Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

15 ottobre 1923, centenario della nascita di Italo Calvino

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(Adolivio Capece)
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) è stato “uno de più grandi intellettuali e romanzieri del Novecento, capace di spaziare tra i generi e di mescolare con stile e ironia elementi del fantastico e del reale”, come recita la pubblicità de ‘La Repubblica’ e de ‘La Stampa’ per promuovere la collana dei suoi libri.
Il 15 ottobre se ne celebra il centenario della nascita.

Lo sappiamo, lo sappiamo! Da molte settimane non si parla d’altro che di questo centenario su giornali, televisioni, radio e social … uffi!”

Vi sento cari Lettori, sento le vostre voci in un brontolio corale, sottovoce…

E adesso ti ci metti anche tu… Ma noi cosa c’entriamo?”

Come cosa c’entriamo? C’entriamo, c’entriamo!
Si, anche noi c’entriamo, perché anche se mi sembra che nessuno dei giornalisti, dei recensori e dei commentatori ne abbia accennato (ma, lasciatemelo dire, avviene sempre così), anche Calvino era scacchista.
Un dettaglio, forse, ma per noi importante.
Ma che a giornalisti, recensori e commentatori proprio non interessa.

Ma davvero” vi sento dire, un po’ stupiti e improvvisamente un po’ interessati, ”Calvino era scacchista?”

Ebbene sì: Calvino sapeva giocare e giocava a scacchi!
E questo lo sappiamo grazie ad una testimonianza del poliedrico Ferdinand Arrabal (nato nel 1932), attore, regista, romanziere ispano-francese, che conobbe e frequentò Calvino nei tredici anni della sua permanenza a Parigi.
Arrabal è un grande estimatore degli scacchi; ricordiamo i suoi libri sul gioco: Echecs et mythes (Scacchi e miti), Fêtes et défaites sur l’échiquier (Feste e disfatte sulla scacchiera), Les échecs féériques et libertaires (Gli incantevoli e libertari scacchi), Bobby Fischer: el rey maldito (Bobby Fischer: il re maledetto). Calvino parla di Arrabal in “Hermit in Paris”.

Ovviamente Italo Calvino non era un giocatore di torneo, probabilmente non giocava neppure molto spesso, ma a quanto pare gli scacchi gli piacquero tanto che nel suo importante libro Le città invisibili’ fece giocare Kublai Khan e Marco Polo.

illustrazione de ‘Le città invisibili’, Anastasia 2014

Che Marco Polo (1254-1324) sapesse giocare a scacchi non deve stupire: il gioco era assai diffuso a Venezia ai suoi tempi; ricordiamo per esempio che un ‘editto’ della Repubblica della Serenissima del 1293 aveva vietato praticamente tutti i giochi tranne uno solo, gli scacchi appunto, considerati leciti per le qualità analitiche, scientifiche e matematiche.

Quanto a Kublai Khan giocava evidentemente agli ‘scacchi cinesi’ che sono abbastanza diversi dai nostri e quindi diversi dal gioco che si usava a quell’epoca in Italia e in Europa.

A proposito di Cina e scacchi cinesi dobbiamo fare una breve digressione.
Gli scacchi, appena diventati ‘gioco a due’, erano giunti in Cina direttamente dalla Persia tramite gli scambi commerciali attraverso il Nepal: vi erano giunti prima che gli Arabi conquistassero la Persia, quindi più o meno nei primi anni del 600 d.C.
E in Cina il gioco ebbe una impostazione peculiare, che lo rese molto diverso da quello diffuso appunto dagli Arabi: per esempio fu inserito un pezzo del tutto originale, il cannone. Però il Cavallo mantenne il suo particolare movimento, che a quanto pare affascinò anche i cinesi.
Ma proprio per la grande diversità acquisì la dizione ‘scacchi cinesi’ così da distinguerlo dagli ‘scacchi occidentali’.

