Chess for Children a Brescia
11 min read
(Riccardo M.)
A fine luglio del 2017 giunse in redazione la notizia della ratifica del protocollo di collaborazione fra FSI ed UNICEF per la promozione del progetto “A scuola con gli scacchi”. Era forse il primo passo concreto, in Italia, volto all’applicazione di quell’invito che nel marzo 2012 il Parlamento Europeo rivolgeva agli Stati membri dell’Unione per l’introduzione del programma “Scacchi a scuola”.
Nel testo dell’articolo che preparai e che uscì il 10 di agosto, mi mostrai da un lato speranzoso e dall’altro un po’ scettico sulle capacità del nostro Paese di recepire il messaggio ed attuarne i propositi. Scrivevo, tra l’altro: “ma cosa posso pretendere da un Paese che da decenni cerca di darsi una buona legge elettorale e non ci riesce, da un Paese che da 71 anni ha persino un inno nazionale provvisorio perché non si decide a darsene uno definitivo?”. Ebbene, è accaduto che il 15 di novembre dello stesso anno “Fratelli d’Italia” (L’inno di Mameli) sia divenuto ufficialmente l’inno nazionale italiano. Non è esattamente ciò in cui speravo: 71 anni sono stati troppi per giungere a ratificare qualcosa sulla quale il grande Ennio Morricone si era espresso senza mezzi termini: “il tema musicale è talmente brutto che sembra una marcetta di una banda di terz’ordine di qualche paesino di campagna”. Questa è l’Italia, spesso capace solo di decidere di non decidere o di ratificare un mediocre “status quo”, perfino laddove i costi di un buon cambiamento sarebbero pari pressappoco a zero.
Ma torniamo ai nostri scacchi. Qualcosa finalmente qui si muove, qualche progetto ogni tanto diventa realtà. Non sappiamo se ci sono state altre iniziative similari nel Paese, ma questa intrapresa a Brescia è davvero lodevole e lascia ben sperare che possa essere replicata altrove da persone altrettanto intelligenti, capaci e volenterose.
Ecco cosa si leggeva il 22 di febbraio scorso su il quotidiano “Il Giorno” nell’articolo di Federica Pacella, che ha lodevolmente dato il giusto spazio all’iniziativa:
“Ci sono più avventure su una scacchiera che su tutti i mari del mondo”, diceva lo scrittore francese Pierre Dumarchais, sottolineando la potenza degli scacchi. Ora gli adolescenti del reparto di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Asst Spedali Civili di Brescia possono sperimentarlo in prima persona, grazie a “Chess for Children”, progetto nato dalla collaborazione tra la direzione dell’Ospedale dei bambini, il comitato provinciale di Unicef, l’unione sportiva Acli Brescia e l’asd Alfieri del Garda.
L’articolo proseguiva riportando le parole di Elisa Fazzi, responsabile della unità operativa dell’Ospedale dei bambini: “Siamo felici che i ragazzi qui ricoverati abbiano l’opportunità di imparare gli scacchi, che stimolano l’attività cognitiva ma anche le capacità relazionali e sociali”, quelle di Marcello Paoletti, dell’UNICEF Brescia: “Il gioco ha una valenza formativa ed educativa, migliora la concentrazione, la pazienza, la creatività, la memoria, oltre che le capacità analitiche e decisionali”, e quelle di Emilio Loda, presidente US Acli di Brescia, che hanno sposato il progetto: “Promuoviamo lo sport come luogo di comunicazione educativa e di solidarietà, in cui la cura attenta delle relazioni umane diventa un percorso da seguire per orientare la vita di oggi e di domani”.
Federica (che ringraziamo per le foto che vedete qui a corredo del nostro articolo), citava quindi il protagonista principale dell’iniziativa, ovvero Daniele Almici, istruttore FSI-CONI e fondatore dell’Associazione Sportiva “Alfieri del Garda”.
Abbiamo incontrato anche noi Daniele e scambiato con lui qualche parola.
Daniele, tu quando e perché hai pensato a questa iniziativa? Quale è stato il primo input? Sai certamente che “mosse” del genere non si riscontrano quasi mai presso altre associazioni, per solito volte esclusivamente alla loro crescita interna.
