Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Mi chiamo Robert James Fischer, per gli amici “Bobby”

9 min read

(Riccardo M.)
“Mi chiamo Robert James Fischer; dilettanti ed amici mi chiamano anche Bobby. Sono un professionista. Una cosa seria. Non conosco altro; però quello che conosco lo sviscero profondamente.
Sono nato il 9 marzo del 1943 a Chicago. Sciocchi giornalisti scarabocchiano dappertutto che gli abitanti di Chicago sono in gran parte gangsters; non posso soffrire i giornali. Sono nato sotto il segno dei Pesci. Io sono un grande pesce …”

… Solo un momento, cari lettori! Non cadete in errore come è accaduto a me quando qualcuno mi lesse queste righe! Queste non escono dalla penna di un fantasioso “Asimov degli scacchi” e neppure dalla immaginazione di uno dei milioni di fans di Fischer. Queste righe rappresentano un documento, un documento ormai alquanto raro e in possesso di pochi, fino ad oggi difficilmente reperibile “in rete”, ma che forse alcuni di voi già conoscono.

Lo conoscono coloro che possiedono il numero 793 del mensile “L’Italia Scacchistica”, novembre 1971. L’americano aveva quell’anno battuto con i noti punteggi tennistici di 6-0 e 6-0 il sovietico Mark Taimanov e il danese Bent Larsen, e si stava preparando per l’incontro di Finale dei matches fra Candidati, quello con l’ex campione del mondo Tigran Petrosian, match dal quale doveva scaturire lo sfidante di Boris Spassky per la sfida programmata nel 1972.

E ciò che state leggendo non è altro che una specie d’intervista, divenuta una intervista-monologo che ebbe luogo nei primi giorni di agosto 1971 e che fu pubblicata dal giornale di Zagabria “Start” l’11 di agosto.

La traduzione per “l’organo ufficiale della Federazione Scacchistica Italiana” era opera dell’indimenticabile maestro Enrico Paoli (1908-2005), una persona alla quale il movimento scacchistico italiano deve davvero molto. E a lui, che conobbi personalmente, mi piace dedicare questo articolo.

Fischer, come leggerete, era quasi innamorato della Jugoslavia, dove aveva vari amici, è non è pertanto strano che ad un giornalista slavo piuttosto che statunitense abbia voluto regalare queste sue scoppiettanti ed aperte esternazioni.

Un Fischer “senza rete”, potremmo oggi dire, ascoltando di nuovo le sue parole dalle quali emerge il suo magico momento di forma di quel biennio 1971-1972. Dopo quel duplice “6-0” sono state anche queste esternazioni senza peli sulla lingua a creare un mitico personaggio che stava diventando ogni giorno di più, più o meno consapevolmente, il portabandiera della rivolta occidentale al predominio scacchistico sovietico.

Torniamo perciò a Bobby Fischer con quell’accattivante traduzione dell’amico Paoli:

…. Sono nato sotto il segno dei Pesci. Io sono un grande pesce. Inghiotto grandi maestri, e fra loro è anche il mio posto. Divoro i grandi maestri dell’Unione Sovietica. Vinco anche gli altri.

I russi, durante il torneo dei Candidati a Willenstadt (Curacao 1962), mi hanno offeso, Essi parlavano tra loro come avrebbero potuto farmi fuori. E finirono anche per eliminarmi….

Apro qui una seconda breve parentesi per ricordare che le accuse di Fischer ai russi di aver in pratica falsato l’interzonale di Curacao ‘62 avevano trovato una eco mondiale a seguito della intervista che il giocatore americano concesse a “Sports Illustrated”, dal titolo “I russi hanno bloccato il mondo scacchistico”. L’influenza di quelle parole e il successivo ritiro per protesta di Fischer dalle competizioni mondiali portarono la FIDE a decidere di cambiare completamente il sistema di selezione dello sfidante del campione: non più un Torneo dei Candidati all’italiana, ma una serie di matches ad eliminazione fra di loro.

E continuiamo a leggere le parole di Fischer su “Start” ….

…. E finirono anche per eliminarmi. Allora pensai anche che non sarei mai riuscito a niente. Mi avevano pure suggerito di giocare delle simultanee per 250 dollari e che così sarei vissuto bene. Desideravo il denaro; perciò giocavo con qualunque schiappa per uno o due dollari. Anche così mi avviavo al titolo di campione del mondo.

Ormai punto al massimo. Il mondo si chiede come io abbia crocifisso Taimanov e Larsen. Prima della partita non parlo mai. Le mie mosse dicono tutto. Gioco meglio dei russi. Taimanov è un grande chiacchierone e Larsen racconta troppe cose. O Dio! Egli era in confronto ai russi un cattivo secondo! Non aveva alcuna idea sulle finezze della difesa Siciliana.

