Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Nino Grasso, dopo la poesia vince con la narrativa

14 min read

(Danilo Mallò)
La seconda edizione del Premio Letterario “L’ultimo scacco” ha visto imporsi l’avellinese Nino Grasso. In precedenza lo stesso Grasso ha avuto la meglio sulla concorrenza al concorso di poesia “Scacchi, desiderio di infinito”, tenutosi tra le due edizioni del premio sul racconto breve (qui la prima edizione).

Organizzato dall’Associazione di Promozione Sociale “Le Pergamene di Melquiades”, l’evento nasce dalla volontà di diffondere la cultura scacchistica in ambiti differenti da quello della pratica del gioco. Galeotta fu “ScuolaFilosofica”, di Giangiuseppe Pili, che mise in contatto Carlo Alberto Cavazzoni e Danilo Mallò, i genitori dell’iniziativa.

 

Il successo dell’evento però non si sarebbe potuto verificare senza la prestigiosa rete di partener costituita da: la Federazione Scacchistica Italiana che ha patrocinato il premio letterario, la Commissione Attività Culturali e Benemerenze, coordinata da Mario Leoncini, Unichess che ha messo a disposizione i premi, Le Due Torri che pubblicherà l’antologia con tutti i racconti iscritti al concorso e l’attenzione del blog UnoScacchista che tanto ha fatto per diffondere il bando, ma anche per pubblicare in anteprima il racconto che ha ottenuto la migliore votazione.

 

Disegno di M. Horsin-Déon / Incisione di L. Chapon (http://heritageechecsfra.free.fr/index.htm, Pubblico dominio)

Una partita al Cafè de la Régence

di Nino Grasso

Parigi, 22 novembre 1787

“È vero che avete conosciuto Voltaire?” chiese il giovane, mentre disponeva con gesti rapidi e decisi i pezzi bianchi sulla scacchiera davanti a sé.

Sorpreso, il distinto signore sulla sessantina che gli sedeva di fronte sollevò il viso per guardarlo, continuando ad allineare con metodica precisione i pedoni neri, dalla sua parte.

I due occupavano un tavolino di marmo bianco e nero, nella sala tradizionalmente riservata ai giocatori di scacchi, in fondo al Cafè de la Régence.

Il locale era piuttosto affollato, complice il freddo della sera novembrina, che invogliava a rifugiarvisi e a godere del tepore assicurato dalla grande stufa che riscaldava gli ambienti. Attraverso le grandi vetrate, la luce delle numerose candele filtrava sulla Place du Palais Royal e gli intirizziti passanti ne venivano attirati come falene verso quello spicchio di palazzo al n. 243, proprio all’angolo con rue St. Honoré, che da oltre un secolo ospitava il Cafè de la Règence e la sua variegata clientela di intellettuali, nobili, avvocati, scacchisti…

In quel momento erano in corso una decina di partite, e numerosi avventori del locale gironzolavano intorno ai tavoli, soffermandosi a seguire le mosse dell’una o dell’altra in un clima di silenzio quasi religioso, interrotto pressoché soltanto da annunci di scacco o commenti di fine partita.

“Mi ha fatto l’onore di sottoscrivere il mio trattato sugli scacchi” rispose con modestia l’uomo dalla parte dei Neri, riabbassando lo sguardo sui propri pezzi.

“Ed eravate amico di Rousseau?” domandò il giovane.

“Anche questo è un onore del quale credo di poter fregiarmi…” annuì l’altro dopo qualche istante, sistemando il Re e la Regina.

“Avete collaborato a qualche opera?”

L’anziano scrutò un po’ interdetto quel giovane così curioso. Aveva tanto insistito per giocare contro di lui, e adesso sembrava tergiversare, tempestandolo con tutte quelle domande… Era poco più che un ragazzo: probabilmente non superava i vent’anni, benché la divisa che indossava lo facesse apparire più adulto, complice anche l’aspetto serio e corrucciato. Magro e pallido, aveva guance scavate, labbra strette e un mento duro e volitivo. Lunghi capelli spioventi gli coprivano le tempie e gli ricadevano fin quasi sulle spalle.

