Le donne, gli scacchi e qualche pagina di futuro
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Maria Aleksandrovna Kolesnikova, musicista e politica bielorussa.
(Riccardo M.)
Chiedo anzitutto ai lettori di comprendermi: ho iniziato a preparare questo post pensando esclusivamente al ruolo delle donne negli scacchi. Poi, ascoltando Bill Gates, ho sviluppato alcune riflessioni sul futuro che bussa alle porte dell’umanità, minaccioso quanto affascinante.
Nella nostra intervista di settembre all’allora candidato alla presidenza della Federazione Scacchistica Italiana (intervista che potete leggere integralmente qui “Incontro con Luigi Maggi, candidato alla Presidenza FSI“) avevamo chiesto tra le altre cose a Luigi Maggi …
“… se è possibile augurarsi, nel futuro della FSI, un incremento del settore femminile ed un’attenzione sempre maggiore a settori specifici quali quelli per scacchisti disabili e non vedenti/ipovedenti. Attraverso quali iniziative?”
In merito allo scacchismo femminile, che resta in ogni modo il tema prevalente di questo articolo, ecco la risposta di Maggi:
“Attualmente la componente femminile è attestata al 18% dei tesserati che non è poco se comparata con altre nazioni europee ma assolutamente migliorabile, tanto che ho proposto di raggiungere il target del 22% di presenza femminile a fine quadriennio. La crescita dovrà riguardare sia le praticanti sia la presenza di un maggior numero di dirigenti e arbitri al femminile. Per questo, conto molto sui consiglieri eletti con le cosiddette “quote rosa” per un Piano operativo di sviluppo del settore”.
In verità io mi sentirei di dire che quel target dovrebbe teoricamente essere del 50%, ma che, restando, come ha fatto Maggi, su un 22% da raggiungere nel quadriennio presidenziale, ci si mostra più realistici e non ci si sbilancia troppo.

Vedremo quali saranno i risultati che otterrà Luigi Maggi: personalmente ho l’impressione che il nuovo Presidente abbia le doti manageriali e la visione per poter superare i suoi stessi obiettivi e per cogliere le occasioni che si presenteranno. Il mondo infatti si sta avviando verso trasformazioni profonde, che l’esplosione del COVID-19 accelererà, e gli scacchi non devono assolutamente perdere il treno del cambiamento.
Di più, non dimentichiamo che gli scacchi stanno godendo di un incredibile momento di successo, trascinato dal film “La regina degli scacchi”, un momento che va sfruttato, vista quella visibilità ottenuta che, per esempio, ha indotto un quotidiano quale “La Gazzetta dello Sport” a offrire agli scacchi, lo scorso 21 novembre, ben 4 pagine del suo supplemento del sabato con due articoli (“Questa regina ha fatto boom” e “L’espressione del genio”). Al film abbiamo anche noi di UnoScacchista dedicato un bel post, che, non a caso, ha largamente battuto tutti i nostri record di letture: “La Regina degli scacchi”: da non perdere.
Ma perché, mi chiedo adesso, è così difficile vedere le donne davanti ad una scacchiera in maniera meno sporadica di quanto accaduto fino ad oggi (e non solo in Italia, come sottolinea Luigi Maggi)? Perché? Le risposte non sono molteplici ma sono articolate, è ovvio, e qui non desidero essere esaustivo ma soltanto stendere sul tappeto (o sulla scacchiera) qualche spunto di ragionamento.
E per tali spunti parto da una intervista che a Vincenzo Ligresti ha concesso il 19 novembre scorso la WGM ed ex campionessa italiana (di origine ucraina) Elena Sedina, della quale riporto testualmente il passaggio attinente l’argomento:
“Per quanto riguarda i premi dei campionati nazionali, poi, dipende dal paese. In Italia l’anno scorso il primo premio per il campione italiano è stato di cinquemila euro, mentre per la prima del campionato femminile di millecinquecento.
Qui gli scacchi sono molto poco considerati, basta fare un paragone: si sono appena conclusi i campionati statunitensi e lì l’ultima classificata vince quanto la prima italiana.
Ma a prescindere dai guadagni, c’è disparità anche lì: il primo campione assoluto vince 40mila dollari, mentre la prima campionessa femminile 25mila.