Ora tocca a Petrosian: sono certo che lo batterò. E come lo batterò! Nel match URSS-Resto del mondo l’ho già battuto; ho vinto le prime due partite; anche nelle seguenti ho giocato per vincere, ma lui è riuscito a svincolarsi. Se avessi avuto Korchnoi come avversario, l’avrei battuto con lo stesso risultato. Sarò presto campione del mondo.

Il campione mondiale Spassky affermò che non aveva paura di me; posso dire che neanch’io temo lui. Verrò in Europa come una volta Morphy. Egli era di New Orleans, giocava come un genio e batté tutti i maestri europei. Ritornato in America, morì di tristezza e di noia. Anch’io un giorno ritornerò in America, ma non credo che morirò in tal modo. La mia meta è quella di superare il record di Emanuele Lasker, per 27 anni campione del mondo.

Dove si disputerà il match contro Petrosian non ha importanza per me. Purché le condizioni ambientali siano OK. Ciò di cui ho bisogno è molto silenzio e buona luce. Soprattutto non sopporto alcun rumore, poiché nel mio lavoro professionale non devono essere disturbati il calcolo e la combinazione. Mi piace più di tutto giocare in Jugoslavia, là la gente mi desidera e mi scrive anche delle lettere.

I 10.000 dollari offerti per la finale sono pochi. I grandi maestri dovrebbero essere pagati bene. Con piccoli regali non posso essere accontentato. Lavoro per un intero mese, mi incontro con forti e accaniti maestri e la FIDE paga per questo 750 dollari! Che tengano tale denaro, oppure lo buttino a mare. Ho sofferto molto nella mia vita e desidero essere qualcuno.

Oggi sono già qualcuno; ma domani sarò ancora meglio conosciuto. Solamente gli analfabeti non hanno ancora sentito parlare di me; qualcuno non sa se sono americano o esquimese. La mia meta è che nessuno su questo pianeta possa maneggiare meglio di me le figure di legno.

Mio padre abbandonò mia madre quando avevo due anni. Non l’ho più visto. So soltanto che era tedesco e si chiamava Gerhard. Mia madre era maestra e precettrice in un collegio svizzero. Vivevano a Brooklyn e lei trovò più tardi per me un maestro di scacchi. Allorché a 13 anni riuscii a battere brillantemente Donald Byrne in una partita, fui fiero di leggere nei giornali: “Quando un giovane fa di tali mosse, ci si aspetta da lui ben di più!”. Quindi ho studiato il russo per poter meglio essere al corrente della teoria.

Nessuno può vantare meriti uguali ai miei in America: già 8 volte campione nazionale, il che comincia ad annoiarmi. Ma non mi annoia allorché il mio conto in banca sale. L’auto più cara e la più bella villa un giorno dovranno essere mie. Le ragazze sono una stupidaggine; i giovani perdono il loro tempo per queste, che inoltre costano più soldi. Gli scacchi danno piacere e procurano anche denaro. Non sono mai stato un disonesto e dico quello che penso.

Di Alexander Kotov direi che è scorretto allorché egli afferma che contro Taimanov ho avuto solo fortuna. A Kotov, in un tipo tale di match, darei tre punti di vantaggio, in contrandolo dove e quando egli desidera. Egli scrive che io sarei odioso, isterico e brutto, avrei una grande bocca e sarei d’aspetto meschino. Ho vinto contro Taimanov e contro Larsen per 6 a 0, ed ora essi non sanno più che fare. Allora scrivono: egli è brutto e meschino.

Botvinnik ha scritto invece che io calcolo meglio degli altri. Ha detto che sono un computer; che io sono anche un uomo prodigioso come sono stato già un ragazzo prodigioso. Ma non c’è alcun prodigio. Sono soltanto un professionista. Gioco a scacchi tutto il giorno, imparo e cerco di migliorare la mia conoscenza. Imparo anche per mezzo di registrazioni e miglioro i vecchi maestri, sicché oggi so più di quanto loro non sappiano.

In Russia hanno scritto che tempo addietro piangevo dopo una partita perduta. Un non senso! Allorché Spassky mi ha battuto a Sietgen, ho abbandonato come usava Capablanca: “Quando mi capita una volta di perdere, mi sento come un Re che fa dono ad un pitocco d’una dolce elemosina”.

Tutti ora s’attendono da me che io continui a vincere. Le patte innervosirebbero i reporter. Ma io non sono come Petrosian e Korchnoi che si accordano per la patta dopo 12 mosse. Io gioco fino al “Roi depouillée”! So quello che voglio. I bambini che sono dovuti crescere senza genitori diventano poi lupi.

Robert James Fischer non è un computer, come alcuni avrebbero in verità voluto. Sono solo un uomo, ma un uomo eccezionale. Il mio mondo è la scacchiera bianca e nera. Nelle mie mosse c’è movimento ed anche arte. E tante grazie se vogliono ammetterlo; se non ne sono capaci, mi dispiace. A 15 anni ero Grande Maestro, a 16 campione USA, a 28 sono il più forte giocatore del mondo, a 29 sarò ufficialmente campione del mondo.