(Daniele): Ho visto alcune immagini postate da UNICEF su alcune iniziative scacchistiche realizzate in ospedale, su singole giornate. Iniziative lodevoli, ma una singola iniziativa (mi sono chiesto) può veramente far la differenza? Non solo per l’ambiente scacchi, ma soprattutto per i ragazzi coinvolti. Ho quindi proposto a Unicef un corso più lungo e la proposta è stata accolta favorevolmente, a patto di trovare dei finanziatori.
Abbiamo sentito l’ospedale, fatto un paio di incontri di prova, e poi ho contattato l’Unione sportiva ACLI (che proprio da quest’anno ha un coordinamento nazionale dedicato esclusivamente agli scacchi), a cui siamo affiliati come associazione, e l’ACLI si è dimostrata entusiasta dell’iniziativa e l’ha sostenuta economicamente.
Hai immediatamente trovato appoggio e sensibilità presso UNICEF, ACLI e struttura ospedaliera o è stato un processo graduale e piuttosto lungo?
(Daniele): In realtà è un appoggio che ho trovato subito, in UNICEF sono stati i primi a proporre un’iniziativa in ospedale e hanno accolto volentieri la mia proposta a non fermarsi ad un singolo incontro ma a trasformarlo in un appuntamento fisso; in US Acli appena ne ho parlato sono stati felicissimi di partecipare, hanno dichiarato che gli enti di promozione sportiva sono nati proprio per scopi come questo. La struttura ospedaliera è stata disponibilissima a provare, anche se li ho visti dubbiosi all’inizio sull’efficacia e sul coinvolgimento, e mi ha fatto molto piacere che si siano ricreduti.
Chi sono le ragazze o i ragazzi ai quali vi rivolgete? Che età hanno e quali problemi presentano?
(Daniele): Nel reparto di Neuropsichiatria infantile ci si rivolge soprattutto ad adolescenti (la più giovane con cui ho lavorato però aveva solo 10 anni), il problema decisamente più diffuso è la depressione, ma anche disturbi alimentari.
Sono per una larghissima maggioranza ragazze dai 13 ai 17 anni.
In pratica come si attua in questo momento la vostra iniziativa? Ci sono altri insegnanti oltre te, quanti sono i giorni e quali gli impegni precisi e gli orari?
(Daniele): Per ora sono solo io, ma se qualche altro istruttore volesse partecipare, l’ospedale è grande e c’è posto per tutti in queste iniziative: di certo però non si fanno per guadagnare, lo scopo è il bene di questi ragazzi.
Per ora facciamo un incontro a settimana, tutti i venerdì, da un’ora e mezza.
Vi troverete certo di fronte a ragazze/ragazzi con problematiche, interessi e capacità molto diverse fra loro. Come fate a rivolgervi a loro con un unico linguaggio? Quale è la tecnica del vostro approccio all’insegnamento? La state adeguando man mano, a seconda dell’atteggiamento riscontrato, o è una tecnica fissata già in precedenza a tavolino e utilizzata (o suggerita) forse altrove in Europa? Ci puoi fare qualche esempio?
(Daniele): Sicuramente i partecipanti al progetto hanno caratteristiche molto diverse tra di loro, ma si riesce a gestirli grazie al fatto che sono piccoli gruppi (5-6 per volta in media).
Ora mi attirerò le critiche di molti scacchisti e istruttori, però quando mi trovo di fronte a ragazzi “difficili” adotto un metodo che non ha buona fama, ma che personalmente ho trovato estremamente efficace in taluni casi, ovvero di far giocare chi sta imparando con un pezzo alla volta: Ad esempio insegno il movimento dei pedoni e faccio fare una “battaglia” solo con quelli, poi insegno il movimento del Re e faccio fare un gioco con pedoni e Re, e così via.
Questo aiuta molto a imparare bene e coinvolgere anche chi ha una limitata capacità di attenzione, permettendo spiegazioni di 5 minuti seguiti da almeno 20 minuti di gioco.
Non esiste una tecnica unica suggerita a livello internazionale, io uso questa che ho sviluppato con gli studi e soprattutto l’esperienza dell’insegnamento sia nelle scuole sia in altri corsi particolari, come quelli (peraltro molto soddisfacenti) che ho tenuto presso un’associazione che segue ragazzi Asperger a Manerba del Garda o quello presso l’Unione Ciechi di Brescia.

