord Europa.
Carlo XII era riuscito persino a mettere l’una contro l’altra le potenze di Russia e Turchia quando si trovava, nel gennaio del 1713, a Bender, cittadina della Moldavia allora sotto dominazione ottomana.
Alla lunga la cosa non piacque ai turchi, ed un loro esercito di oltre diecimila fanti volle cacciarlo dal suo palazzo di Bender che lo ospitava. A difendere il re di Svezia c’erano soltanto alcune decine di fedeli servitori, ma lui non si preoccupò affatto: chiese di barricare portoni, porte e finestre, fece un giro di controllo nel palazzo ed invitò ad una partita a scacchi un suo ministro, tal Christian Albert Grothusen, che pare si sia avvicinato alla scacchiera piuttosto titubante.
Se volete saperne di più su questa storia, potete sfogliare all’indietro le pagine del nostro Blog, fino ad arrivare al post “Incontri in Bessarabia“.
Ma questi sono solo aneddoti, non sappiamo di preciso quanta verità nascondano e quale davvero possa essere il rapporto fra la guerra e gli scacchi, un gioco che (come disse qualcuno) è sostanzialmente “un gioco di guerra”. Ecco perché gli scacchi non moriranno mai, esattamente come da sempre esistono, purtroppo, le guerre, nell’ 813 come nel 1713 e come nel 2022.
Mi piace in proposito richiamare qui le parole dello scrittore Paolo Di Paolo apparse lo scorso 8 luglio su “La Repubblica”, in un articolo dal titolo “Giocare a scacchi con la guerra” e accompagnato da una significativa fotografia (Siverisk, Ucraina/5 luglio 2022/Foto di Narciso Contreras/Anadolu Agency):
“È una giornata estiva senza scuola, la luce è calda, le temperature massime vicine ai 35 gradi. La pigrizia, il tempo vuoto. Una ragazza ha tra le mani un accendino; l’altra, con gli occhiali sulla testa, guarda verso l’obiettivo, senza sorridere. Il fotografo cattura un istante sospeso, protetto, mentre le bombe continuano a cadere in quella zona.
La scacchiera sul tavolo funziona come una metafora involontaria, inattesa: la guerra, quando non è visibile, è solo una partita a scacchi… e quasi solo così sembra essere in grado di percepirla, l’Europa accaldata. Sembra illusa o convinta che ormai si tratti di un Risiko senza fragore e senza sangue, un’astrazione, un lento, estenuato calcolo”.
Scacchi o non, la sparizione delle guerre resta il più nobile (e il più difficile, forse impossibile) dei traguardi dell’umanità.