“Be’ sì, mi chiese di aiutarlo in una composizione, ma temo di non avergli dato un gran contributo…” rispose finalmente, centrando l’ultima torre nella sua casella d’angolo.

“Davvero? Per quale opera?”

L’interrogato corrugò la fronte.

“Credo fossero Le Muse galanti” disse. “Ma è stato tanto tempo fa… Saranno passati almeno quarant’anni…”

“Giocavate a scacchi?”.

“Sì, qualche volta…”

“E lui come giocava?”

L’uomo sollevò di nuovo lo sguardo sul ragazzo. Che maniera singolare e incalzante di porre le domande, pensò… Sembravano piuttosto delle staffilate… E quel modo di fissare l’interlocutore, poi, con quegli occhi di ghiaccio… Avevano un che di imperioso, inquisitorio, vagamente ipnotico, che metteva a disagio e incuteva un’indefinibile soggezione, nonostante l’età ancora così giovane e l’aria quasi acerba. O forse proprio per quello.

“Ci fu un periodo nel quale si impegnò molto” disse. “Voleva raggiungere l’eccellenza…”

“E poi?”

Fedele alla propria mentalità analitica, l’anziano giocatore continuò a studiare il ragazzo. Date le maniere burbanzose, immaginò che si trattasse del rampollo di qualche nobile famiglia, probabilmente un cadetto avviato alla carriera militare e diventato ufficiale giovanissimo grazie alle solite raccomandazioni… Si soffermò sulla divisa: giacca a falde azzurra coi risvolti rossi, bottoni gialli con il numero 64, indicativo del reggimento di appartenenza, spalline con frange di fili d’oro e di seta… Era un’uniforme da tenente dell’esercito… Però era incredibilmente lisa e sgualcita, segno che non si cambiava spesso d’abito e che probabilmente era male in arnese, o comunque non poteva permettersi un guardaroba da signore… Anche i modi, poi, avevano qualcosa di troppo goffo e brusco per appartenere a un nobile di buona schiatta. E poi l’accento… parlava un francese strano, poco coltivato, e aveva anzi un’inflessione bizzarra, quasi straniera… Sicuramente era un provinciale, ma in che parte di Francia si parlava a quel modo?

“Vi ho chiesto che cosa successe in seguito” lo riscosse il ragazzo.

“Ah, sì…” L’uomo distolse lo sguardo e fece una pausa, giocherellando coi propri pedoni, come per trovare le parole giuste. “Be’, poi credo di aver contribuito a fargli comprendere che se si fosse intestardito con gli scacchi il mondo avrebbe corso il rischio di perdere un grande scrittore… senza peraltro la prospettiva di guadagnare un grande scacchista…” concluse, sorridendo.

“Dunque lo battevate?” chiese l’altro, pratico.

“Sarebbe stato strano il contrario, mio giovane amico…”

“Come giocava?” insisté il ragazzo.

“Gli davo il vantaggio di una torre…” fu l’evasiva ma eloquente risposta.

“Vi ha mai battuto?”

L’altro scosse la testa.

“Ma batteva regolarmente Diderot, se può interessarvi” aggiunse.

“Ed è vero che avete conosciuto Federico di Prussia?” chiese ancora il giovane, gli occhi che brillavano.

L’uomo gli lanciò l’ennesima occhiata, incuriosito da tanta curiosità. E curiosi erano anche gli sguardi del gran numero di osservatori che, nel frattempo, s’erano accalcati tutt’intorno, in evidente attesa che la partita cominciasse, e sorpresi che ancora ciò non avvenisse.

“Ho avuto l’onore di essere ospite alla sua corte, sì”.

“E avete giocato?”

“Re Federico ha giocato e vinto ben altre partite” svicolò diplomatico l’altro. “E anche noi francesi ne sappiamo qualcosa… Sono passati ormai trent’anni, ma suppongo che nelle scuole militari vi parlino ancora della battaglia di Rossbach… Una dura lezione per il nostro esercito…”.

Di nuovo gli occhi del ragazzo ebbero un lampo.

“Federico vi ha parlato di Rossbach e delle sue tattiche?” domandò, più speranzoso che stupito.