Il mio programma per il futuro è chiaro. Non commetterò più lo sbaglio fatto a Sousse, abbandonando il torneo. Allora ero inesperto e troppo sensibile. Ora sono forte come un macigno e freddo come un blocco di ghiaccio. Allorché sarò campione del mondo, fisserò i premi. Ed ora vado a giocare a tennis, poi studierò che cosa posso trovare contro la Caro Kann. Petrosian cercherà di ammannirmi posizioni morte e noiose. Io però cercherò di soverchiarlo e batterlo; me lo divorerò.

Sono nato sotto il segno dei Pesci. Un pesce grosso mangia il piccolo. Io sono un grande pesce”.    

T.Petrosian e R.Fischer

E il “grande pesce”, il pescecane, non mancò di divorarsi anche il Tigran …. Non si concesse in Argentina troppe di quelle che si era azzardato a definire “elemosine”.

L’andamento di quel match di Buenos Aires, giocato nell’autunno del 1971, vide Tigran Petrosian replicare nella seconda partita al primo successo di Fischer (ed interrompere così una serie di 20 vittorie consecutive di Bobby), poi si ebbero tre patte di fila. Il crollo verticale del sovietico nelle successive quattro (risultato finale quindi di 6,5-2,5 per l’americano) è probabilmente la dimostrazione che Fischer poteva disporre di un’arma in più, non soltanto tecnica, arma che forse nessuno come lui, né prima né dopo di lui, aveva/avrebbe saputo gestire così bene: la capacità di “soverchiare” psicologicamente gli avversari, di trasformare una competizione fra le 64 caselle in un braccio di ferro fra due uomini più che fra due giocatori, una personalità dirompente che aveva trasformato quell’imbronciato e chiuso ragazzino di Manhattan in una macchina da guerra irresistibile e vincente.

Così Petrosian commentò quelle 4 sconfitte consecutive fra la sesta e la nona partita: “Se avessi giocato contro Tal, tutti avrebbero detto che Mikhail mi ha ipnotizzato, ma siccome ho giocato contro Fischer, allora dicono che Fischer è un genio. Non so cosa mi sia accaduto, forse sono crollato completamente, o forse Fischer è davvero un genio; so soltanto che in quelle ultime 4 partite non si trattava più di scacchi”.

Sì, infatti non era quella di Fischer una supremazia esclusivamente tecnica, non dimentichiamolo. Ce lo ricordano, tra l’altro, ulteriori parole di Petrosian alcuni mesi dopo la conclusione di quel match di Buenos Aires:

Non mi ero mai trovato in una situazione del genere; è difficile lottare quando senti che, prima di una partita, ti sei già piegato alla volontà del tuo avversario; è stato lui e non io a scegliere come sede Buenos Aires; quando si doveva giocare, era lui a deciderlo; quando lui voleva un caffè, finiva che anch’io bevevo un caffè …

Insomma, poco mancò che Petrosian dovesse giocare la mossa che aveva deciso Fischer …  Eh, sì: si chiamava Robert James Fischer, per gli amici Bobby, ed è stato certamente lui il fenomeno scacchistico del XX secolo!

Cari lettori, adesso andiamo anche noi della Redazione di UnoScacchista a … (stavo scrivendo “giocare a tennis”, ma non abbiamo più l’età) … a prenderci un bel caffè, possibilmente in un bar “con molto silenzio e buona luce”. Io sceglierei proprio lo storico “Caffè Fassi” e un tavolino con una scacchiera, dove potreste facilmente battermi perché anch’io, come e più di Bent Larsen, “non ho alcuna idea sulle finezze della difesa Siciliana” (e non solo quella…).

Ma, a differenza di Fischer, noi lasciamo che voi possiate scegliervi, anziché il caffè, anche un bicchiere di latte oppure una grappa Rakija (che è il liquore di Zagabria), o, meglio ancora visto che oggi è l’11 di agosto, un bel gelato!

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2 thoughts on “Mi chiamo Robert James Fischer, per gli amici “Bobby”

  1. Interessantissimo articolo Sig. Moneta !!! Grazie!!!
    Bene, passo al FISCHER ( di cui ho diversi libri) Cosa dire di questa intervista :
    allora, ho sempre considerato , come Persona il FISCHER un megalomane
    e un fallito ( nella vita NON era capace a far niente, neanche cambiare
    una lampadina, dimostrato e verificato) Dopo questa rara intervista aggiungo su di Lui:
    mitomane, pallone gonfiato, sbruffone, spaccone. altezzoso, borioso, presuntuoso, spocchioso, superbo!!!!!!!!!!
    Come diciamo dalle nostre parti : persona che vale pochi soldi!!!
    Come Scacchista : uno dei più grandi di tutti i tempi!!!
    Cordiali Saluti.

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