Le siciliane e le patate di Paulsen
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(Riccardo M.)
Louis (Ludwig) Paulsen nacque a Nassengrund, nei pressi di Blomberg, cittadina della Vestfalia (Germania) il 15 gennaio 1833. Fu il papà, il dottor Carl, ad insegnargli il gioco quando aveva appena 5 anni, e deve averlo fatto molto bene perché il bambino a 10 anni giocava già correttamente e batteva tutti i giocatori di Blomberg che gli venivano messi di fronte.
E non male giocavano anche i suoi fratelli Wilfried, Ernst, Amalie ed Emilie. All’età di 21 anni, nel 1854, emigrò in America in compagnia del fratello Ernst e si mise con lui in affari a Dubuque, nello Iowa, nel settore del commercio e coltivazione del tabacco e della patata. Ma non aveva dimenticato gli scacchi e così tre anni dopo fece il suo ingresso al Circolo Scacchistico di Chicago.
Nell’ottobre 1857 prese parte a New York al torneo del primo Congresso Americano, e ottenne il secondo posto alle spalle di un promettentissimo ragazzo di quattro anni più giovane di lui, Paul Morphy.
Nel 1858 fondò il “Dubuque Chess Club”.
Un altro fratello, Wilfried, giocava spesso a scacchi, ma senza troppo eccellere. Viceversa qualche momento di celebrità sulla scacchiera lo ebbe la sorella Amalie (che aveva sposato un medico americano e si era trasferita a New York) e della quale abbiamo perfino la trascrizione di una partita che vinse contro Louis.
Dove molto presto Louis Paulsen si mise spettacolosamente in luce era nel giocare a memoria, ovvero alla cieca. La sera del 10 ottobre del 1857 tenne una simultanea alla cieca di quattro partite, delle quali perse solo quella contro Morphy, il quale pure gli replicava alla cieca per combattere ad armi pari. Una settimana dopo ripeté l’esperimento, stavolta con 5 avversari, vincendo una medaglia d’oro messa in palio dal Comitato del Congresso con una speciale dedica e consegnatagli dallo stesso Morphy.
Ormai ci aveva preso gusto e dal 18 al 20 febbraio 1858 giocò altre 7 partite alla cieca, vincendole tutte. All’inizio di maggio si alzò l’asticella e al circolo di Chicago venne organizzata una simultanea alla cieca su 10 scacchiere, brillantemente superata con l’ottimo risultato di 9 vinte e una patta. La sua fama si propagò negli Stati Uniti e giunsero altre speciali richieste, a Reck Island e a Davemport. E lui superò presto il suo record. A Saint Louis ne giocò 12 e a Dubagne 15. Dopo quest’ultima prestazione dichiarò di non essere stanco e che la successiva sarebbe stata su 20 scacchiere; ma invece forse era proprio stanco, perché nelle cronache non si trovò traccia di una simultanea su 20.
Era strano Paulsen, sembrava preferisse giocare a memoria piuttosto che guardare la scacchiera. E la cosa curiosa era che a memoria era anche abbastanza rapido a muovere, dicono al massimo due minuti a mossa. Viceversa quando guardava la scacchiera poteva fissarla anche per un’ora senza fare un gesto.
Queste simultanee alla cieca, alle quali il pubblico dei circoli non era abituato, costituivano un po’ uno spettacolo ed anche un momento di studio da parte di specialisti; un medico che lo seguì una volta disse che nulla di anormale era emerso dall’esame della persona e che solo il suo polso aveva accennato a qualche accelerazione: 110 pulsazioni al minuto.
Nel gioco regolare, tuttavia, queste accelerazioni del polso non corrispondevano, come abbiamo detto, ad altrettante accelerazioni della mano, che solitamente era sempre ferma e lontana dal toccare i pezzi. Nell’incontro Paulsen-Morphy, a New York nel 1857, “Paulsen” –scriveva H.C.Schonberg- “era di una lentezza esasperante, tanto quanto Morphy era veloce. Dicono che lacrime di frustrazione scorressero sul viso di Morphy mentre aspettava immobile che Paulsen muovesse i suoi pezzi. Morphy impiegò al massimo dodici minuti per un sacrificio di Donna, mentre Paulsen ne passò 75 a decidere se accettarlo o no e meditava mezz’ora buona sulle altre mosse ….”
