Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Gli scacchi di Giò Pomodoro e il traguardo del cielo

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Il set e la scacchiera sbagliata realizzati da Giò Pomodoro nel 1981 per Duplomatic (da www.chesslongo.com)

(Claudio Mori)
L’attestato è un quadrato nero con in cima il marchio di un’azienda, la Duplomatic. Vi si legge: Gioco del mondo di Giò Pomodoro – 1981. Realizzato in 120 esemplari più 10 prove d’autore. Esemplare 101. Alla base la firma dell’artista. Sembrerebbe tutto chiaro. Ma non è così.

L’interrogativo parte proprio da quel bollino posto sotto la scacchiera, come il frammento di una lettera perduta da cui tentare di ricostruire il racconto. Il racconto di un set di scacchi. I nomi dell’azienda e dell’autore, la data, dicono solo ciò che si ha davanti agli occhi. Perciò la ricerca delle origini del set diventa un gioco, e un semplice bollino distoglie dalla contemplazione estetica per imporre l’urgenza del calendario dei fatti.

Il libro di accompagnamento all’esposizione del set di Giò Pomodoro nel 1989 a Como e l’attestato di autenticità (da http://www.chesslongo.com)

Dovette rimanere sorpreso Giò Pomodoro (1930 – 2002) quando ricevette la telefonata dall’ufficio pubblicità di Angelo Girola, fondatore nel 1952 della Duplomatic, azienda per la produzione di copiatori oleodinamici con sede a Busto Arsizio, nel varesotto. In pratica la riproduzione in serie di pezzi ricavabili dal tornio. La bella storia di un’impresa lombarda partita con quattro dipendenti che nel 1980, Girola sessantenne, ne contava quattrocento con diverse filiali nel mondo e molta innovazione.

La Torretta portautensili verticale TRM-S Series della Duplomatic s.p.a.
[Fonte: https://www.directindustry.it/prod/duplomatic-automation/product-82617-759487.html%5D
L’evoluzione di quel copiatore oleodinamico fu una Torretta porta utensili da montare su torni a controllo numerico. Il trentennale di attività della Duplomatic era ormai prossimo e all’ufficio pubblicità venne l’idea di collegare quella Torretta a un oggetto di design, a una Torre degli scacchi realizzata da un grande artista, Giò Pomodoro. Ovviamente tutti i pezzi dovevano essere prodotti al tornio, tranne il Cavallo. Sarebbero poi stati inviati uno per volta, di settimana in settimana, ai più importanti costruttori mondiali di macchine utensili. Da ultimo la scacchiera.

Pomodoro conosceva bene gli artisti moderni. Ne era uno degli eredi. Accettò l’incarico, felice a cinquant’anni d’inserirsi in quell’immaginario scacchistico delle avanguardie, da Joseph Hartwig a Duchamp, da Man Ray a Baj. Anche se con gli scacchi non aveva affatto dimestichezza.

Il set e la scacchiera sbagliata realizzati da Giò Pomodoro nel 1981 per Duplomatic (da http://www.chesslongo.com)

Lo si vede da quella scacchiera mal posizionata, sbagliata ripetutamente prima nei suoi disegni, poi nella realizzazione, con la prima casa a destra nera anziché bianca. Ed evidentemente nemmeno in Duplomatic gli scacchi erano conosciuti. Né Girola ci aveva mai giocato.

Un vecchio errore che più di un artista ha perpetrato e che ha come indubitabile giustificazione che nemmeno nel medioevo quell’errore era ritenuto tale, come dimostra ad esempio la miniatura in quel codice Manesse del 1304 ca. dove Margravio Ottone IV di Brandeburgo gioca su una scacchiera assolutamente approssimativa. Del resto, prima ancora, le scacchiere non avevano caselle colorate. Solo linee parallele e perpendicolari. E dunque? Dunque si potrebbe pensare alla chiara volontà dell’artista pesarese di rompere le regole e di aprirsi a nuovi significati? No.

Pomodoro in un libretto che accompagna l’opera esposta a Como nel 1989 (Note minime su: “Il gioco del mondo”) si lascia letteralmente travolgere dalla fantasia dopo aver abbandonato i sicuri sentieri dell’enciclopedia Rizzoli – Larousse sull’origine del gioco. Si chiede infatti se “Alessandro il Macedone (356 – 323 a.e.v. ndr), in prossimità del Gange, al comando di un esercito in disfacimento, abbia a lungo riflettuto sul senso del gioco, giocando interminabili partite con i suoi generali affranti e ormai riottosi”. E ancora: “Ci resteranno ignoti anche quelli (scacchi, ndr) usati dai congiurati uccisori di Giulio Cesare (44 a.e.v. ndr), al culmine della sua potenza, la notte precedente la pubblica esecuzione”.

Immagini tanto seducenti quanto immaginifiche, da fare però storcere il naso agli studiosi, ormai concordi che la culla degli scacchi fu un’India pacifica del VII secolo e.v. quando solo le api litigavano nel raccogliere la rugiada e solo la scacchiera indicava la posizione delle armate (Bana, Harshacharita, 625 e.v.).