Dobbiamo notare che gli ‘scacchi cinesi’ erano giocati soltanto in Cina e per molti secoli non ci furono ‘contaminazioni’ con il resto del mondo.
Poi però all’inizio degli Anni Ottanta del secolo scorso (1900) il governo cinese lanciò un per molti versi inatteso piano pluriennale con l’obiettivo di conquistare i titoli mondiali maschile e femminile negli ‘scacchi occidentali’! Chissà, forse si potrebbe pensare che anche i cinesi siano stati travolti dall’entusiasmo per lo storico match mondiale tra Bobby Fischer e Boris Spassky!
Come noto le ragazze cinesi bruciarono i tempi, i maschi invece furono molto più lenti.
Le giocatrici primeggiarono nel settore femminile già dal 1991, quando la Xie Jun conquistò l’iride spodestando Maia Chiburdanidze.
Le cinesi si sono poi imposte anche a squadre, vincendo le Olimpiadi femminili dal 1998 al 2004 e poi nel 2016 e 2018.
I maschi, come detto, furono molto più lenti e si dovrà attendere il 2014 per vederli primeggiare nelle Olimpiadi, vinte poi ancora nel 2018.
A livello individuale solo lo scorso aprile ecco un cinese finalmente sul tetto del mondo: Ding Liren, 30 anni, laureato in legge all’Università di Pechino.
Come sappiamo, Ding Liren ha sconfitto il russo Ian Nepomniachtchi dopo il ritiro di Carlsen, conquistando il titolo iridato.

Bene, ora torniamo a Italo Calvino e leggiamo insieme quello che scrisse ne ‘Le città invisibili’ (capitolo VIII), facendo attenzione alla descrizione dei pezzi dato che alcuni dei giornalisti, recensori e commentatori (pochi in verità) la definirono “di alta poesia”.

Ai piedi del trono del Gran Khan si estendeva un pavimento di maiolica.

Marco Polo, informatore muto, vi sciorinava il campionario delle mercanzie riportate ai suoi viaggi ai confini dell’impero: un elmo, una conchiglia, una noce di cocco, un ventaglio.

Disponendo in un certo ordine gli oggetti sulle piastrelle bianche e nere e via via spostandoli con mosse studiate, l’ambasciatore cercava di rappresentare agli occhi del monarca le vicissitudini del suo viaggio, lo stato dell’impero, le prerogative dei remoti capoluoghi.

Kublai Khan, 1215 – 1294

Kublai era un attento giocatore di scacchi; seguendo i gesti di Marco osservava che certi pezzi implicavano o escludevano la vicinanza d’altri pezzi e si spostavano secondo certe linee.
Trascurando la varietà di forme degli oggetti, ne definiva il modo di disporsi gli uni rispetto agli altri sul pavimento di maiolica.
Pensò: “Se ogni città è come una partita a scacchi, il giorno in cui arriverò a conoscerne le regole possiederò finalmente il mio impero, anche se mai riuscirò a conoscere tutte le città che contiene”.

In fondo, era inutile che Marco per parlargli delle sue città ricorresse a tante cianfrusaglie: bastava una scacchiera coi suoi pezzi dalle forme esattamente classificabili. A ogni pezzo si poteva volta a volta attribuire un significato appropriato: un cavallo poteva rappresentare tanto un vero cavallo quanto un corteo di carrozze, un esercito in marcia, un monumento equestre; e una regina poteva essere una dama affacciata al balcone, una fontana, una chiesa dalla cupola cuspidata, una pianta di mele cotogne.

Tornando dalla sua ultima missione Marco Polo trovò il Khan che lo attendeva seduto davanti ad una scacchiera.
Con un gesto lo invitò a sedersi di fronte a lui e a descrivergli col solo aiuto degli scacchi le città che aveva visitato.
Il veneziano non si perse d’animo. Gli scacchi del Gran Khan erano grandi pezzi di avorio levigato: disponendo sulla scacchiera torri incombenti e cavalli ombrosi, addensando sciami di pedine, tracciando viali diritti o obliqui come l’incedere della regina, Marco ricreava le prospettive e gli spazi di città bianche e nere nelle notti di luna.

Al contemplare questi paesaggi essenziali, Kublai rifletteva sull’ordine invisibile che regge le città /…/ Alle volte gli sembrava di essere sul punto di scoprire un sistema coerente e armonioso che sottostava alle infinite difformità e disarmonie, ma nessun modello reggeva il confronto con quello del gioco degli scacchi. /…/
Ormai Kublai Khan non aveva più bisogno di mandare Marco Polo in spedizioni lontane: lo tratteneva a giocare interminabili partite a scacchi.
La conoscenza dell’impero era nascosta nel disegno tracciato dai salti spigolosi del cavallo, dai varchi diagonali che s’aprono alle incursioni dell’alfiere, dal passo strascicato e guardingo del re e dell’umile pedone, dalle alternative inesorabili di ogni partita.
Il Gran Khan cercava di immedesimarsi nel gioco ma adesso era il perché del gioco a sfuggirgli.
Il fine di ogni partita è una vincita o una perdita: ma di cosa? Quale era la vera posta?

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