Ne “L’arcangelo degli scacchi” lo scrittore Paolo Maurensig scrisse la storia di Morphy e finge di darci una descrizione di Paulsen con le parole del grande americano, queste:
“Indossava una giacca grigia con i risvolti in velluto verde e i bottoni rivestiti in pelle. I tratti del suo volto richiamavano in qualche modo le sue origini teutoniche, almeno secondo l’immagine che mi ero fatto: il cranio allungato, la pelle chiara, i capelli biondi leggermente ondulati sulle tempie, lo sguardo glaciale e supponente ……………. Per ore e ore osservai quel volto su cui di tanto in tanto indugiava un’espressione melanconica, e quella fronte pallida, tracciata da una vena azzurrina che nei momenti di maggior concentrazione si gonfiava fin quasi a scoppiare. E la mia reazione alla sua lentezza era l’estrema rapidità della risposta, quasi volessi compensare il suo scialo. Gli unici ad avvantaggiarsi del perenne dilungarsi dei giocatori erano i fotografi e i ritrattisti che avevano ogni agio per eseguire il loro lavoro: quanto a immobilità, infatti, non c’è modello migliore di uno scacchista preso nel vortice dei propri pensieri ….”
Scriveva il Chess Monthly che non esisteva praticamente apertura che Paulsen non avesse saputo arricchire di idee originali. Lui era davvero così avanti rispetto ai suoi contemporanei che 140 anni fa i tempi non erano ancora scacchisticamente maturi per accogliere la profondità delle sue idee sulle aperture. Il tempo gli avrebbe reso giustizia e la “Difesa Siciliana”, tra le più giocate di ogni tempo, deve molto alle idee di Paulsen, uno dei primi giocatori capaci di cercare il giusto equilibrio fra solidità ed elasticità di un sistema difensivo.
La Difesa Siciliana veniva giocata già prima di Paulsen, si chiamava così da qualche decennio. Il nome glielo diede, in onore del siciliano Pietro Carrera che ne dovrebbe essere stato l’inventore, l’inglese Jacob Sarratt (1772-1819), di professione maestro elementare, un autore di alcuni libri che agli inizi dell’Ottocento contribuirono in maniera determinante al successo degli scacchi a Londra e nella penisola britannica. Ma Sarratt era anche un giocatore molto noto all’epoca in Europa, e qualcuno lo considerava il più forte di tutti dopo il tramonto di Philidor e di Verdoni. Il nome “Siciliana” apparve per la prima volta nel trattato di Sarratt “The Works of Damiano, Ruy Lopez and Salvio”, del 1813.
Louis Paulsen andò ben oltre il Sarratt. Lui fu il primo fra i grandi nomi dell’Ottocento ad intuire le grandi possibilità che poteva dare un gioco non simmetrico (1.e4,e5 è quello che andava per la maggiore prima di lui) e che un attacco poteva provenire non soltanto dalla ricerca di soluzioni aperte e brillanti ma anche da una impostazione strategica difensiva che desse la priorità ai concetti di difesa e di rafforzamento progressivo della posizione.
Con 1.e4 c5 2.Cf3 e6 3.d4 cxd4 4.Cxd4 a6 l’idea è quella di giocare la Donna nera in c7, l’alfiere in b4 o c5 ed eventualmente rifugiarsi in a7, riservarsi la spinta del pedone “d” in d6 o d5, ed è una linea che può portare a posizioni tranquille e chiuse. Si tratta, soprattutto, di un impianto in cui la comprensione delle possibilità degli sviluppi della posizione prevale sui calcoli combinativi dei giochi aperti spesso alla sua epoca ricordati a memoria.
Tuttavia Paulsen, che era un vero appassionato di aperture, dedicò vari studi anche ai giochi aperti, in particolare ad alcuni gambetti quali il Gambetto Evans, il Gambetto Muzio, il Gambetto Kieseritzky e il Gambetto Scozzese.