Che importa. Non aveva forse il buon domenicano Jacopo da Cessole attribuito nel suo Ludus scacchorum (metà XIII secolo) l’invenzione degli scacchi a tale Xerses, ai tempi del re caldeo Evil-merodach (c. 560 a.e.v.), per confutare la loro nascita durante i lunghi ozi nella guerra di Troia (c. 1250 a.e.v.)?

Nulla toglie a quanto Giò Pomodoro seppe creare. Alla magia dei suoi scacchi che attinge alla spiritualità più che alla storia, agli studi esoterici di René Guénon: “Il gioco degli scacchi è fra quelli in cui le tracce del carattere sacro originario sono rimaste più visibili”, nonostante “il processo di profanazione” che caratterizza la modernità.

Nacque così nel 1981 Il Gioco del Mondo, in acciaio inox e bronzo marino, i volumi inscritti in un cubo ideale di 6×6 cm. La corrispondenza di un microcosmo con il macrocosmo in una architettura rigidamente geometrica, armonica, dove la sfera indica la perfezione, il Re dentro il quale si inscrivono gli altri pezzi nella “divina proporzione” tra le misure dei lati di ciascun solido ed il raggio della sfera che li inscrive.

Ritratto di Luca Pacioli con un allievo, Pinacoteca museo nazionale Capodimonte (NA), attribuito a Jacopo de’ Barbari, 1495 circa

Ecco il riferimento a quell’Uomo leonardesco inserito nel cerchio, l’universo, e nel quadrato. A quei poliedri platonici in legno creati da Luca Pacioli che grazie alla scenografia di Leonardo ruotavano davanti agli occhi stupefatti degli invitati di Ludovico il Moro nella grande sala Verde del Castello Sforzesco di Milano. Era la Festa del Paradiso per celebrare le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza con Isabella d’Aragona, con la rappresentazione della volta celeste, dei sette pianeti del sistema solare e delle dodici costellazioni dello zodiaco in movimento. La musica di liuti, trombetti e pifferi allietava gli invitati, tra damaschi d’oro, d’argento e gioie, tra pomi d’ambra, corone di iris, aquilegie e garofani.

Giò Pomodoro, Re e Regina (da http://www.chesslongo.com)

Nella babilonia della scacchiera, che è il mondo, i pezzi riportano alle origini, a quelle forme geometriche primordiali rotonde, quadrate, triangolari, cilindriche che rappresentano la molteplicità in ogni linguaggio, nelle espressioni del design, dell’industria, dell’artigianato.

Pezzi luccicanti che riflettono i volti dei giocatori in sfaccettature diverse, come caleidoscopica è l’esistenza. Uno spazio aperto, infinito, nella finitezza delle 64 caselle, dove far nascere il gioco che si desidera con sovrana libertà. Nello stesso tempo un ordine eterno come il ruotare delle orbite o come quello duecentesco della società medievale descritto da Jacopo da Cessole: re, cavalieri, clero, popolo.

Traitez la nature par le cylindre, la sphère, le cône, le tout mis en perspective, que chaque côté d’un objet, d’un plan, se dirige vers un point central” (“Trattate la natura attraverso il cilindro, la sfera e il cono, tutto messo in prospettiva, in maniera che ogni lato di un oggetto, di un piano, si diriga verso un punto centrale”), scriveva in una lettera Cezanne a Emile Bernard il 15 aprile 1904.

È l’apertura dell’arte al cubismo, all’astrazione. È la fonte dei grandi artisti moderni e contemporanei, come Pomodoro, che rimettono in gioco il mondo e ne ridefiniscono il significato.

Giò Pomodoro: Alfiere e Cavallo (da http://www.chesslongo.com)

Quanto è grande il mondo? Forse quanto i confini che ciascuno riesce a darsi. O forse quanti destini ciascuno riesce a legare attorno al proprio nella partita truccata della vita, in un universo illuminato da tanti, infiniti soli.

Il mondo è grande come una scacchiera, un perimetro di libertà dove i pezzi sono le possibilità illimitate della fantasia, della vita. Sono disorientamenti infiniti che richiedono sempre nuovi racconti. Anarchiche divagazioni.

Giò Pomodoro: Torre e Pedone (da http://www.chesslongo.com)

Come ne Il Gioco del Mondo di Julio Cortàzar (Einaudi, 1969), dove l’ordine dei capitoli può essere assemblato a piacimento, creando sempre nuove linee narrative, come le linee orizzontali e verticali che creano la scacchiera. Sono vasto, contengo moltitudini, come scrisse il poeta americano Walt Whitman.

In Cortàzar il gioco è quello dei bimbi ai quali è permesso raggiungere il Traguardo del Cielo, sì il traguardo del cielo, la festa del paradiso, semplicemente gettando un sassolino in un rettangolo di sei caselle disegnato a terra e saltellando su una gamba. Uno! Due! E diventare nuvole.

Così gli scacchi di Giò Pomodoro sono i sassolini che si muovono nel cielo sempre mutevole della scacchiera perché sono il gioco del mondo, e il gioco del mondo “è il gioco della conoscenza, – scrive l’artista – la cui porta non può che rimanere aperta all’infinita schiera di nuovi nati”.

E anche l’illusione di un universo estetico, ordinato, ludico rispetto a un universo caotico e minaccioso.


 

Claudio Mori, giornalista

 

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