“Purtroppo noi donne siamo in netta minoranza, non superiamo il 10 per cento di tutti i giocatori e questo si riflette in tutto il resto. Ci sono per l’appunto i tornei dove uomini e donne giocano insieme, poi quelli riservati alle donne. Esiste per il momento questa distinzione, e penso sia indispensabile. Per dire: quando sono arrivata in Italia ero nella ‘top five’ dei giocatori, ma non sono mai stata selezionata per la squadra nazionale (che sulla carta è mista), ma solo per la nazionale femminile. È difficile combattere gli stereotipi”.
Stereotipi, dunque … Elena Sedina parla di cose che conosce molto bene, ma credo che forse perfino lei si lasci, certo inconsapevolmente come del resto tutti noi, un pochino condizionare da quegli stereotipi che ci circondano: altrimenti forse nella frase precedente non avrebbe aggiunto le parole “… penso sia indispensabile”, o le avrebbe aggiunte con qualche ulteriore appendice. “Indispensabile” perché?
Un’altra nostra “nazionale”, Marina Brunello, ascoltata di recente dal “Corriere della Sera”, afferma che “… 50 anni fa (noi donne scacchiste) eravamo viste in modo strano, ancora adesso siamo poche e di conseguenza è più difficile emergere”.

Vero, ma (permettetemi anche qui) “viste in modo strano” perché? Tuttavia è logico: già uno scacchista-uomo è considerato in giro, dal sentimento comune, una persona un po’ strana; figuriamoci una donna, che così si allontana ancor più da quella figura che la società patriarcale e maschilista le ha da sempre ritagliato su misura. Forse è anche colpa nostra, di noi che abbiamo amato e amiamo gli scacchi e che non sappiamo correttamente trasmettere agli altri il messaggio che il gioco degli scacchi rappresenta. Ma quel tabù può essere infranto, anche se non è così semplice.
Abbiamo infatti visto come in questo secolo, anzi in queste settimane, certe emittenti radiofoniche legate al cattolicesimo più tradizionalista e bigotto ricevano su Facebook milioni di “like” quando fanno trasparire che la crisi della civiltà occidentale sia anche (o tutta?) colpa ‘delle femministe e delle gattare’ (mi riferisco ad una azzardata e nota vignetta pubblicata nel 2019). E abbiamo visto quanto altrettanti “like” le stesse ricevono quando scrivono (sintetizzo) che la pandemia da COVID-19 “è un progetto del demonio che, attraverso menti criminali, prepara un colpo di Stato sanitario o massmediatico”.
Questo per evidenziare come l’anti-razionalità e l’antifemminismo siano due aspetti di quella stessa medaglia che, ripudiando la scienza e le conquiste sociali degli ultimi decenni/secoli, cercano di riportare indietro nel tempo gli orologi del pianeta. Vorrei precisare che per antifemminismo non intendo maschilismo: l’antifemminismo, che è tipico delle ali più conservatrici e ortodosse di ogni religione, è subordinazione delle donne, da relegare esclusivamente a loro presunti ‘doveri familiari’, è contrarietà alla loro emancipazione; perfino certe donne possono pertanto risultare antifemministe.
Secondo quelle visionarie teorie, al “complotto delle elites” (si riferiscono in particolare a George Soros, n.d.r.) “per mettere in ginocchio l’umanità, farla sprofondare nell’ateismo e costruire il mondo di Satana” deve contrapporsi, quanto al ruolo delle donne, quella intransigente dottrina che le vede subordinate all’uomo e in pratica relegate intorno all’antico “focolare domestico”, a lavare i panni, a cucinare, a servire il marito, a procreare.
E simili stupidaggini complottistiche, rozze e reazionarie, proprio perché tali raccolgono vastissimi consensi in quel grande mare di irrazionalità ed ignoranza di chi, navigando a vista (donne e uomini, giovani e anziani), si abbevera fideisticamente (è questo l’analfabetismo religioso) alle fonti di facili e accattivanti slogan. Questi consensi paiono purtroppo in preoccupante crescita negli ultimi anni e potrebbero minare, a lungo andare e se non vigileremo a sufficienza e con la retrocessione della cultura media, le stesse fondamenta del corretto vivere sociale e di quelle democrazie che sono state faticosamente, e solo recentemente, conquistate dopo secoli di guerre e milioni di morti.