In un suo lavoro del 1959 Hans Kmoch scrisse che a suo parere Paulsen avrebbe anche inventato la “variante del Dragone” della Difesa Siciliana. E probabilmente fu uno dei primi ad introdurre nei tornei la difesa Pirc.
Le idee di Paulsen influenzarono profondamente Steinitz, e la sua concezione della Siciliana sarebbe poi stata rilanciata superbamente dalla scuola sovietica degli anni ’50, segnatamente con il maestro Kan, e successivamente con Taimanov e Polugaevsky.
Louis Paulsen, persona saggia e dai modi semplici e garbati e dalla sconcertante puntualità, deve essere indubbiamente considerato come uno dei pionieri degli scacchi moderni.

Ma torniamo al giocatore Paulsen, che nel 1860, appena tre anni dopo l’esperienza americana, rientrò in Europa, di certo a seguito del timore di venire coinvolto e arruolato nella Guerra civile d’oltre-oceano. Ernst lo avrebbe seguito due anni dopo. Louis prese nel 1861 la cittadinanza inglese e lo stesso anno vinse il torneo di Bristol, mentre nel 1862 fu secondo a Londra alle spalle di Adolf Anderssen.
Fu un torneo particolare questo di Londra 1862, in quanto le partite finite patte dovevano essere rigiocate fino alla vittoria di uno dei due contendenti. Anderssen fu battuto dal reverendo Owen, ma vinse lo scontro diretto con Paulsen, il quale (ironia della sorte, viste le sue frequentazioni “siciliane”) subì la sua seconda sconfitta proprio da un italiano, Serafino Dubois.
Evidentemente la sua attività di commerciante e coltivatore lo distolse dagli scacchi proprio in quelli che potevano essere gli anni migliori della sua carriera (a ridosso dei trent’anni, fra il 1862 e il 1868), e non dobbiamo dimenticare che era quello in Europa anche il periodo della “seconda rivoluzione industriale”, fra il Congresso di Parigi (1856) e il Congresso di Berlino (1878), mentre in America nel frattempo (1865) si era avuta l’abolizione della schiavitù dei neri e l’assassinio di Abramo Lincoln.
Un’altra spiegazione della lontananza di Louis dai tornei degli anni ’60 poteva ben risiedere nel non essersi lui mai del tutto abituato all’utilizzo dell’orologio, che si stava affacciando ormai nella pratica torneistica. L’unica altra sua apparizione negli anni immediatamente successivi a Londra fu l’ennesima simultanea alla cieca, ad Elberfeld, nei pressi di Dusseldorf, contro dieci avversari che avevano pure l’opportunità di consultarsi fra loro. Fu quella una maratona di ben venti ore, che lui riuscì a concludere splendidamente imbattuto, con 6 vittorie e 4 patte.
Intanto era definitivamente rientrato in Germania, nella natìa Nassengrund, dove con il fratello Wilfried, che nel frattempo aveva messo su una distilleria (ma Louis era astemio), si dedicò alla coltivazione di patate e alla costruzione di impianti per la loro conservazione. Tanto erano note le patate dei Paulsen che alcune qualità avevano anche preso il loro cognome, ad esempio le “Paulsens Juli” (Luglio di Paulsen) e le “Gelbe Paulsen” (Giallo Paulsen).

Soltanto nel 1869 Louis/Ludwig Paulsen fece il suo rientro in gara, in un torneo a 6 giocatori ad Amburgo (Anderssen, Zukertort, Minckwitz, Schallopp e Alexander) e fu di nuovo preceduto da Anderssen.
Nel 1870 partecipò al fortissimo torneo di Baden Baden, organizzato dal barone Von Kolisch, ma si trovò a lottare forse per la prima volta contro un avversario per lui molto molto ostico, l’orologio: il tempo di riflessione era di un’ora appena per 20 mosse. Subì un netto 0-2 sia dal vincitore (ancora Anderssen) sia dal secondo classificato (Steinitz) e giunse solo 5° con p.7,5 su 16, nettamente preceduto anche da Neumann e Blackburne.
