Che vantaggio mi dai?
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(Roberto C.)
Dare un vantaggio all’avversario più debole è stata una buona pratica almeno fino agli inizi del Novecento, nella quale il giocatore più forte concedeva sempre un (seppur minimo) vantaggio al giocatore più debole: come minimo un pedone in più; a volte veniva dato anche un pezzo intero di vantaggio, un Cavallo o una Torre, a volte invece a fronte del giocare con un Cavallo in meno, generalmente quello di Donna (Cb1), all’avversario più debole si toglieva un pedone perché questi era ritenuto leggermente un po’ più forte di un ‘giocatore da pezzo’ (intero); più frequentemente si concedevano una o anche due mosse di vantaggio, ben più difficilmente tre…
[Targa stradale all’altezza del civico 510 di Via del Corso a Roma (foto Roberto C.)]
Prima di scriverne un po’ di più, vediamo come Carlsen (Elo 2834), nella partita con Jones (Elo 2640) dell’ultimo WaZ 2018 svoltosi nel gennaio scorso, alla 18ª mossa ‘conceda’ suo malgrado (a causa di un grave errore) un pezzo di vantaggio all’avversario (che ha 194 punti Elo in meno) e che, nonostante giochi con un pezzo in meno (in realtà un Alfiere per un pedone), vince la partita dopo altre 24 mosse; questa è la posizione dopo l’errore della mossa 17. g4 ?
In partita il Campione del mondo ottiene ‘una fortunosa vittoria con Jones (il norvegese ha perso un pezzo alla 18ª mossa complice una svista colossale, ma è riuscito a trovare qualche motivo per continuare, aiutato in ciò dall’avversario che ha finito addirittura per perdere)’.
E’ da questo commento di Uberto, che mi sono venute alla mente le cosiddette partite ‘a vantaggio’, un vantaggio non derivante dai consigli del Lucena nel Repetición de amores y arte de axedrez con CL juegos de partido del 1497 (“Se si gioca di notte e con una sola candela, è opportuno che essa sia disposta sempre sul lato sinistro rispetto a voi in modo da non turbare troppo la vista. Se si gioca di giorno, far mettere l’avversario di fronte alla luce perché se ne potrebbe trarre grande vantaggi” [1]) bensì qualcosa di più concreto, cioè quelle partite nelle quali il giocatore più forte concede – dall’inizio della partita – uno o più vantaggi al più debole avversario.
Una modalità di gioco ormai in disuso ma già presente durante la fase araba del gioco: ‘Come abbiamo già indicato, la minuziosità delle regole che si stabiliscono per classificare i giocatori secondo la loro bravura è una delle prove della popolarità e dello sviluppo che gli scacchi ebbero nei paesi musulmani. Un buon giocatore, dicono gli autori, deve conoscere la forza dell’avversario e quali sono i vantaggi che si devono concedere all’avversario per un giusto pareggio delle forze. Colui che non sa le leggi regolanti la gradazione di tali <<vantaggi>> non merita il nome di scacchista.[2] Soltanto dopo il pareggio iniziale possono gli avversari godere il gioco e perfezionarsi in caso; quale godimento infatti proverebbe un giocatore di prima categoria, come al-Adli o as-Suli ovvero Alì-as-Satrangi, giocando senza un tale pareggio contro un avversario a cui avrebbe potuto dare un rocco o un cavallo? Il primo grado nei <<vantaggi>>, dunque, è lasciare all’avversario la prima mossa. Il secondo dargli mezza pedina, e ciò si fa togliendo dal posto consueto una delle pedine del cavallo e collocandola davanti ala pedina del rocco. Il terzo grado è dare la pedina del rocco; il quarto, quella del cavallo; il quinto, quella dell’Alfiere; il sesto, quella del firzan, il settimo quella del re’ [3].
E, pensate un po’!, questa è stata una modalità di gioco andata avanti per circa un millennio. Quello che segue è un sonetto di Niccolò Salimbeni del 1293, citato nell’opera di Giulio Bertoni “Studi medievali” (Loescher, Torino 1911, vol. II, in nota pag. 407):
“E cento millia some de bisanti, e quante belle donne a lu piacesse; e si vorria c’a scacchi on om vincesse dandogli rochi et cavaller innanti”.
“Vorrei che egli avesse centomila sacchi di monete d’oro, e quante belle donne a lui piacessero, e che vincesse ogni uomo a scacchi dando in vantaggio torri e cavalli”
(per approfondimenti, si veda il recente articolo di Riccardo).