Le donne invece hanno la capacità, sensibilità e intelligenza per poter stare ovunque alla pari degli uomini. In molti campi, come in politica, addirittura già sono avanti perché possono vantare risultati mediamente più concreti dei loro colleghi uomini: nelle democrazie mondiali le donne ne stanno dando oggi prova, e non soltanto con Angela Merkel, persona di grandissimo spessore storico internazionale alla quale (e a pochi altri) si deve il fatto che le istituzioni europee abbiano finora retto l’urto di chi stolidamente vorrebbe seppellire l’idea di Europa. Angela Merkel ha un po’ ricevuto un ideale testimone da un’altra signora della politica europea, la britannica Margaret Thatcher, che è stata per ben 11 anni alla guida del suo Paese, e soprattutto da quella figura di primissimo piano della politica mondiale che fu nello scorso secolo Indira Gandhi. Non posso non sentirmi oggi fortemente dalla parte di Angela, dalla parte di una donna che ha fatto della competitività e della solidarietà i due cardini della propria azione politica.

Ancora, in Europa siedono in posti della massima responsabilità un’altra tedesca, Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione europea, e la francese Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea. In Finlandia c’è Sanna Marin, in Slovacchia Zuzana Caputova, in Nuova Zelanda Jacinta Ardern, a Taiwan c’è Tsai Ing Wen, nel Nepal Bidhya Devi Bhandari. E tante altre ancora, per finire col nome più recente affacciatosi nel palcoscenico mondiale più importante: Kamala Harris, neo vice-Presidente degli Stati Uniti.
Alla lituana WGM Viktorjia Cmylite invece già abbiamo dedicato un post, questo “Viktorija Čmilytė-Nielsen: donna, scacchista e politica di successo“. In verità la Lituania ha aperto da tempo la via all’ingresso delle donne in politica, dal momento che Dalia Grybauskaitė ne è stata Presidente per 10 anni tra il 2009 e il 2019.
Da ultima è emersa, negli scacchi, la figura della lettone Dana Reizniece-Ozola, nominata a gennaio “Managing Director” della FIDE; di lei abbiamo parlato qui pochi giorni fa e di lei vorrei ricordare una frase significativa: “… ho avuto la fortuna di trovare in Lettonia delle scuole che, indipendentemente dalla situazione economica delle famiglie, insegnano ai bambini, oltre alle materie di base, anche sport, arte e musica, consentendo loro di avere le opportunità per sviluppare il talento….”
Perfino le opposizioni a certi regimi si sono in alcuni casi coagulate attorno ad una figura femminile, ad esempio quella di Maria Kolesnikova (nell’immagine di copertina) in Bielorussia. Maria, che è anche un’apprezzata flautista, è divenuta eroica ( … a proposito di “sacrifici di donna”) leader dell’opposizione a Lukashenko dopo che la sfidante del premier, Svetlana Tikhanovskaya, è stata costretta la scorsa estate ad emigrare in Lituania. E ci sono altre donne alla guida di altri Paesi, come tornerò ad accennare più avanti.
Il gioco degli scacchi non deve far eccezione. Un giorno avremo forse una donna anche alla Presidenza della F.S.I. e prima o poi alla Presidenza del CONI e (chissà?) alla Presidenza del Consiglio o della Repubblica. Tuttavia l’Italia si dimostra purtroppo una riottosa Cenerentola su questo percorso, e senza neppure bisogno di avere un Lukashenko come premier.
Marylin Monroe diceva che “le donne sagge conoscono i propri limiti, le donne intelligenti sanno di non avere dei limiti”.

E infatti negli scacchi le qualità che contano appartengono alle donne quanto agli uomini: intelligenza appunto, e poi memoria, intuito, senso artistico, concentrazione, pazienza, equilibrio, saldezza di nervi. Forse, lasciatemelo dire, una piccola differenza ad alto livello fra donne e uomini la potrebbero fare, in favore degli uomini, soltanto la cattiveria e la violenza. Kasparov disse che “gli scacchi sono il più violento dei giochi”, e Fischer andò ancor più in là, dicendo che l’obiettivo di uno scacchista è “schiacciare la mente dell’avversario”. Ovviamente, quando si parla di violenza, s’intende ‘violenza psicologica’.
Preciso meglio una cosa, tornando al movimento scacchistico femminile: io sono d’accordissimo con quanto sostengono Elena Sedina e Marina Brunello. Il guaio del movimento femminile è che le donne sono troppo poche per emergere e sono troppo poche perché non sono sufficientemente incentivate, anzi tutt’altro. E non trovano motivazioni anche per le giuste considerazioni che Elena fa intorno alla esiguità dei premi che ovunque sono loro riservati.
