Gli scacchi della donna e del re nudo
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(Claudio Mori)
Sai giocare anche tu a scacchi, amore mio?
Una piccola mano gli mostrò un pezzo del gioco degli scacchi.
Una seconda mano raggiunse la prima con un altro pezzo.
Le due mani e i due pezzi cambiavano alternativamente posizione…
Appoggiare l’orecchio sulla scacchiera e cogliere il brusio che preme, coperto da scarabocchi al fondo della notte, da ammassi di cambiamenti sociali, da scosse dei tempi. Voci che parlano di sé e interrogano il futuro, traghettatrici di vite vissute in vite nuove. Tele di fondo di nuovi racconti. Vertigini.
“Perché il gioco degli scacchi non è veramente fatto per giocare. È fatto per sognare. Sognare il movimento dei pezzi e la struttura della scacchiera; sognare l’ordine del mondo e il destino degli uomini; sognare, come nel Medioevo, tutto ciò che si nasconde dietro la realtà apparente degli esseri e delle cose”, ricorda Michel Pastoureau al termine del capitolo dedicato al gioco nel suo Medioevo simbolico (Laterza, 2019)

“Era l’ora della cena e il re, alzatosi da tavola, entrò nella camera della figlia. Il re stava giocando a scacchi con un signore che era appena venuto da oltremare. Sua figlia si sedette vicino alla scacchiera, per osservare i movimenti del gioco. Quando Eliduc venne davanti al re, lo accolse con gioia, invitandolo a sedersi accanto a lui. Successivamente si rivolse a sua figlia e disse: Principessa, ti conviene avere un’amicizia più stretta con questo signore e trattarlo bene e con adorazione. Tra cinquecento, non c’è cavaliere migliore di lui. Quando la fanciulla ascoltò con pudore il comandamento di suo padre, non c’era donna più allegra di lei. Si alzò leggermente in piedi, e allontanando un po’ il cavaliere dagli altri, lo fece sedere al suo fianco. Rimasero in silenzio, per la grandezza del loro amore”.
È il momento centrale di Eliduc, l’ultimo dei dodici racconti in versi di Marie de France, probabilmente pseudonimo di una scrittrice francese vissuta alla corte di Enrico II d’Inghilterra (1154-1189). La storia di un ménage à trois, di un adulterio. Il gioco tra Eliduc, sua moglie Guildeluec e Guilliadon, la figlia del re, passa attraverso la nuova metafora del gioco degli scacchi. Segna il passaggio tra l’ideologia musulmana e quella medievale europea, sociale e religiosa.
Giocare a scacchi, uno dei momenti in cui le donne erano pari agli uomini.
E poteva accadere, in quegli istanti, che il pensiero razionale sfuggisse di mano, perché non serviva più al cuore.
L’ordine delle cose meravigliosamente si ribalta.
Gli scacchi diventano nuvola che alimenta sogni e passioni, l’amore un gioco dalle nobili regole.

Un amore cortese essenzialmente adultero, che rovescia la tradizionale visione della donna sottomessa all’uomo. Che fa Isotta la Bionda nel viaggio in mare verso la Cornovaglia?
Gioca a scacchi, muti testimoni, tre volte, e beve con il prode cavaliere Tristano l’elisir d’amore, che trasforma in atto una passione già esplosa, che produce uno stravolgimento irrefrenabile, la forza anarchica dell’erotismo.
Li ubriaca d’amore e di adulterio.
“Anzi ke compiesserono quello giuoco, sì si levarono e andarosine ambodue di sotto inn-una kamera e quivi incominciano quello giuoco insieme ke infino a·lloro vita lo giucarono volontieri”, si legge in una rielaborazione in volgare toscano di fine Duecento del Trisitan en prose francese.
Isotta come Ginevra, moglie di Artù, e Lancillotto, il cavaliere.
Amanti e mogli.
Gli scacchi abbandonati sul ponte della nave.
Negli scacchi s’insinua una dimensione carnale.
Vi resterà a lungo.
Il visir musulmano, consigliere del re, è scomparso.
Al suo posto appare una donna, una regina.
E se a giocare non sono più due uomini, ma un uomo e una donna, ecco allora scintillare una relazione dove la donna ha spesso il ruolo più attivo. È Guilliadon che vuole sedurre Eliduc.
