La “Venere Privata” di Giorgio Scerbanenco
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(Adolivio Capece)
Giorgio Scerbanenco (Kiev, 28 luglio 1911 – Milano, 27 ottobre 1969) è stato uno scrittore, giornalista e saggista. Nato a Kiev, allora nella Russia Imperiale, da padre ucraino, che era venuto in Italia per studio, e madre italiana.
Scerbanenco all’età di sei mesi fu portato in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano al seguito della madre. Il padre, professore di latino e greco, fu ucciso durante la rivoluzione russa (vittima delle purghe staliniane), la madre morì pochi anni più tardi. Fu costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi e non completò nemmeno le elementari.
La scrittura fu da subito una passione, ma prima di arrivare al mondo dell’editoria praticò molti mestieri, dall’operaio al conducente di ambulanze.
Finalmente fu assunto alla Rizzoli come redattore, poi nel 1937 passò alla Mondadori con l’incarico di caporedattore dei periodici, incarico che mantenne fino al 1939. Teneva la rubrica della “posta del cuore” sul settimanale ‘Grazia’, con lo pseudonimo di Luciano. Per Mondadori pubblicò anche la serie di romanzi con protagonista Arthur Jelling.
In questo periodo collaborò anche con importanti quotidiani, compreso il Corriere della Sera. Nel settembre 1943 fuggì in Svizzera, insieme a buona parte della redazione del Corriere, dove rimase fino alla fine della guerra.
Tornato in Italia, Scerbanenco rientrò alla Rizzoli come direttore del periodico letterario femminile “Novella“, su cui curò una rubrica di “posta del cuore“. Sempre per Rizzoli fondò la rivista “Bella”, su cui teneva la rubrica “La posta di Valentino“. Ma la rubrica più famosa fu quella per ‘Annabella’, intitolata “La posta di Adrian”. Leggendo le lettere inviate a tutte queste rubriche, in cui le lettrici raccontavano i propri casi personali e spesso difficili, Scerbanenco venne a contatto con le angosce e le rabbie della gente comune.
La sua passione per gli scacchi fu probabilmente dovuta alla sua origine ucraina.
Scrisse Alberto, il primo dei suoi figli, avuto dalla prima moglie dalla quale presto si separò, in “Le 5 vite di Giorgio Scerbanenco”:
“… affittò un appartamento in via Pirelli 24, dove rimase fino al 1953. Allora cominciai ad andare a casa sua da solo. Unicamente a pranzo, perché ero ancora troppo piccolo per uscire da solo la sera. E’ così che iniziai a vederlo con una certa regolarità, a conoscerlo, e finalmente a rendermi conto che anch’io, come tutti, avevo un padre in carne ed osa, che pensava a me e che mi voleva bene. Prima non ne ero mai stato tanto sicuro. In via Pirelli mi iniziò al gioco degli scacchi che praticammo ogni volta che ce ne fu modo. Vinceva quasi sempre lui.
“Vedi una possibilità di attacco, senti l’odore del sangue e attacchi senza preparare la tua offensiva. E’ così che poi io ti blocco, contrattacco e ti cucco perché non avevi previsto una difesa adeguata …” mi spiegò.
Nel 1966, quando lavoravo nelle miniere dell’Angola e gli scrivevo lunghe lettere nelle quali raccontavo la mia vita, facendo trapelare la solitudine che provavo, mi inviò un libro sulla teoria degli scacchi con la dedica “Al mio grande Alberto, papà, Lignano, agosto 1966”.
Il successo come scrittore arrivò proprio nel 1966 con la quadrilogia con protagonista Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall’Ordine e condannato al carcere per aver praticato l’eutanasia ad una anziana signora, malata terminale. Lamberti in seguito diventa una sorta di investigatore privato che collabora con la questura di via Fatebenefratelli a Milano, in particolare con il commissario di origini sarde Luigi Càrrua, poi promosso alla carica di questore.
