Wilhelm Heinse
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(Riccardo M.)
Sapete chi era Heinse? No, non era l’allenatore di Uhlmann o di Hubner, no. E neppure di Anderssen o Lasker.
[Wilhelm Heinse in un dipinto di J.P.Eich, 1780]
Heinse era uno scrittore, l’autore, nel 1803, del primo romanzo con trama scacchistica di cui si abbia conoscenza. Insomma, quasi un precursore di Stefan Zweig o del nostro Maurensig, o ancora di Tevis, Nabokov, Brunner, Van Dine, Heinlein, Leiber eccetera.
Lo possiamo pertanto porre, in un ideale podio di letteratura scacchistica, quasi sullo stesso gradino di Abul-Abbas, il medico arabo che scrisse nell’anno 892 il primo manuale scacchistico di cui si abbia notizia.
E un pezzetto di quel podio ha un sapore deciso d’Italia, dal momento che Heinse si avvalse profondamente dei lavori e delle analisi dei maestri italiani, che lui aveva tradotto in tedesco, soprattutto Giambattista Lolli ma anche Ercole Del Rio. Ciò è una ulteriore conferma del fatto che gli autori e giocatori italiani erano i più noti in Europa nel Settecento, alla pari della Francia di A.D. Philidor, che pure fu un altro dei miti di Heinse.
“Anastasia e il gioco degli scacchi” è il titolo dell’opera di cui qui parliamo, in tedesco: “Anastasia und das Schachspiel”.
Wilhelm Heinse (o Heintze secondo alcuni, ma lui si firmava Heinse) fu uno scrittore e storico tedesco, nato da umile famiglia (erano sette fratelli) di religione protestante, a Langewiesen (Turingia) il 15.2.1746 e morto a Aschaffenburg il 22.6.1803, cioè appena pochi mesi dopo la pubblicazione del romanzo di cui trattiamo.
Heinse si laureò in giurisprudenza all’Università di Erfurt e all’inizio si guadagnò la vita come giornalista, aiutato da un mecenate (Johann W.L. Gleim), perfino scrivendo su una rivista femminile: “Iris”; intanto il padre era diventato sindaco di Langewiesen e lui collezionista di libri, italiani soprattutto. Nel 1773 tradusse il Satyricon di Petronio e con le sue idee anticlericali e liberali andò allontanandosi sempre di più dal protestantesimo.
Heinse era infatti innamorato dell’Italia e lo divenne ancor più dopo un lungo viaggio, per lo più a piedi, compiuto, grazie all’aiuto economico di alcuni amici (lo stesso Gleim e i fratelli letterati Johann e Friedrich Jacobi), fra il luglio 1780 e il settembre 1783.
Da Nizza scese lungo la costa tirrenica fino a Roma e al Golfo di Napoli. Roma gli ispirò il romanzo “Ardinghello e le isole felici”, esaltazione dell’arte e del Rinascimento italiano, pubblicato nel 1786. E così lui fece conoscere la città ai tedeschi trent’anni prima dei meravigliosi diari di viaggio di W. Goethe.
Scriveva su Roma parole appassionate:
“Nichts aber hat einen so starken Eindruck auf mich gemacht als Rom. Es war mir, als ob ich mich der eigentlichen Herrschungssphäre näherte. Die triumphierende Lage, ungeheuer lang und breit, um den wilden Tyberstrom herum, mit den gebietrischen Hügeln voll stolzer Palläste in babylonischen Gärten, und despotischer Tempel mit himmelhohen Kuppeln, an dem prächtigen Amphitheater der Gebürge von Frascati und Tivoli; die Brückengewölbe, Thürmenden Thore, flammenden Obelisken, bemoosten und mit Grün überzogenen Ruinen alter Herrlichkeit, und das kühle Rauschen von Schritt zu Schritt von tausend und aber tausend lebendigen Springbrunnen wie in den quellenreichen Alpen drinn, und manche männliche und weibliche antike Gestalt mit heißem Blick und warmen Gebehrden in Helden und Siegerinnengang auf den weiten Plätzen und in den unabsehlichen Straßen erweckten eine Wunderempfindung von einer neuen Natur in mir, die ich noch nicht gehabt hatte.”
A Roma Wilhelm Heinse aveva incontrato il pittore Friedrich Müller, che gli rese familiare la storia e l’arte della città, la Cappella Sistina e Michelangelo in particolare. Per Wilhelm, evidentemente, il mondo ruotava e progrediva intorno alla bellezza dell’arte e della natura, attraverso la loro luce. A Roma tradusse le opere del Tasso e dell’Ariosto.
Dopo il lungo soggiorno romano (circa venti mesi), si fermò anche a Firenze e poi a Venezia. Tornato in Germania, visse a Dusseldorf e poi a Mainz (Magonza), dove incontrò Goethe. E’ del 1784 un viaggio in Olanda. Nel 1792, quando Mainz fu occupata dall’esercito francese, lui fuggì ad Aschaffenburg, dove pubblicò (1795) il romanzo “Hildegard von Hohenthal” e dove fu bibliotecario fino al giorno della morte, causata da un ictus.
“Anastasia e il gioco degli scacchi” narra della storia romantica di Anastasia, la musa degli scacchi. Le sue vicende consentono all’autore di inserire le proprie riflessioni attraverso continui riferimenti agli aspetti storici, sociali, filosofici e culturali del gioco degli scacchi.
L’opera è suddivisa in tre parti: nella prima predominano gli appunti di viaggio, nella seconda egli riporta lunghi passaggi dai testi di Lolli e Del Rio, nella terza Heinse raccoglie in prevalenza studi e problemi. Insomma, forse non si tratta di un vero e proprio romanzo. L’opera ebbe nell’Ottocento una discreta notorietà, tanto è vero che Anastasia non è stata mai dimenticata ed ancor oggi è resa popolare dal cosiddetto “Matto di Anastasia”.
E’ rimasta, insomma, più famosa Anastasia che non il suo autore, dal momento che Heinse è, forse ingiustamente, quasi uno sconosciuto a confronto dei suoi due grandi contemporanei di Germania, ovvero Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller.
Forse ciò è anche dovuto al pensiero dell’autore, eccessivamente libero e libertario per quell’epoca. A partire dall’ “Artinghello”, il suo lavoro più noto, egli si schierò infatti decisamente per un edonismo appassionato e per il rifiuto di ogni convenzione, sia nell’arte sia nella vita. Tuttavia la sua opera ha ugualmente avuto una certa influenza su autori come il poeta Friedrich Hölderlin e su numerosi rappresentanti del Romanticismo tedesco.