“Oh no, no… Non ero certo degno della sua confidenza fino a questo punto…”

Il giovane sparò un’autentica raffica di domande: “E di che cosa avete parlato? Com’era? Che cosa raccontava delle sue campagne?”

Un brusio di disapprovazione serpeggiò tra i presenti. L’anziano giocatore represse il disappunto emettendo un profondo sospiro e passandosi una mano sulla testa, come se la parrucca avesse bisogno di essere accomodata.

“Ditemi, siete qui per giocare a scacchi o per scrivere un libro di storia?”, chiese poi, facendo un po’ di violenza alla propria indole mite e gentile e puntando stavolta uno sguardo deciso sul ragazzo.

Questi arrossì leggermente e perse baldanza.

“Vogliate perdonarmi, signore…” disse. “Ma è la prima volta che la sorte mi concede di parlare con qualcuno che ha conosciuto personalmente sia Jean-Jacques che Federico, e al quale possa chiedere di loro”.

“Capisco…” fece l’altro, un po’ ammorbidito. “Siete un loro ammiratore?”

“Sì, signore”.

“Be’, permettetemi di dirvi che temo vi siate scelto due modelli difficilmente conciliabili… Federico era amico di Voltaire, certo, ma dubito che potesse avere simpatia per le idee di Jean-Jacques… Il quale d’altra parte non lo aveva a sua volta in grande stima…”

“Ma io ammiro nell’uno il genio militare e nell’altro lo scrittore”.

“Ah! Convivono dunque in voi lo stratega e il letterato? Temo che prima o poi dovrete fare una scelta…”

“Sceglierò la strada della felicità signore, o in alternativa quella della gloria” proclamò serio serio il giovane, sollevando il mento con aria quasi di sfida.

“E io vi auguro di tutto cuore di trovare l’una e l’altra” rispose l’avversario con ostentata affabilità e un filo di malcelata ironia. “Nell’attesa, però, devo chiedervi di giocare, o di far posto a qualche altro” aggiunse, indicando prima la scacchiera e poi il pubblico circostante.

Visibilmente deluso da quella prosaica replica alla propria magniloquente dichiarazione, il ragazzo chinò il capo sui pezzi.

“Vi darò lo stesso vantaggio che concedevo a Rousseau” disse l’altro, amabilmente, rimuovendo dal proprio schieramento la Torre del lato di Donna.

Il ragazzo lo guardò, contrariato.

“Come fate a essere così sicuro di vincere? Non mi conoscete, potrei battervi”.

“Mio giovane amico, se poteste battermi, vi conoscerei” rispose lentamente e con estrema gentilezza l’avversario, provocando sogghigni tra i presenti.

“E poi…” aggiunse, indicando i pezzi bianchi “…avete invertito la posizione del Re e della Regina”.

Stavolta il giovane arrossì violentemente. Corresse la posizione dei sovrani, quindi, come per darsi subito un contegno e sconfiggere l’imbarazzo, con gesto deciso spinse di due passi il pedone di Re.

“Buona partita” disse affabilmente l’anziano gentiluomo, contrapponendogli il proprio.

“Buona partita, monsieur Philidor” bofonchiò imbronciato il ragazzo.

***

La pianta trapezoidale dava al Cafè de la Régence una forma bizzarra, per la quale gli avventori lo paragonavano a un pianoforte a coda. Eleganti fregi ne adornavano le pareti e il soffitto, dal quale pendevano grandi lampadari sovraccarichi di candele accese e di luccicanti pendagli di vetro e cristallo. Gli ampi e scintillanti specchi alle pareti accentuavano la luminosità e la profondità degli ambienti.

Quel giovedì sera l’atmosfera era vivace, e l’attualità politica teneva banco. Passando fra i tavolini non si poteva fare a meno di cogliere scampoli di animate conversazioni sulle recenti e clamorose novità.

“Avete sentito? Il duca d’Orléans si è opposto pubblicamente al re sul nuovo prestito chiesto dal governo…”

“Hmmm… Buono, quello… Mi sa che soffia sul fuoco per portar via la corona al cugino…”

“Vacci piano…. Lo sai che qui al Palais Royal è tutto suo, e ha informatori dappertutto…”

“Intanto il Re lo ha fatto bandire, e ha mandato alla Bastiglia i suoi amici… Per la prima volta Luigi ha tirato fuori le palle…”

“Bah… Durerà solo qualche giorno… Farebbe bene a tirarle fuori in camera sua, visto che Maria Antonietta se la spassa con quel suo bel conte svedese…”

“L’Austriaca ci porterà alla rovina! Vi ricordate quanto ci è costato l’affare della collana?”