La serie di Duca Lamberti, edita da Garzanti, portò l’autore a un successo di critica e di pubblico, grazie anche alle molte versioni cinematografiche e ai riconoscimenti internazionali: iniziò con “Venere privata” (di cui ha già riportato alcuni riferimenti scacchistici Carmelo Coco nella 5ª puntata dei suoi “Casi polizieschi risolti da scacchisti“).
“Venere privata” si svolge in una calda Milano ferragostana ed ha una trama complicata da raccontare; diciamo solo che vengono uccise due ragazze, ma che le loro morti appaiono come suicidi. Duca Lamberti dopo molte vicissitudini contribuisce alla soluzione del caso.
Nel romanzo ci sono due momenti dedicati agli scacchi; il primo quando una delle vittime, Alberta Redaelli, si trova nello studio di un fotografo (omosessuale) per fare delle foto ‘porno’ e guadagnare così qualche soldo. Seguiamo il testo.
“Sul tavolo c’era una scacchiera, con una decina di pezzi, gli altri erano in una scatola di legno /…/ si trattava di uno ‘studio’, il bianco muove e vince, c’era vicino alla scacchiera una piccola rivista di scacchi inglese, l’anomalo (il fotografo – ndr) era un appassionato del gran gioco.
“Sa giocare a scacchi?” le chiese.
“Ero la prima in collegio.” /…/
Vedere la scacchiera la riportò al tempo del collegio, delle suore /…/ con la messa che le sembrava eterna /…/ e la ricreazione in sala nei giorni piovosi, con le gare di “bella lettura”, di ricamo, di dama, di scacchi, perché dovevano essere suore sportive, di spirito agonistico.
E per questo ricordo l’unica cosa decente in quell’indecente luogo era quell’astratto geometrico oggetto con quei simbolici pezzi di legno.
“Allora forse ha già capito dove è il trucco, ci sono due pedoni bianchi in settima fila pronti per la promozione, però la mossa di attacco non può essere di questi pedoni, io penso che sia il Re bianco che deve spostarsi per andare in una casella dove possa sottrarsi allo scacco perpetuo della Torre nera.”
Aveva già fatto anche lei questo ragionamento /…/
“Invece credo che la prima mossa sia proprio la promozione di un pedone bianco” gli disse. /…/
“Ma allora la Torre nera cattura il pedone promosso e dopo inizia lo scacco perpetuo al Re bianco.” /…/
“Non credo” disse lei “perché l’Alfiere bianco…”
“L’Alfiere bianco non può parare lo scacco continuo della Torre” interruppe lui, appassionato.
“Non volevo dire che l’Alfiere parasse lo scacco della Torre. Volevo dire che l’Alfiere va qui, in f8, e permette al pedone g7 di essere promosso, libero dagli scacchi della Torre” gli rispose secca. /…/
Sulla porta, prima che uscissero, le disse: “Se è giusta la mossa di Alfiere è proprio brava, perché io è tutta la mattina che ci penso e non l’avevo trovata.”
Richiuse la porta alle loro spalle, impaziente, tornò nello stanzone e fissò la scacchiera mentre si accendeva una sigaretta.
Dunque prima mossa e7-e8 che diviene Donna. Ma la Torre nera cattura subito la Donna.
A questo punto entrava in scena l’Alfiere, e cioè Aa3-f8, mise l’Alfiere in f8 e capì subito che era giusto così: la Torre scendeva per iniziare lo scacco continuo al Re bianco … no, non poteva, perché dopo il terzo scacco doveva mettersi sotto presa dell’Alfiere e qualunque altra mossa avesse fatto il nero, con qualunque pezzo, non poteva evitare che il secondo pedone bianco fosse promosso e quindi il bianco vinceva la partita.
Esattamente come aveva detto la ragazza.”
Come si può notare, nonostante la precisione delle mosse, dal testo non si riesce a capire chi sia l’autore e di che ‘studio’ si tratti.
Però credo di averlo trovato.
Lo compose il cecoslovacco Josef Vancura (1898-1921); Vancura fu autore di circa 60 composizioni, viveva a Praga e di professione era scrivano. Di lui si è già scritto su UnoScacchista: Josef Vancura e uno studio splendidamente difficile.
Lo studio che ci interessa fu composto nel 1916 e pubblicato su “Casopis ceskych sachistu”.