E non sono affatto pochi gli autori (antichi) che hanno scritto dei giochi ‘a vantaggio’: Damiano (Libro da imparare giuocare a scacchi, 1512), Polerio (L’elegantia, sottilità, verità della virtuosissima professione degli scacchi, 1590), Ruy López de Segura (Libro de la invención liberal, y Arte del juego del Axedrez, 1551), Gianutio (Libro nel quale si tratta della maniera di giuocar’à Scacchi, 1597), Salvio (Trattato dell’invenzione e dell’arte liberale del giuoco degli scacchi, 1604), Greco (Trattato del nobilissimo gioco degli scacchi, 1619), Carrera (Il gioco de gli scacchi: diviso in otto libri, ne’ quali s’insegnano…, 1617), Piacenza (I campeggiamenti degli scacchi,1683), ecc.
Vediamo brevemente qualcosa di significativo riportato in alcuni di questi importanti testi scacchistici.

Del Damiano sono già abbastanza chiari così, senza traduzione, i titoli di alcuni capitoli: ‘El quarto capitulo del modo de iocare quando se dara una pedona’, ‘El quinto capitulo… quando se dara una pedona e lo trato’, ‘El sexto capitulo… quando se dara lo caualo per la pedona’, ‘El septimo capitulo… quando se dara lo caualo francho’.
Polerio scrive ‘per quando si dà un pezzo’, di ‘uantaggio e la mano’ (quando si da un pezzo di vantaggio e la mossa) e anche ‘giocandosi del pari’ (giocando con pezzi pari, gli stessi).
Ruy López de Segura ci informa che “Scipione Portio Siciliano della Città di Catania, eccellentissimo Filosofo, e celebre, come le opere di lui fan fede, riceveva in vantaggio il Roccone dal Baron del Biscari, col quale usò di giuocarci gran tempo”; ma cosa significa dare il vantaggio del Roccone ? Il poter iniziare la partita con il Re e la Torre del lato di Re scambiati di posto, cioè con il Re in h1 e la T in e1, similmente ad un certo tipo di arrocco, ritenuta una posizione vantaggiosa per chi riusciva ad ottenerla durante il gioco.
Gioacchino Greco (detto il Calabrese) dava ai suoi avversari il vantaggio di pedone e una o due mosse ed il giocare “a vantaggio” era talmente in voga nell’Italia del XVII secolo che Francesco Piacenza giocò con molti giocatori napoletani, romani, livornesi e anche stranieri, spesso dando vantaggio.

“Il giocare ‘a vantaggio’ veniva considerato come il cercare quanto più possibile di equilibrare la differenza della capacità di gioco tra due giocatori (vedi anche le scommesse); molti e vari quelli elencati dal Carrera nel 1617: dare lo scaccomatto in una determinata casella, oppure darlo con un certo pedone o con un pezzo; tutto chiaramente deciso prima di iniziare la partita e se non rispettato il patto per il giocatore più forte voleva dire aver perso la partita”[4].
Certamente “La disuguaglianza del sapere de’ giocatori è stata la cagione di far nascere il Vantaggio, il quale si reputa, come bilancia del gioco”[5]
ma, oltre ad equilibrare le forze dei contendenti, quale era il principale motivo per concedere un vantaggio all’avversario? Ovviamente le scommesse in denaro! In questo modo il giocatore più debole era maggiormente invogliato a giocare e a scommettere…
A seguire notizie dantan dall’estero (Francia e Germania) e poi altre relative al pittoresco ambiente scacchistico romano dell’Ottocento:
Deschapelles (1780-1847) particolarmente dotato nei giochi (il più forte giocatore di whist della sua epoca e fenomenale scacchista), aveva imparato il nobil gioco in quattro giorni e talmente sicuro della propria forza che giocava soltanto partite nelle quali dava dei vantaggi (un pedone e una o due mosse) ai suoi avversari.