Che tipo di risposta hai potuto riscontrare, dopo le prime “lezioni”, nelle ragazze? Positiva? E’ stata quella che ti attendevi, oppure? Hai notato, andando avanti con i corsi, un mutamento dell’atteggiamento delle ragazze nei confronti di questa iniziativa?
(Daniele): Devo dire che la risposta è stata molto positiva, anche più di quanto ci si aspettasse. Prima di incominciare le educatrici dell’ospedale (davvero molto brave e disponibili con le ragazze) mi avevano messo in guardia sulla difficoltà a coinvolgerle nelle iniziative e nei giochi.
Si sono sorprese anche loro quando hanno trovato delle ragazze che mi hanno seguito bene per tutta la lezione (molto giocosa, come detto sopra) e che durante la settimana hanno addirittura chiesto le scacchiere per poter giocare tra di loro.
Le ragazze interessate hanno quindi ora la possibilità, disponendo del materiale, di continuare a giocare, volendo, anche in altri momenti della loro giornata? Qualcuna di loro già conosceva il gioco?
(Daniele): Qualcuna conosceva già le regole base del gioco, circa la metà delle persone coinvolte, ma nessuna giocava regolarmente prima. Adesso qualche volta chiedono il materiale (ho lasciato in prestito delle scacchiere mie per ora, ma poi regaleremo delle scacchiere nuove all’ospedale) e giocano anche tra di loro. Che soddisfazione!
Al momento quante sono le ragazze coinvolte? Prevedete di allargare l’iniziativa anche ad altre persone e in altre strutture della città o provincia?
(Daniele): All’ospedale in totale sono state coinvolte finora una quindicina di giovani allieve. All’esterno noi teniamo corsi in almeno 3 sedi in provincia di Brescia (Lonato del Garda, Raffa di Puegnago e Castel Mella) oltre ai corsi tenuti nelle scuole. Se qualche altra struttura fosse interessata, certamente si può allargare l’attività!
L’attuale emergenza sanitaria in Italia immagino costituisca un intralcio anche a tutte le vostre attività. E’ purtroppo vero?
(Daniele): Eh sì…. A causa del COVID 19 dall’ultima settimana di febbraio non siamo potuti entrare per svolgere questa lezione, ed anche tante altre. Speriamo si torni presto alla normalità… mi mancano i miei allievi!!!
Daniele, posso chiederti quando tu, e da chi, hai imparato il gioco degli scacchi? Come hai sentito l’esigenza, a tua volta, di insegnare ad altri?
(Daniele): Certo. Io da ragazzino sapevo giusto le regole base, ma mi piaceva un sacco giocare! Poi solo a 26 anni ho potuto fare un corso per imparare qualcosina in più. A seguito di questo abbiamo aperto un piccolo circolo. Una volta è accaduto che tre bambini sono entrati nel circolo per sbirciare cosa facevamo: spiegare loro questo gioco e vederli iniziare a giocare è stato per me illuminante!
Hai qualche episodio in particolare che ci vuoi raccontare, delle tue esperienze d’insegnante, di oggi o di ieri?
(Daniele): Sì, quattro anni fa una donna ed un bambino mi hanno fatto capire che gli scacchi possono essere molto più di un gioco, e voglio condividere con voi questo episodio.
Patrizia è mamma di Mattia, un bambino affetto dalla “sindrome di Asperger” e con serie difficoltà di interazione sociale, ma non si è mai demoralizzata provando sempre ad incitarlo al massimo.
Quando Mattia ha iniziato ad andare a scuola i problemi sono stati sempre più evidenti, al che la mamma ha iniziato a iscriverlo a grest e società sportive, perché fosse costretto ad interagire con i compagni; all’inizio sembrava che gli piacesse il calcio, ma in pratica il figlio amava solo camminare per quel bel prato raccogliendo fiori senza guardare i compagni, e lo stesso avvenne in altri sport, in cui non si è mai integrato, decidendo poi di non partecipare più a nulla, con grande dispiacere della madre.
Quando Mattia frequentava la quinta elementare sono stato nella sua classe per tenere un corso di scacchi, e questo gli è piaciuto molto, è venuto anche ai corsi esterni ed ha ottenuto discreti risultati.