Credo pertanto che le differenze che oggi si riscontrano nelle graduatorie mondiali, in termini sia numerici sia di punteggio Elo, derivino al 99% dalla scarsissima partecipazione delle donne a competizioni di qualunque livello, dilettantistico (vita di circolo) e professionistico.
Che fare, di conseguenza?
Fare si può, eccome se si può: anzitutto lottare per abbattere e far abbattere quegli atavici pregiudizi accennati da Marina Brunello. Voi ritenete normale che (come ricordava Elena Sedina) una donna che vince il campionato italiano abbia un premio di appena 1.500 euro quando il vincitore-uomo ne ha 5.000? Normale non è, come non lo è, a mio parere, riservare delle competizioni esclusivamente alle donne. Tornei femminili? No, gli scacchi sono uno sport diverso da un’atletica, dove, a causa del differente rendimento muscolare, non puoi far correre (ad esempio) i 100 metri da donne e uomini insieme.
Se io fossi nei panni di un Presidente della Federazione scacchistica, proporrei di organizzare, tanto per cominciare, i campionati italiani esclusivamente attraverso un Super-torneo “Open”, aperto quindi a donne e uomini, ma senza fasi giocate di qualificazione, con un sforzo rimarchevole sul piano pubblicitario e con un numero considerevole di partecipanti: prender parte alla finale di un campionato italiano è un sogno di quasi tutte/i le scacchiste/i, perché allora limitare il recinto a pochi eletti e dedicare lo spettacolo ai soliti quattro appassionati? Perché non mantenere alto l’interesse di un pubblico il più ampio possibile attraverso numerose giornate di gara e turni, con un nutrito gruppo di donne e uomini a gareggiare?
Di formule se ne potrebbero immaginare diverse. Ne propongo una solo a mo’ di esempio: un Super torneo a sistema svizzero di 10 turni con 32 partecipanti, dei quali almeno 10 dovranno essere donne, le prime 10 per punteggio Elo. Gli uomini quindi non potranno essere più di 22 in ogni caso: i primi 22 per Elo.
A fine torneo, oltre alla classifica generale unica, si potrebbero estrapolare due classifiche separate, femminile e maschile, onde attribuire i titoli e le posizioni del podio. I premi in denaro dovrebbero essere paritari: la prima, la seconda, la terza arrivata ecc… debbono essere premiate esattamente come il primo, il secondo, il terzo arrivato ecc…. Sarà un incentivo, che, se esteso ad ogni altro torneo, spingerà molte più donne ad avvicinarsi agli scacchi, nonostante tutto e nonostante gli ancora diffusi pregiudizi nei loro confronti.
Si potrebbe anche ragionare, a parziale modifica di quanto appena detto, sulla possibilità di assegnare il titolo di campione italiano assoluto attraverso un successivo match fra i due primi classificati di questo Super-torneo: abbiamo visto nel 1972 (con Fischer-Spassky), e più avanti, quanto il pubblico indistinto, anche solitamente non interessato, apprezzi e segua la sfida individuale, il braccio di ferro fra due menti e due stili di gioco.
E allo stesso modo, sul principio della paritaria spartizione dei premi in palio, agirei e chiederei di agire se fossi uno sponsor di tornei. Ecco, assegnare alle donne in ogni torneo Open premi superiori a quelli di oggi significa incentivare la presenza femminile negli Open e creare, per le migliori di loro, superiori opportunità di esperienza e crescita.
Un esempio di come le donne oggi possono essere avvantaggiate dalla partecipazione a forti tornei “Open” lo possiamo vedere dall’ultimo campionato “Open” di Ucraina, disputatosi nello scorso novembre. Vi hanno preso parte 37 giocatori (31 uomini e 6 donne), dei quali 17 col titolo di GM (15 uomini e 2 donne). Al 36° posto per rating (appena 2222) c’era la ventenne maestra internazionale Olena Martynkova, la quale difficilmente avrebbe, in tornei per sole donne (quand’anche avessero partecipato tutte le più forti giocatrici ucraine) e in tornei minori, la possibilità di fare esperienza preziosa affrontando, com’è avvenuto, diversi GM ed MI, e ottenendo valide e combattute patte con, ad esempio, i GM Neverov, Golubka, Shishkin … tutta gente dalla quale la dividevano in partenza la bellezza di circa 250 punti Elo. Ecco, sono proprio queste le occasioni che debbono essere date alle donne, per contribuire ad un loro salto di qualità e per trovare nuove giocatrici capaci di provare ad emularle.