Più probabilmente non esiste un vero e proprio “matto di Anastasia”, dal momento che nell’opera di Heinse sono riportate più posizioni e, come ad esempio è scritto sul Blog “Ajedrez de ataque“, si potrebbe attribuire la stessa dicitura ad una di queste altre due:


Ma credo che sia proprio il matto con torre e cavallo quello che più è stato identificato come tale, tanto è vero che così fu subito chiamato quello che nel 1852 il cecoslovacco Ernst Falkbeer rifilò al compositore suo conterraneo Konrad Bayer. Eccolo:

Concludendo, chi volesse aver certezza su quale sia fra questi (o altri ancora) il vero “matto di Anastasia” non ha che una scelta obbligata, quasi una mossa forzata: decidere di far visita (magari arrivandoci per lo più a piedi) allo stesso Wilhelm Heinse presso il Cimitero di Aschaffenburg (Altstadtfriedhof, Città Vecchia di Aschaffenburg, Alta Baviera, Germania), una piccola e graziosa cittadina che, per una curiosa ma non tanto casuale coincidenza, fu fondata proprio dai Romani intorno all’anno 20 a.C.

Buon viaggio.
P.S.: questo mio articolo ha avuto di recente (luglio 2019) il privilegio di essere inserito nello “Yearbook 2019“, la bella antologia annuale dell’ASIGC (Associazione Scacchistica Italiana Giocatori per Corrispondenza). Si ringrazia l’ASIGC, il suo Direttore Responsabile Adolivio Capece ed il Redattore Capo Maurizio Sampieri.