“Mai quanto il sostegno dato ai ribelli americani contro l’Inghilterra!”

“Bah, lasciamo perdere… Andiamo piuttosto a vedere qualche partita a scacchi… Hai visto che c’è Philidor?”.

“Davvero? Ma non si era trasferito a Londra?”

“Ma no, di solito ci va in primavera, poi torna qui a Parigi per la stagione operistica. Quest’anno ha dato La belle esclave al Théâtre des Beaujolais, un grande successo!”

“Andiamo allora, vediamo quanti ne batte stasera… magari gioca pure bendato… Ma quanto lo paga Haquin per giocare qui?”.

“Victor, un grog a Voltaire e un cognac a Jean-Jacques!”

“Subito, monsieur Haquin!”

Qualche avventore si voltò incuriosito, denunciando così la propria condizione di neofita del locale. Gli habituées conoscevano bene, infatti, il vezzo sapientemente coltivato dalla direzione, un po’ per orgoglio e un po’ per pubblicità, di designare col nome dei due philosophes, scomparsi ormai da dieci anni, i tavolini dei quali erano stati fedeli e affezionati occupanti. Nel luglio del 1770 la presenza di Rousseau si era trasformata addirittura in una questione di ordine pubblico, a causa della folla strabocchevole assembratasi sulla piazza per vederlo.

Esisteva anche un “tavolo dell’Imperatore”, dedicato a Giuseppe II d’Austria, che nel 1777, in visita a Parigi dalla sorella Maria Antonietta, aveva voluto fermarsi al Cafè della Règence in incognito, sotto il nom de plume di conte di Falkenstein. Tre anni dopo era stata invece la volta dello zar di Russia, Paolo I.

Ma la celebrità del momento e la principale attrazione del locale era senza dubbio Philidor, il più celebre musicista francese del tempo, acclamato creatore dell’opéra-comique, ma soprattutto impareggiabile giocatore di scacchi, imbattuto e imbattibile da decenni, e talmente superiore a qualunque altro avversario da giocare ormai pressoché esclusivamente previa concessione di un qualche vantaggio allo sfidante di turno.

Il suo rivoluzionario trattato sugli scacchi aveva avuto un grande successo e varie edizioni, e le sue imprese gli avevano guadagnato fama internazionale e la citazione nella voce “scacchi” della grandiosa Encyclopédie di D’Alembert e Diderot. In particolare le sue prodigiose esibizioni “alla cieca”, cioè partite giocate a memoria, senza vedere la scacchiera, spesso con più avversari contemporaneamente, avevano accresciuto enormemente la sua popolarità, e a Londra erano diventate una vera e propria attrazione, puntualmente reclamizzata sui giornali.

A Parigi il “quartier generale” di Philidor era il Cafè de la Règence, dove occupava sempre lo stesso tavolo e umiliava qualunque sfidante.

Non andò diversamente quella sera, con il pallido ufficialetto dai capelli spioventi. La partita non durò molto: già intorno alla ventesima mossa il musicista portò un pedone sulla prima traversa dell’avversario, trasformandolo in Regina; il giovane diede una serie di rumorosi scacchi al Re Nero, con un entusiasmo destinato a smorzarsi ben presto di fronte alle tranquille e solide risposte di Philidor, che li parò imperturbabile, per sentenziare poi: “E questo è il vostro ultimo scacco, monsieur. Annuncio matto in cinque mosse”.

L’ufficiale si rannuvolò visibilmente, fra il brusìo dei presenti, crescente man mano che si avvicinava la fatale quinta mossa, che effettivamente consegnò il Re bianco al proprio destino

“Ho perso” disse il giovane, contrariato e scuro in volto. “Eppure avevo un forte attacco contro il vostro Re. Se avessi usato meglio la Torre…”

Philidor scosse il capo.