“Il primo circolo scacchistico, o per meglio dire la prima riunione di giocatori di scacchi di Berlino, sembra datare dal 1803. Quei giocatori dovevano essere di una forza rudimentale, se nel 1807 Deschappelles, il primo giocatore francese d’allora, e il maestro Labourdonnais, visitando Berlino battè tutti i membri di quel qualunque sodalizio dando loro il vantaggio della Torre!! Ma in quell’epoca turbinosa gli scacchi erano allo stesso livello in tutta Europa, eccezione fatta delle due citta di Parigi e Londra. Lodovico Bledow, un professore di matematica al Ginnasio di Berlino, che verso il 1836 passò per il più forte giocatore tedesco. La sua fama come primo giocatore tedesco del suo tempo è dovuta in parte ai suoi viaggi, che non mancava mai di fare ogni anno durante il tempo delle vacanze. Egli si mise così in relazione con tutti i giocatori più forti della Germania, e tutta la vista scacchistica di allora si aggirò intorno al suo nome. Egli fu maestro del barone Von del Lasa. Quando si accorse che lo scolaro minacciava di superare il maestro fece come Deschappelles con Labourdonnais, si ritirò e si chiuse nella propria gloria. Ciò avvenne nel 1841. Egli giocò la sua ultima partita al pari con Von der Lasa nel giorno 8 maggio 1841. Dopo non giocò più alcuna partita seria, ma soltanto delle partite cui dava vantaggio. Restò però sempre il maestro e il consulente favorito della nuova generazione e l’astro più bello della plejade berlinese. Una sua debolezza era che non giocava mai con i pezzi bianchi. Se si incontrava con un avversario che non volesse cedere sopra questo punto “Allora io non gioco” diceva semplicemente, e andava in cerca di un altro più compiacente. Dava per lo più vantaggio della Torre, e si assicurava l’attacco con un Gioco Piano. Quando il suo avversario aveva guadagnato tre partite di seguito, egli lo promoveva di categoria e lo dichiarava giocatore da Cavallo. Le sue aperture quando dava il cavallo di vantaggio erano il Gambitto Evans, il Doppio Gambitto MacDonnell, il Gambitto Allgayer e lo Scozzese. Ma se il suo avversario anche con il vantaggio del Cavallo vinceva tre partite di seguito, egli lo promoveva bensì di categoria una seconda volta – giocatore da pedone a due tratti – ma non giocava più con lui”[6].
Nel manuale del 1861 il De Riviere al paragrafo ‘Dei vantaggi e della divisione dei giuocatori in cinque classi’ scrive: “Il più piccolo grado di vantaggio è quello di permettere all’ avversario che pigli il tratto, il secondo grado è quello di dargli una mezza Pedina, il che consiste nel traslocare la Pedina del Cavallo della propria linea e collocarlo sulla 3a linea della Torre. La terza specie di vantaggio è di dare la Pedina della Torre; la quarta, quella del Cavallo, la quinta quella dell’Alfiere, la sesta, quella della Regina. Il settimo vantaggio consiste nel dare all’avversario la Pedina del Re, ch’è la migliore dello Scacchiere: l’ottavo è di dare l’Alfiere del Re, e il nono, l’Alfiere della Regina: il decimo è di dar la Regina…”[7].
Ma a Roma le ‘Classi dei giuocatori’ c’erano già da parecchi anni prima e, ancora una volta, a dircelo è il Dubois: “(1820-25) Verso questo tempo fu istituita ai Pastini la famosa Accademia sotto la protezione del Cardinale Della Somaglia valente cultore del giuoco. La presidenza fu devoluta al Cavaliere Ciccolini di Macerata grande entusiasta, ma giuocatore poco più che di mezzana forza. Qui si cominciò dal fare le classi. Per avanzare bisognava sfidare uno della classe superiore, e vincere un certo numero di partite. Che se lo sfidato rimaneva al disotto scendeva un gradino”[8].

“Nel 1865, un torneo ad handicap organizzato dal marchese Forcella nella sua casa privata con dodici giocatori, fu vinto da Seni; Bellotti arrivò buon terzo dietro al Ferrante”.
“Presso l’Accademia Romana degli scacchi nel 1873 il socio Ingami si fece promotore di un torneo ‘inter amicos’ di 6 partite al quale si iscrissero 15 giocatori; visto il felice esito di questa prima prova, se ne organizzò un’altra nel gennaio 1874 con i partecipanti divisi in 4 classi, l’una dando vantaggio all’altra”.
“Il 15 gennaio 1884 presso il Caffè Conti al solito torneo annuale sono 18 i soci iscritti: i signori Baggini, Cantoni, Cattoi, Cesana, Forlico, Ingami, Lolli, Marchetti, Mari, Raspi, Roberti, Seni, Sprega, Tofano, Tommasi, Vansittart, Venuti, Villa; in seguito ritirati Ingami, Forlico, Seni e Venuti per loro occupazioni ed i rimanenti 14 giocatori furono dalla Commissione arbitrale divisi in quattro categorie: alla pari o con i rispettivi vantaggi di Pedone e tratto, Cavallo e Torre”; a Roma, a chi veniva dato il vantaggio di una Torre o di un Cavallo veniva chiamato rispettivamente della categoria dei Torriani o dei Cavalleggeri.