“Thanks to chess I can travel the world, see a lot of beautiful places and meet interesting people” (O. Martynkova su “ChessAssist”)
Un esempio ancor più recente di quanto sto affermando lo riscontriamo nel Memorial Lozovatsky, tuttora in corso a Chelyabinsk (Russia), dove la stessa opportunità sta meritatamente verificandosi con la quindicenne inclassificata kazaka Liya Kurmangaliyeva (Elo 2078), che ha potuto già confrontarsi con 2 GM e 5 tra IM e FM e che dopo 8 turni ha ben 4,5 punti. Anche per la carriera di questa promettente ragazza il forte torneo ‘Open’ di Chelyabinsk, dove sono impegnati 25 tra GM e WGM, avrà alla fine rappresentato una magnifica occasione di riflessione e di crescita.
A questo punto concedetemi di fare qualche divagazione più generale.
FIDE ed FSI devono stare al passo con i tempi, cosa che non sempre è accaduta e cosa che sarà fondamentale negli anni a venire. Bisognerà regolamentare bene il gioco on line, che è naturalmente in rapidissima espansione, ma che potrebbe rallentare tale espansione se non si troverà il modo di arrestare i furbi che fanno uso dell’informatica per vincere le partite.
E bisognerà arrivare, nel gioco a tavolino, a decidersi su una diversa distribuzione del tempo a disposizione di ciascun giocatore. In secoli lontani si utilizzava un tempo massimo per ogni singola mossa (!), negli anni che io meglio ricordo (gli anni ’80) il tempo di riflessione era di 2 ore o due ore e mezza per le prime 40 o 45 mosse. Io penso che sia giunto ormai il momento di trovare un’equa via intermedia fra partite molto lunghe (non troppo apprezzate da mass media e neofiti) e il gioco blitz (non apprezzato dai puristi del gioco corretto).
Ho accennato ai profondi cambiamenti e alle sfide che ci aspettano nei prossimi anni, al di fuori degli scacchi.
Parliamone adesso due minuti, focalizzandoci alla fine in particolare sull’Italia e terminando per oggi, qui giunti, il discorso scacchistico. I lettori meno interessati a questi ultimi temi possono, se vogliono, spegnere a questo punto i loro cellulari e tablet.
Temo che sia proprio il recondito timore di non saper accettare tali cambiamenti e tali sfide a far ‘arroccare’ una parte della popolazione mondiale dietro folli ideologie reazionarie inculcate da falsi profeti o da aspiranti dittatori.
Ho molto apprezzato un interessante intervento, qualche settimana fa, di uno dei personaggi di maggior successo e lungimiranza degli ultimi decenni, Bill Gates, il fondatore di Microsoft:
“(in futuro) … le persone andranno meno in ufficio, faranno meno viaggi, utilizzeranno videochiamate col loro medico. I software che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia si evolveranno velocemente, lo smart warking permetterà di ridefinire la vita urbana: meno città affollate, meno spese di trasporto e alloggio per i lavoratori. Meno contatti sociali sul lavoro possono incentivare quelli con la propria comunità di appartenenza, e con maggiore energia …”.
Una rivoluzione ci attende, indubbiamente. La possiamo pensare più o meno diversamente da Bill Gates, ma dovremmo imparare tutti a ragionare come fa Bill Gates, perché se è vero che è importante conoscere la storia dell’umanità, cioè capire come e perché siamo arrivati fin qui, è anche vero che la nostra vita dovremo viverla tutta esclusivamente nel futuro, perché ogni momento di ogni giornata non è più futuro, diventa subito il passato.
Scriveva Søren Kierkegaard che “la vita può essere capita solo tornando indietro, ma deve essere vissuta andando avanti”. E la vita delle persone può migliorare solo se siamo convinti che ciò che è accaduto oggi può essere migliorato domani e che ciò dipenda anche dalle nostre decisioni, da noi.

