Aloyzas Kveinys (1962-2018)
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(Riccardo Del Dotto)
Per noi cresciuti almanaccando l’iride degli Informatori, consunti all’inverosimile nell’appendice di rating e cross table, l’incontro con i grandi nomi minori segnava il tridimensionale passaggio al reale. Abbiamo sempre attraversato le file dei magistrali con passo religiosamente misurato come fra le navate di una cattedrale, con la curiosa umiltà di chi fa provvista di ricordi nel bel mezzo di un museo in esposizione permanente.
Sempre più schivi e distanti dal mondo reale tuttavia custodiamo vecchie diapositive, chincaglierie di memorie impolverate, che nulla potranno mai aggiungere alle teorie di un gioco vivo che corre e si evolve alla velocità del silicio, ma che antepongono l’uomo alla partita, la storia al risultato, lo spirito alla materia.
Nel Paradiso delle Olimpiadi di Torino fu facile avvistare in sala analisi Aloyzas Kveinys, maglietta verde della Lituania XXXL, pronto a giganteggiare nella rivisitazione della partita appena vinta, dove il malcapitato avversario, un malconcio GM di cui tacciamo il nome, non riusciva a prenderne una, ogni tentativo di pur lodevole miglioramento del gioco si scornava con un secco diniego, una girandola di mosse di prestigio, che immancabilmente si concludeva col mesto ritorno alla posizione di passaggio dello sconfitto, mentre il campione baltico lo fulminava con uno sguardo, ma come vuoi ancora provare un’altra variante, per cui avanti, via, un’altra giostra di pezzi a scomparsa per ripresentarsi sempre al punto di partenza, con le pive nel sacco e quello sguardo sornione, di pasciuto gatto che sotto i baffi se la ride, ma come vuoi provare ancora un’altra variante?
Addio, GM Aloyzas Kveinys.
Un “grande” giocatore in tutti i sensi. Ogni tanto è venuto anche in Italia: per molti di noi sarebbe stato un onore potersi beccare una bella lezione da lui, pazienza.
Addio, le tue partite sono ancora vive.