Nel poema epico francese di circa la metà del XIII° secolo così si presenta Huon di Bordeaux all’emiro Yvorin: Sire, dice Hue, ascoltate le mie competenze; so far mutare a perfezione uno sparviero, so cacciare cervi e cinghiali; quando li ho catturati so suonare il corno e dare la ricompensa ai cani. So servire a meraviglia un pasto e altrettanto bene so giocare a scacchi tanto che non vi è nessuno che sia in grado di battermi.
Yvorin gli propone di battersi con la figlia, forte giocatrice di scacchi, e, dice a Huon, se sarai capace di darle matto, farò preparare il letto nella mia camera per te e mia figlia (Que si tu pues ma fille au ju mater,/ Dedens ma cambre ferai le lit parer,/ Avuec ma fille tote nuit vous girés,/ De li ferés toutes vos volontés). Se invece perdi, sarai decapitato. Huon vince solo perché la ragazza vuole perdere, pur di averlo. Lui rinuncia al premio, e allora lei sbotta furiosa: se l’avessi immaginato ti avrei dato io il matto.
Come la siciliana Macalda di Scaletta (c. 1240-c. 1308) che vestita “di porpora e dì oro, indossa l’armatura, esibisce le sue tardive gravidanze in luoghi sacri, non esita a molestare sessualmente principi e sovrani-scrive Laura Sciascia in Siciliane. Dizionario biografico illustrato, 2006-Si presenta a Pietro III, a Randazzo, e cerca di sedurlo con il suo ambiguo fascino androgino, messo in risalto dall’armatura” ma non vi riesce e sconterà la sua rabbia giocando sapientemente a scacchi con l’emiro Margam Ibn Sebir, entrambi prigionieri nel castello di Matagrifone di Messina.

È la favorita Dilaram che suggerisce da dietro al velo al suo principe la soluzione per vincere a scacchi ed evitare così di essere ceduta, come racconta un manoscritto arabo del XV° secolo.
“O mio signore, la gioia rientrerà nel tuo cuore se tu darai le torri, avanzerai arditamente il tuo elefante, spingerai il pedone e poi darai matto col cavallo”.
Quando l’emiro Abou-Yahia invita Zeyd a giocare a scacchi, seduti su un tappeto davanti alla tenda, è la piccola mano bianca della sua schiava Qotr-enneda, innamorata corrisposta di Zeyd, che scivola non vista sotto il braccio di Abou-Yahia per cambiare la posizione di un pezzo e fargli perdere con la partita i 100 pezzi d’oro in palio
([…] mais une petite main blanche s’était glissée sous le bras d’Abou-Yahia, et, au moment le plus intéressant de la partie, avait, sans être aperçue, dérangé avec dextérité la pièce capitale de son jeu; il crut avoir fait une faute, et reconnut qu’il avait perdu ses cent dinars).
Altra partita.
Di nuovo la piccola mano bianca fa il suo dovere al momento decisivo.
Abou-Yahia perde tutti i suoi averi.
Disperato, Je joue ma belle esclave; encore une partie, et que Qotr-enneda appartienne au vainqueur!, gioco la mia bella schiava; un’ultima partita, e che Quotr-enneda appartenga al vincitore.
E Qotr-enneda, sempre seduta accanto al suo padrone, fu ancora più attenta a quest’ultima partita.
Scacco matto per Abou-Yahia (Muhammad Al-Mahdi al Hafnawi, Contes du Cheykh El-Mokdy, 1833).
Le donne combattono per l’uomo e lo proteggono.
Così come sulla scacchiera la regina, la donna, protegge il debole re.
Guerriera in armatura come Giovanna d’Arco (1412-1431), che guida le armate francesi di re Carlo VII contro quelle inglesi.
Come la spietata Caterina Sforza (1463-1509), contessa di Forlì e signora di Imola, che alla morte di papa Sisto IV occupò per conto del marito Castel Sant’Angelo e dettò le condizioni per il conclave.
E quando alcuni congiurati uccisero il suo secondo marito, Giacomo Feo, Caterina […] chiese dove fossero le case di questi traditori, vi andò con alcuni uomini d’arme e fanti, e fece prendere le loro donne, e le fece tagliare a pezzi, tra le quali ve ne erano molte incinte; fece uccidere anche bambini di tre anni […].