(J. Vancura, 1916, il bianco muove e vince)
Viene ritenuta ‘la miglior miniatura’ di Vancura.
La soluzione è
Passiamo al secondo momento dedicato agli scacchi, quando viene citata invece esplicitamente una partita, la Neukirch – Zinn, giocata, a quanto si legge nel libro, a Lipsia nel 1965 (il romanzo è del 1966) e pubblicata dalla rubrica di scacchi settimanale del quotidiano francese Le Monde.
Il dialogo si svolge tra lo stesso fotografo e un’altra ragazza, Livia Ussaro, che sarà essenziale per permettere a Duca Lamberti e alla polizia di arrestare tutti i colpevoli.
Livia è nello studio fotografico e si appresta a posare. Prima di spogliarsi si guarda intorno.
Seguiamo il testo.
“Su una sedia vi erano delle riviste di piccolo formato, sopra vi era una scacchiera, e sopra la scacchiera la cassetta coi pezzi, un cavallo nero sporgeva il muso dalla cassetta come dal box di una stalla. /…/
“Gioca a scacchi?” gli domandò.
“Da solo” rispose lui /…/ “non gioca quasi più nessuno oggi.”
“Già. Anch’io faccio le partite dei campioni o gioco con mio padre.”
Era la verità, o quasi, non che passasse i giorni a giocare a scacchi, ma suo padre le aveva insegnato il gioco fin da quando lei era adolescente e gli scacchi erano molto congegnali al suo carattere. /…/
“Proprio pochi giorni fa ho visto su Le Monde una bellissima partita dei tre cavalli.”
“Non era pochi giorni fa, era più di un mese fa, era quella di Neukirch di Lipsia per i bianchi e di Zinn di Berlino per i neri.”
“Sì, proprio quella, è mio padre che prende Le Monde perché c’è la rubrica di scacchi e conserva tutti i numeri, può darsi benissimo che sia di un mese fa, io l’ho giocata lunedì o martedì scorso.”
“Anch’io prendo Le Monde per la rubrica di scacchi.”
“Ha in mente il finale? Il nero aveva dovuto spostare il Re, allora il bianco muove il Cavallo, minacciando matto con l’Alfiere, il nero è costretto a proteggersi con la Torre, ma allora il bianco spinge in avanti il pedone e non c’è più niente da fare, alla prossima mossa è matto.”
“Sì, me lo ricordo benissimo”
E alzò di nuovo il capo, una vaga felicità nello sguardo, quasi quella dell’amatore di sinfonie che sente d’improvviso suonare il suo brano preferito, e nello stesso tempo meraviglia verso di lei, oltre tutto una donna, così esperta del magico mondo degli scacchi.
“Però le partite di Cavallo non mi piacciono, sono troppo chiuse.”
“Troppo prudenti, ma dicono che sia solo un’apparenza”, lo interruppe lei;
“a un certo punto avviene lo scontro al centro della scacchiera…”
Disse ancora qualche frase, per terminare il concetto, ma dovette controllarsi perché le veniva da ridere: una dona nuda in una stanza, con un pederasta, e parlavano di scacchi.” /…/
Strana partita quella citata, che non risulta nei principali database (tipo ‘chessgames.com’ oppure ‘365chess.com’) dove pure si trovano molte partite tra i due.
Ma visto lo svolgersi della partita, che tra l’altro si conclude con lo scacco matto, potrebbe però essersi trattato di una ‘lampo’ o di una ‘semilampo’ e quindi non catalogata.
Per la cronaca Detlef Neukirch è un Maestro Fide tedesco, nato nel 1940.
Lothar Zinn (Erfort 1938- Berlino 1980), Maestro Internazionale dal 1965, fu campione della DDR (Germania Est) nel 1961 e 1965.
Con un po’ di ricerche è comunque possibile trovare la partita citata da Scerbanenco, sebbene la descrizione delle mosse finali, da lui fatta, non sia precisissima, ma questo in fondo non è importante.
Neukirch – Zinn
Lipsia 1965
Tre Cavalli (C46)