“Il vostro non era un attacco, monsieur” disse, gentilmente. “Era l’iniziativa isolata di un paio di pezzi contro il mio Re, ben protetto dai suoi fidati pedoni. Come se un manipolo di cavalieri pretendesse di espugnare una fortezza. Vedo che siete un militare, dovreste saperlo: gli attacchi realmente pericolosi sono quelli portati dall’insieme delle truppe, opportunamente mobilitate e coordinate. Gli scacchi non sono un gioco d’azzardo”.

“Ma stavo attaccando con il Cavallo e la Regina, che è il pezzo più forte…”

Il musicista sorrise, con aria di condiscendenza.

“Non bastano, contro una solida difesa. E poi… la Regina rappresenta, certo, l’élite dell’esercito, ma quale generale getterebbe subito nella mischia le sue truppe migliori, invece di tenerle di riserva per il momento opportuno? E soprattutto, quale generale le lancerebbe allo sbaraglio contro una massa di fanti solida e compatta, come questi pedoni?”

“Ma i pedoni sono i pezzi più deboli, non contano…” replicò il giovane, caparbio.

L’anziano campione emise un sospiro, scotendo la testa. Poi prese un pedone dalla scacchiera e, puntato un gomito sul tavolo, tenne con due dita il fantaccino di legno davanti agli occhi, tra sé e il giovane.

“Mio giovane amico”, disse, rigirandoselo tra indice e pollice. “Quest’umile fantaccino è l’anima stessa del gioco degli scacchi… proprio come la fanteria è il nerbo di un esercito. Sono i pedoni a fare da scudo al Re, a disegnare il fronte, ad occupare e delimitare lo spazio di manovra di ciascuno schieramento… Ma, soprattutto, questi umili pedoni posseggono un dono prodigioso, precluso a tutti gli altri pezzi, che ne fanno un’arma formidabile”.

“Quale dono?” chiese il giovane, interessatissimo.

Philidor ripose il pedone sulla scacchiera e raccolse dal bordo del tavolo i pochi che l’avversario gli aveva catturato.

“Riflettete su quanto è curioso il loro destino” riprese poi, allineandoli metodicamente sulla seconda traversa. “I pedoni possono soltanto avanzare, a differenza di tutti gli altri pezzi, e questo è certamente un limite. Però si direbbe che il misterioso creatore del nostro meraviglioso gioco, dando prova di infinita saggezza, abbia voluto compensarli di questo limite, fornendo loro una straordinaria contropartita: giunti al termine della loro avanzata, infatti, i pedoni possono trasformarsi in qualunque altro pezzo, finanche la potentissima Regina. Così, quello che era un limite diventa un privilegio esclusivo, un’incredibile opportunità. Soli, fra tutti i pezzi, i pedoni possono… diciamo così, fare carriera. C’è in loro un’innata vocazione ad avanzare, che, se ben sfruttata, ne fa un’arma temibile e letale”.

Contemplò con soddisfazione la fila di pedoncini perfettamente ordinata, rigirandosi sulla sedia.

“Provate a figurarvi un esercito in carne e ossa, formato da soldati che non sanno che cosa significhi indietreggiare” continuò, “che sono mossi da un costante anelito a marciare inesorabili verso il nemico, alla ricerca perenne della vittoria, della libertà, della gloria… Riuscite a immaginare di quali imprese sarebbe capace un esercito siffatto? Quale terribile strumento bellico sarebbe, nelle mani di un abile comandante?”

Fece un’altra pausa, mentre cominciava a sistemare gli altri pezzi sulla prima traversa.

“Pensate se nello zaino di ogni soldato ci fosse il bastone di maresciallo di Francia…” disse. “Se ogni fante potesse aspirare, come i pedoni, a diventare, dal nulla, addirittura un Re o un Imperatore!…” aggiunse, ridacchiando. ”Per nostra fortuna è qualcosa che non è concepibile al di fuori degli scacchi, monsieur… scusatemi, temo di non aver inteso esattamente il vostro nome…”

Ma l’altro ora sembrava distratto, come rapito da chissà quali pensieri.

“Come avete detto di chiamarvi, monsieur?” ripeté Philidor, alzando la voce per richiamare l’attenzione.