Per dare un vantaggio all’avversario più debole il giocatore più forte toglieva il pedone f7 dalla scacchiera; spesso si dava una mossa di pedone di vantaggio insieme alla possibilità di muovere ancora per primo e, in alcuni casi, facendo iniziare il gioco al Nero.
Qui gioca per primo il Nero, anche dopo la mossa 1… e5
A volte veniva dato un pezzo intero di vantaggio, un Cavallo o una Torre; a volte invece a fronte del giocare con un Cavallo in meno, generalmente quello di Donna (Db1), all’avversario più debole si toglieva un pedone perché questi era ritenuto leggermente un po’ più forte di un ‘giocatore da pezzo’ (intero); più frequentemente si concedevano una o anche due mosse di vantaggio, più difficilmente tre e molto più raramente sedici mosse (!) ma col divieto assoluto di effettuare catture e di dare scacco o scaccomatto.
“Il Schachfreund di Berlino ci racconta un aneddoto il quale non è assolutamente originale: <<Un forte giocatore dava abitualmente ad un dilettante il vantaggio di poter fare in 5 minuti le prime sedici mosse di seguito senza però oltrepassare le prime quattro file dello scacchiere. Questo vantaggio un bel dì dovette essere modificato perché nell’ultima partita il dilettante (il quale probabilmente aveva avuto qualche consiglio) nei suoi 5 minuti giuocò questi 16 tratti di seguito:
1. a4 2. Ca3 3. h4 4. Cf3 5. d4 6. Cd2 7. Th3 8. Cac4
9. Taa3 10. Ce4 11. Dd2 12. Thf3 13. g3 14. Ah3 15. Df4 16. Tae3
Posizione di partenza in una partita col vantaggio di 16 mosse al giocatore più debole
dopo delle quali il forte giuocatore dovette abbandonare senza fare nemmeno una mossa, non potendo evitare uno scaccomatto forzato in due mosse!>>”[9]
In questa posizione (di partenza) con mossa al Nero si minaccia addirittura il matto in una mossa 1.Dxf7#! e, dopo le pseudo difese f6/f5/Cf6/Ch6 (per evitare tale minaccia), c’è il matto dopo Ced6+ dalla quale non ci si può difendere più perché dopo 2.cxd6 (forzata), arriva l’ovvia Cxd6#. Questo tipo di vantaggio con sedici mosse è sicuramente esagerato, tanto grande al punto che la partita per il nero è chiaramente persa perché non c’è alcuna difesa possibile; di certo furono molto più equilibrate e più interessanti le partite dei tornei e delle sfide ‘a vantaggio’ giocate all’Accademia Romana degli Scacchi o in uno dei tanti caffè della città dove si poteva giocare, spesso con in palio una piccola posta (qualche spicciolo, dei pasticcini o più frequentemente un caffè).
Nel 1840, per la prima volta, il Dubois è alle prese con un avversario a parità di forze; giacché per solito non giuoca, o se giuoca non “per fantasia di studio, e per ciò dà vantaggio ad avversari di categorie inferiori. Nella contesa col Wywill rimane considerevolmente superiore il Dubois” e nel 1846 sconfisse ancora, sempre a Roma, l’inglese Marmaduke Wywill, che solo cinque anni dopo arrivò secondo nel torneo di Londra del 1851, per 55 a 26 nelle partite all’italiana, mentre risultò onorevolmente sconfitto, per 30 a 39 al gioco ‘alla francese’ concedendo il vantaggio di pedone e tratto.
In questa partita Dubois, che aveva già pareggiato il pedone di vantaggio concesso all’avversario, con una piccola combinazione, un attacco doppio di Cavallo a Donna e Torre, guadagna un pedone per poi vincere la partita.
Nel 1849 ci fu una curiosa sfida ‘a chi prima arriva ad 11 punti, con la rivincita’, tra Dubois e Giustiniani a queste condizioni: alla 1ª partita Dubois dette di vantaggio un pedone ed il tratto, alla 2ª pedone e due tratti, nella 3ª un Cavallo e nella 4ª una Torre e così a ricominciare dal vantaggio di pedone e il tratto, ecc.: il risultato fu favorevole al Dubois prima per 11 a 7 e poi nella rivincita per 11 ad 8.