Soprattutto, il futuro non deve più coglierci incerti e impreparati, come è stato nel caso della pandemia da coronavirus. Oggi dovremmo saper guardare oltre, questo il COVID ce lo ha insegnato. Non si può in Italia decidere (impiegando tra l’altro dei giorni) se una Regione è “rossa” o “arancione” o “gialla” sulla base di dati parziali e superati dagli eventi e senza peraltro raggiungere, nonostante l’utilizzo di “inaderenze costituzionali” (i DPCM), risultati soddisfacenti: giova ricordare che nel 2020 l’Italia è risultata il Paese al mondo con il più alto numero di persone decedute in rapporto alla popolazione e quello col maggior calo del PIL dopo l’Argentina.
“Non so se ci avete fatto caso” -scrive il sociologo Luca Ricolfi nel libro ‘La notte delle ninfee‘, gennaio 2021- “ma fra i Paesi lontani quello che meglio ha saputo domare il virus è la Nuova Zelanda, guidato dalla premier Jacinda Ardern; in Europa i tre Paesi che hanno evitato la seconda ondata sono tutti e tre guidati da donne: Erna Solberg in Norvegia, Sanna Marin in Finlandia, Mette Frederiksen in Danimarca; come pure guidata da una donna, Katrin Jakobsdòttir, è l’Islanda, altro Paese in cui una vera seconda ondata non c’è stata… Insomma nelle società avanzate le donne premier sono poche (6 su 29 Paesi), ma tutte hanno riportato successi importanti nella lotta al COVID. Può essere un caso. O forse no“. Questo per riallacciarmi al tema di fondo del presente articolo.
Altre sfide gigantesche attendono certamente l’umanità nei prossimi decenni, dovremo difenderci da altre probabili pandemie e da enormi sovvertimenti climatici. Non possiamo perdere altro tempo, altrimenti saremo travolti. Dobbiamo sapere che, sempre restando fedeli ai nostri principi morali, dovremo rivedere ogni nostra azione e ogni comportamento, adeguandoli ai contenitori scientifici, tecnologici e sociali che la realtà, e le competenze delle persone che indicheremo al governo dei Paesi, saprà presentarci; e, possibilmente, partecipare noi stessi a tali sfide. Non basterà più, come si poteva fare un tempo, ritirarci a coltivare un orticello in montagna. Occorre agire, e subito, lavorare di più e smettere di dire “stiamo lavorando”.
Queste riflessioni sono proiettate verso un futuro con delle pagine che s’intravvedono (assai più chiaramente di me le possono vedere Bill Gates o altri) ma che sono tutte da disegnare. A queste pagine purtroppo sta andando oggi incontro, permettetemelo, una Italia impreparata e attonita, impastata e soffocata da una giungla di leggi e leggine (pare che siano circa 160.000 contro le 3.000 dell’Inghilterra e le 5.000 della Germania), da conflitti tra Stato e Regioni, da un’amministrazione pubblica pachidermica, da una burocrazia farraginosa e inutilmente sovrabbondante, da una giustizia grottescamente lenta, da un debito pubblico spaventoso (pari a circa 2.600 miliardi di euro) e infine da partiti politici che, anziché riprogettare il Paese sulla base delle moderne tecnologie e delle trasformazioni sociali e della nostra fondamentale partecipazione all’Unione Europea, si preoccupano più che altro di guardare l’andamento dei sondaggi misuratori del consenso popolare.
Per di più, restano difficilmente estirpabili gli atavici nostrani mostri quali ignoranza e analfabetismo religioso, corruzione, raccomandazioni, delinquenza, evasione fiscale e mafie, ai quali si sono aggiunti, a peggiorare il quadro, mostri più recenti (o nel passato solo dormienti) come negazionismo, antisemitismo, populismo, complottismo, sovranismo, egoismo, parassitismo e razzismo. A proposito di antisemitismo, e ritornando un attimo alle donne, l’Italia è l’unico Paese al mondo dove una superstite di Auschwitz (la senatrice Liliana Segre) è stata minacciata di morte e ha dovuto avere una scorta.

L’Italia è ormai prossima allo Zeitnot ed allo Zugzwang: riuscirà a salvarsi e a risollevarsi? Sì, ma solo se saprà mettere presto da parte l’italico vizio che ha accomunato in questi decenni tutti (più o meno) i nostri governanti e un po’ tutti quei poteri autoreferenziali dormienti sopra effimeri allori: il “procrastinare” ogni cosa. Come affermava il grande psicologo statunitense Wayne Dyer, “il procrastinare è l’arte di stare al passo con ciò che è successo ieri, per evitare il domani”.
Il domani, invece, non può essere evitato, è sempre più vicino e, prima o poi, di questo passo rischierà di sopraffarci.