Il giovane ufficiale dai capelli spioventi si riscosse di colpo.

“Buonaparte” rispose, con tono secco e deciso. “Napoleone Buonaparte”.


Jean-Georges VIBERT (1840 – 1902), Napoleone I gioca contro il cardinale Fesch. Olio su tela © Museo Haggin

Oltre al racconto vincitore, siamo lieti di presentare gli altri premiati:

2° cl. Il turco, di Luigi Ruvolo, da Milano

3° cl. Una vittoria per due, di Nicola Tambasco, da Perugia

4° cl. Gli adepti di Caissa, di Spina Simonpietro, da Catania

5° cl. Matrioska, di Pietro Raniero, da Acqui Terme (AL)

Il concorso ha previsto anche due premi speciali dedicati a cari compianti amici del nostro mondo:

La Menzione Giuseppe Arabito è stata assegnata al racconto “Io lo conoscevo bene”, di Sergio Tresin Satalich, mentre la Menzione Igor Naumkin è andata al brano “Gli scacchi che verranno”, di Gianantonio Me.

Da segnalare anche la prestigiosa giuria che ha lavorato sodo alla lettura e alla valutazione dei racconti (in ordine alfabetico):

Roberto Cassano (Istruttore, studioso, scrittore, componente della redazione del blog “Uno Scacchista” e della Commissione Attività Culturali e Biblioteca FSI), Carlo Alberto Cavazzoni (Maestro di Scacchi, istruttore e scrittore), Paolo Ciancarini (Prof. Ordinario della Università di Bologna), Roberta De Nisi (Istruttore e Dirigente FSI, membro di tre commissioni della FSI, tra cui quella per la promozione degli Scacchi in ambito femminile), Gisella Fidelio (Docente Università N. Ginzburg e Poetessa), Paolo Fiorelli (Giornalista e scrittore di “Scacco matto con delitto”), Tea Gueci (una volta campionessa italiana), Mario Leoncini (Coordinatore della Commissione Attività Culturali e Biblioteca FSI, Scrittore, divulgatore e Maestro di Scacchi), Andrea Taffi (Vincitore prima edizione), Ivano Porpora (autore del libro Un re non muore. Corso letterario di scacchi, ed. Utet).

Sono state numerose le persone che hanno assistito alla cerimonia di premiazione tenutasi lo scorso 26 ottobre su Google-Meet. Tra queste il Presidente della FSI che si è congratulato con gli organizzatori per l’apporto che danno alla diffusione del gioco e Mario Leoncini, storico e divulgatore sempre puntuale e preparato sul Nobil Giuoco, nonché la Redazione al completo del blog UnoScacchista.

L’antologia che sarà pubblicata da Le Due Torri è attesa per la prossima primavera, ma decine sono già le copie prenotate.

Ed ora non resta che affilare le penne, in attesa della III edizione.


Danilo Mallò è presidente del Comitato Regionale Scacchi Sardegna e delegato CONI della provincia di Cagliari. È anche presidente dell’associazione culturale “Le Pergamene di Melquiades”, con la quale ha organizzato il concorso letterario per racconti brevi “L’ultimo scacco” e il premio di poesie scacchistiche “Desiderio di infinito”. Il suo libro “Memorie di un’anima” ha vinto la VI edizione “Premio Letterario Emilio Lussu”, la V edizione “Premio Letterario Firenze in Letteratura – Rive Gauche”, il premio della giuria al “Premio Letterario Città di Siena” e la menzione speciale al IX concorso “Vinceremo le Malattie Gravi”.

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1 thought on “Nino Grasso, dopo la poesia vince con la narrativa

  1. Bello! Come un “rapid” che si legge d’un fiato, scorrevole e pulito, con illustri personaggi, quasi ‘pezzi pesanti’, a solcare la scena con insolita lievità. Non conosco gli altri racconti che hanno partecipato al concorso, ma è evidente come qui l’arma decisiva dell’autore sia stato “le coup de theatre” finale, uno scacco matto micidiale ma che una lettura attenta avrebbe dovuto far presagire. Complimenti a Nino Grasso e a Danilo Mallò.

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