Nell’Assemblea generale dell’Accademia Romana di Scacchi del 15 dicembre 1883, svoltasi nel Caffè Conti in piazza di Pietra alla presenza di più della metà dei soci, venne approvato ‘un sol Torneo di tutti i partecipanti divisi in quattro categorie, cioè, giocatori alla pari, con vantaggio di Pedone e tratto, con vantaggio del cavallo e con vantaggio della Torre’, in pratica un torneo Open ‘a vantaggio’.
Questo invece è quanto scrisse Dubois del romagnolo ALBINI, un cinquantino d’umore gaio e festevole: “Giuocava sempre coi pezzi neri, ed era tanto tenero del suo Alfiere nero (Alfiere di Re), che non lo cambiava mai” e “Interrogato un giorno perché avesse tanta predilezione per quel pezzo , egli levando in alto l’Alfiere e mostrandolo agli astanti rispose: ‘Questo è l’Alfiere che ha fatto piangere tante famiglie!’. Un’altra curiosa scappata di questo burlone, mi ricordo di averla intesa al Caffè Spielmann in Piazza di Pietra. Una sera mentre la Società degli Scacchi era al completo trovandosi riunite insieme l’aristocrazia del sangue e quella del sapere, entra l’Albini festeggiato secondo il solito grido di ‘Viva Albini! Largo al colosso di Rodi!”. A questa sardonica suggestione il nostro uomo non si scompone, anzi atteggiandosi ad eroe da tragedia e guardando tutto all’intorno rispose ‘Signori, ecco il mio programma di questa sera: la Regina a pochi, a molti il Rocco, a tutti il Cavallo!’. Inutile dire l’effetto esilarante che produsse nella brigata questa spiritosa quanto inattesa spacconata”[10].
E ancora il Dubois quando era Londra “… converrà che io faccia menzione del Handicap o Torneo minore a categorie, il quale per più rispetti fu assai interessante. Questa specie di poule si componeva di giuocatori di varie forze classificati da apposita Commissione secondo la rispettiva abilità. Ventiquattro furono gli inscritti (io non ci presi parte), divisi in 5 categorie: nella prima stava il solo ANDERSSEN il quale doveva dare il vantaggio del tratto alla seconda categoria composta da BLACKBURNE, DEACON, FALKBEER e MEDLEY, Pedone e tratto alla terza dove figuravano Lord CREMORNE, GREEN, HANNAH, e MACKENZIE, Pedone e 2 tratti alla quarta e finalmente il Cavallo alla quinta; e così rispettivamente le classi superiori alle inferiori”[11].
Il curioso nome di Via del vantaggio a Roma pare derivi dalla famiglia nobile gli Avvantaggi [12], oggi scomparsa; scomparsa come la pratica di dare del ‘vantaggio’ al giocatore di categoria inferiore. Perfino Steinitz diceva di poter giocare con Dio concedendogli il vantaggio di un pedone e della prima mossa. Un ‘vantaggio’ non si nega proprio a nessuno.
[1] Ruggiero Mauro, Un Trattatello medievale sull’amore e sugli scacchi, 2012 revisione di L’arte degli scacchi di Luis de Lucena: amore e guerra alle origini del gioco moderno, L’Italia scacchistica, n.1186 (luglio-agosto 2006).
[2] La sottolineatura di questa frase è dell’autore dell’articolo.
[3] Padre Félix M. Pareja Casañas, La fase araba del gioco degli scacchi, estratto da Oriente Moderno, Anno XXXIII, n.10, Roma, Istituto per l’Oriente, 1953, pp. 407-429.
[4] Spina D. Santo, I giochi di vantaggio del libro quinto del trattato di Don Pietro Carrera, Lulu.com, 2018, pp.26-27.
[5] Spina D. Santo, Op. cit., p.39.
[6] La plejade di Berlino, in Nuova Rivista degli Scacchi, Livorno, 1899, p.176-177.
[7] De Riviere A., Nuovo Manuale Illustrato del Giuoco degli Scacchi, 1861.
[8] Arigoni B. (a cura di), Dubois S., 40 anni di vita scacchistica, Aetas, 2007.
[9] Nuova Rivista degli Scacchi, Livorno, 1899, p.31-32.
[10] Zavatarelli F. (a cura di), Serafino Dubois – Quarant’anni di scacchi da Campione, Messaggerie Scacchistiche, Brescia, 2017, p.14.
[11] Zavatarelli F. (a cura di), Op. cit., p.56.
[12] Silvio Negro, Roma, non basta una vita, Neri Pozza, Vicenza 2014