Senza dimenticare la forza di due Isabella, ottime giocatrici a scacchi, quella di Castiglia (1451-1504), moglie di Ferdinando II d’Aragona, che riunificò Spagna, Sardegna e Sicilia, e quella d’Este (1474-1539), Marchesa di Mantova.
E la forza di tante altre donne perdute nel tempo le cui azioni hanno cambiato il corso della storia.
Donne eredi lontane di quella guerriera vichinga del IX° secolo, sepolta nell’isola scandinava di Birka, con posate sul grembo pedine in corno d’alce di un gioco su scacchiera chiamato hnefatafl.
Anche qui due eserciti si affrontano per mettere al sicuro sul bordo della tavola il re inizialmente posizionato al centro.

Nel Livre des échecs amoureux moralisés di Evrart de Conty (c.1401), una miniatura raffigura la potente Luisa di Savoia (1476-1531), due volte reggente di Francia, mentre gioca con uno sconosciuto e il marito Carlo d’Orleans sta a guardare. Miniatura nella miniatura gli scacchi rappresentano la vita dove le decisioni dei giocatori portano alla vittoria o alla sconfitta. Nel testo di Evrart Venere appare nuda al protagonista prima di entrare nel giardino di Déduit e giocare contro il suo amante. L’attrazione della carnalità ha la meglio sulla di lui ragione e la punizione moralizzatrice degli dei non si fa attendere.
La donna seduttrice sconfigge l’uomo.
Eva induce Adamo alla trasgressione.
Quell’albero del frutto proibito che incombe sui due personaggi biblici, al centro del giardino dell’Eden, riappare in molte rappresentazioni, dietro la scacchiera su cui si confrontano un uomo e una donna.
Come nell’affresco di metà XIV secolo a Palazzo Davanzati, a Firenze, con la Castellana di Vergy che gioca con il Cavaliere di Borgogna nella camera da letto.
O nell’incisione tedesca Il giardino dell’Amore (c. 1465).
Oppure ancora nel dipinto attribuito al bolognese Amico Aspertini (1474-1552) Giocatori di scacchi.
Figlia mia, impara a giocare a scacchi e usali se vuoi essere una donna di grande intendimento. Così Anna di Francia esortò in una lettera la figlia Susanna nel 1505. Gli scacchi sono negli inventari personali di molte nobildonne come Margherita d’Austria e come Caterina de’ Medici, abile giocatrice, che tra i suoi beni elencava alcuni set e il manoscritto La partita a scacchi.
Provalo a raccontare a quei chierici e a quei prelati che non si sono mai ripresi dal trauma di un pedone che può cambiare sesso. Pure la donna ci si mette. Fin che se ne stava buona a fianco del re e sgambettava di un passo qua, uno là, passi. Ma ora è troppo. Che voglia invertire i ruoli, che voglia addirittura essere più forte del Vescovo è inconcepibile. Uno schiaffo bruciante al volto più manicheo e misogino del potere ecclesiastico. Una sfida all’idea di una donna virginale, casta. Un’affermazione di potere politico e sociale. Troppo.
Le donne tuttavia oppongono resistenza, insofferenti delle vecchie moralità e desiderose di una nuova visione dell’esistenza. Non stanno rinchiuse in una torre a struggersi per baldanzosi cavalieri a caccia di draghi. Un set di scacchi di Margherita di Navarra oppone pezzi tutte donne da una parte e tutti uomini dall’altra, riporta Eliane Viennot (La France, Les Femmes Et Le Pouvoir, Parigi, Perrin 2006).
E anche la promozione del pedone a regina diventa una metafora del progresso sociale della donna, come un calpestio sulle montagne può dare inizio a una valanga.
“Ignorante e insolente!” redarguisce Luigi VI (1081-1137) il cavaliere che voleva farlo prigioniero sul campo di battaglia, “Nemmeno a scacchi il re può essere catturato”.
Certo. Il re si oppone alla violenza brutale, stupida.
Senza di lui non c’è gioco, non c’è scopo, cioè neutralizzarlo, dargli matto senza mai farlo prigioniero.
Ma debole è il re, maschera tragica, smorfia di dolore, e si rifugia sotto le ali protettrici della regina.
Nel gioco delle dame il re è nudo.
Claudio Mori, giornalista