Nel 1871 a Krefeld tornò al successo, sia pure dopo uno spareggio con Minckwitz e con lo stesso Anderssen, sconfiggendo (finalmente!) Anderssen sia nella fase regolare sia nello spareggio. Nel 1873 prese parte al primo grande torneo organizzato a Vienna. Fu di nuovo un quinto posto (su 12 partecipanti) per lui, alle spalle di Steinitz, Blackburne, Anderssen e Rosenthal.
Louis Paulsen non era in gambissima soltanto alla cieca; un altro suo record rimane quello di non aver mai perso un match ufficiale. Dopo aver battuto il barone Ignazio von Kolisch (1861), Max Lange e Gustav Neumann (1864), nel 1876 a Lipsia si ebbe la sfida con quello che era un po’ il suo eterno primo rivale (Steinitz a parte), ovvero Adolf Anderssen. Paulsen ebbe la meglio per 5 a 4 (e una patta) sul suo meno giovane avversario.
Qualcuno scrisse che il grande Steinitz avrebbe sempre accuratamente evitato di affrontare Paulsen in un match ufficiale, tale era il timore che aveva di lui e il rispetto per le sue idee. Si ha notizia di un loro match amichevole del 1873, che sembra si sia concluso 3 a 2 per Steinitz, ma non se ne sa in effetti molto di più.
Lipsia nel 1877 ospitò il torneo del giubileo di Anderssen, organizzato per festeggiare i 50 anni di attività scacchistica del campione, nato nel 1818. Il festeggiato batté Paulsen nello scontro diretto, ma tre patte di troppo lo rallentarono e fu scavalcato dal nostro, che chiuse al primo posto con un bel 9 su 11 mentre Anderssen veniva appaiato sul secondo gradino da Zukertort. Non restò ad Adolf che chiedere subito a Louis la rivincita in un nuovo match. Si giocò e Paulsen prevalse di nuovo, stavolta per 5 a 3 ed una patta.
Altra vittoria di Paulsen fu quella di Francoforte 1878, con un tondo 8 su 9, battuto solo dal secondo arrivato (Schwarz). Nove punti su 11 non gli bastarono invece a Lipsia 1879, quando venne preceduto di mezzo punto da Englisch.
Fu ancora 1° a Brunswick 1880, poi a iniziò l’inevitabile parabola discendente: fu appena 9° su 16 a Wiesbaden 1880 e ancora 9° a Berlino nel 1881. A Vienna 1882 fu 8°, a Norimberga 1883 fu 13°, a Francoforte 1887 fu 8°.
L’ultima tappa della sua brillante carriera è Breslavia 1889, proprio nella città che fu del suo rivale Anderssen. Vi giunse buon 4° ex aequo, con 10/17, staccato di tre punti da un giovane dominatore Siegbert Tarrasch, anch’egli nativo di Breslavia (aveva 30 anni meno di lui!), e di 1,5 dal secondo arrivato Amos Burn.
Non so come andassero gli affari della famiglia Paulsen nel commercio delle patate, ma nel rilancio alla grande della partita siciliana sono andati benone. Sapete quale è stato, purtroppo, il limite di Paulsen, ciò che gli ha impedito una fama maggiore? E’ stato quello di non aver mai trasferito in articoli o altre opere scritte i contenuti dei suoi pensieri e delle sue analisi scacchistiche. Nessuno scritto esiste di lui. Davvero un gran peccato!
Ludwig/Louis Paulsen si ammalò di diabete nel 1890, nonostante una vita morigerata e le sue attenzioni alimentari (non fumava e non beveva vino, alcolici né caffè). Continuò a lavorare fino all’ultimo giorno di vita e morì nel suo paesino, Nassengrund, il 18 agosto 1891, all’età di 58 anni, compianto dai fratelli e (lui che non aveva e non poteva avere nemici) da tutti i suoi concittadini.
La famiglia Paulsen, oltre alla omonima variante della Difesa Siciliana, ci ha lasciato una seconda eredità: Nassengrund è ancor oggi considerato il più antico centro tedesco per la coltivazione delle patate.