Ma se all’inizio giocava solo contro i pezzi dell’avversario, pian piano, dando la mano all’avversario, come da regolamento, all’inizio e alla fine di ogni partita, ha capito che di la c’era una persona, che l’altro aveva delle idee, degli obiettivi e delle strategie da comprendere per poter vincere la partita. Pian piano i pezzi di scacchi dell’altro giocatore si sono trasformati da semplici pedine su una scacchiera in un nemico, poi in un avversario, poi in un amico da sconfiggere in un divertente gioco.
Il ringraziamento di Patrizia a fine del primo corso è stato un riconoscimento indelebile e importante, che porto con me con grande piacere.
Daniele, grazie, vi auguriamo tanto successo!
E concludiamo con qualche altro pensiero.

Ho poc’anzi scritto: “persone intelligenti, capaci e volenterose”. Come tutte quelle che, ad esempio, lavorano nell’ambito dell’UNICEF. Aggiungerei “persone disposte a regalare qualcosa o molto del proprio tempo, della propria giornata, ad altre persone meno fortunate di loro”. E’ sempre questo il nocciolo, la chiave di ogni meritoria iniziativa sociale: saper essere capaci di spostare di alcuni passi all’indietro il confine del proprio naturale egoismo e saper trovare motivi di soddisfazione e di orgoglio in un ritrovato, rigenerato altruismo. Ciò non è facile, specie in un mondo e in un momento in cui l’azione di troppe persone si nota essere guidata unicamente dalla propaganda e dall’utilità personale che ne consegue.
Vi siete mai chiesti perché, ad esempio, noi amiamo gli scacchi, perché voi lettori amate gli scacchi? E cosa cercate negli scacchi e dagli scacchi?
Forse noi li amiamo non soltanto perché sono un gioco affascinante e stimolante, ma anche perché sono un’attività che ci arricchisce, che realizza la socratica esortazione γνῶθι σεαυτόν (“conosci te stesso”) e che può costituire da un lato un “rifugio dalle miserie della vita”, da un altro un riavvicinamento alla propria vita e a quella di altre persone. E negli scacchi e dagli scacchi cerchiamo, a volte perfino inconsapevolmente, il concretizzarsi di questi due aspetti prima ancora di traguardi tecnici personali.
Pertanto il nostro scopo, il vostro scopo (a meno che non siate professionisti, ma anche in questo caso si può non esserlo a tempo pieno), non deve essere diretto solo al raggiungimento di risultati individuali, all’ottenimento di riconoscimenti, premi e titoli: ciò va pure bene finché è indirizzato a testare le proprie capacità e i propri limiti, ma poi basta, altrimenti nell’ambito sociale non serve a nulla, come non serve a nulla sapere se voi siete maestri internazionali o “terza categoria sociale”, come quasi sempre non serve a nulla quella strana misura dell’Elo.
Voi e noi amici degli scacchi, voi e noi che abbiamo scoperto le potenzialità di questa attività/gioco, voi e noi dobbiamo operare come se tra gli obiettivi di questo nostro impegno ci fosse la diffusione e la conoscenza delle meraviglie degli scacchi e quindi ogni possibilità d’intervento sociale degli scacchi fra l’intera popolazione del Paese. Quella che è stata la nostra fortuna, l’aver conosciuto gli scacchi, non dobbiamo tenercela chiusa egoisticamente nei nostri cassetti o nei P.C. e per una nostra effimera gloria, ma va trasmessa e regalata a più persone possibili, soprattutto a quelle più bisognose di una mano, come accade in questi giorni a Brescia grazie a Daniele e agli “Alfieri del Garda”, all’UNICEF, alle ACLI, alle strutture sanitarie della città.
Un augurio? Ovviamente l’augurio principale è che iniziative come queste di Brescia (e località limitrofe) e dell’amico Daniele durino per sempre e che costituiscano esempio e guida per tante altre simili. Ma per arrivare a ciò dobbiamo anzitutto augurarci che alla più alta guida di alcuni organismi, nazionali o periferici, quali il CONI, la FSI, le ACLI, i comuni e via via le stesse associazioni scacchistiche e sportive territoriali in genere, possano essere scelte donne e uomini con ben determinate caratteristiche, donne e uomini che sappiano lavorare bene e in sintonia tra loro e dare il meglio nella direzione che è stata tracciata e indicata dagli splendidi amici di Brescia, direzione che noi auspichiamo possa essere la prima stella polare della loro vita.
Albert Einstein ci ricordava che “soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere”. E allora avanti, facciamo come Daniele. Proviamoci!