Il primo grande match mondiale: Capablanca-Alekhine 1927
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(Riccardo M.)
I due più grandi “mondiali” di sempre, almeno a livello di notorietà internazionale, furono probabilmente lo Spassky-Fischer di Reykjavik 1972 e il Capablanca-Alekhine di Buenos Aires 1927.
Si tratta di mondiali che contraddistinsero due diverse epoche, scolpendosi i due matches nella memoria collettiva dello scacchismo internazionale: l’arrivo nella prima metà del XX secolo dei giocatori russi, della cui scuola Alekhine fu in verità un antesignano solista, e l’attacco degli occidentali alla stessa supremazia russa nella seconda metà del secolo. Oggi parliamo un poco di quello che accadde nel match del 1927.
Ricordiamo anzitutto alcune date. Il tedesco Emanuel Lasker fu campione dal 1894 al 1921, quando perse il titolo dal cubano José Raul Capablanca. Quest’ultimo lo perse da Alexander Alekhine nel 1927. Né Lasker ebbe mai rivincite da Capablanca, né quest’ultimo da Alekhine. Ricordiamo anche che la FIDE (Federation Internationale des Echecs) si costituì a Parigi soltanto nel 1924 e che qualche anno dopo avrebbe emanato le cosiddette “regole di Londra” da applicare ai matches mondiali e anzitutto, almeno nelle intenzioni della FIDE, alla progettata rivincita fra il cubano e il russo.
In realtà soltanto a partire dal 1950 la FIDE avrebbe potuto iniziare a dirigere realmente l’attività scacchistica internazionale al più alto livello. Prima di questa data erano le trattative dirette fra i giocatori e la consistenza dei loro sponsor a decidere dei matches mondiali.
Così dopo il 1921 doveva essere, prima di altri, Rubinstein lo sfidante di Capablanca, ma Rubinstein non aveva abbastanza appoggi e poi dopo la grande vittoria di Vienna nel 1922 iniziò la sua parabola discendente e il suo nome fu offuscato dal misero 12° posto di Carlsbad 1923, il grande torneo vinto alla pari dal giovane Alekhine, da Bogoljubov e Maroczy.
Così nel 1924 tornò di prepotenza alla ribalta il nome di Lasker per una rivincita, un Lasker trionfatore nel forte torneo di New York, concluso con 1,5 punti di vantaggio su Capablanca e ben 4 su Alekhine.
Nel 1925 a Mosca si rimescolarono le carte col successo di Bogoljubov davanti a Lasker e a Capablanca. Lasker, nonostante questi piazzamenti migliori del cubano, non ebbe una mano da nessun privato nel tentativo di rivincita e si ritirò dalle competizioni, tornando a presentarsi solo dopo molti anni, più che altro costrettovi da necessità economiche.
Nel 1926 si affacciarono altri due nomi a portare la sfida al cubano: Spielmann e Nimzowitsch. Di conseguenza, mentre tramontava l’iniziativa della FIDE per il match di rivincita con Lasker, nacque l’idea in alcuni organizzatori di una contesa per il titolo in un torneo match fra i migliori 6 giocatori del mondo (campione compreso). Ma poi non se ne fece nulla.
Alla fine il favorito nella corsa di sfidante parve proprio Alekhine, il quale fin dal 1923 si era recato spesso in America ad intessere trattative per arrivare al match ed era anche in buoni rapporti con Capablanca. Quest’ultimo a sua volta a fine 1926, pur prediligendo un incontro con Nimzowitsch, poteva guardare con ottimismo ad un match con il russo, contro il quale deteneva uno score invidiabile: 8 vittorie e 7 patte contro nessuna sconfitta. E così venne a concretizzarsi una cospicua offerta del Circolo di Buenos Aires (appoggiata perfino dal governo) per quello che a molti commentatori parve come il primo “match del secolo” del XX secolo.
Al di là dei risultati ottenuti, era la stessa forte personalità di Alekhine ad interessare gli addetti ai lavori. Il russo piaceva per il suo gioco aggressivo, per la sua ricerca di miglioramenti nelle aperture, per la sua fenomenale memoria, ma anche per quella stessa energia fisica che la sua figura emanava, grazie ad una corporatura alta, ai suoi nobili occhi azzurri, alla sua cultura (conosceva parecchie lingue). Lui durante la guerra aveva eroicamente combattuto contro i tedeschi, due volte restando ferito, e fu decorato. Poi con la Rivoluzione del 1918 fuggì da Mosca, avendo perso l’aristocratica sua famiglia ogni avere, riparando in Austria e poi a Parigi. Un gran bel personaggio. C’erano tutti gli estremi per un match di enorme richiamo. E così fu.
Capablanca non era di certo sfavorito, essendosi creato un mito di imbattibilità tanto da venir chiamato “La macchina degli scacchi”, ma con un gioco così poco complicato che sembrava quello di un Mozart più che quello di una macchina: lui stesso affermava che gli scacchi non erano una scienza, ma una manifestazione artistica, asseriva di non aver mai preso in mano un libro per studiare le aperture e di aver letto solo un trattatello, da bambino, sui finali. Capablanca non era affatto preoccupato dalla preparazione di Alekhine, tanto da scrivere che in un match lungo e difficile a fare la differenza poteva essere il nervosismo del russo opposto alla sua naturale freddezza e impassibilità. Un calcolo che non si sarebbe rivelato corretto.
Il match ebbe inizio il 16 settembre del 1927, con le già citate “regole di Londra” che prevedevano l’assegnazione del titolo a chi per primo avesse raggiunto le 6 vittorie; 40 mosse in due ore e mezza era il tempo, che sarebbe restato tale per tanto tempo nella storia dei tornei. Capablanca non aveva ancora compiuto i 39 anni, mentre lo sfidante ne avrebbe compiuti 35 durante il match.
Arbitrava l’incontro il signor Carlos A. Querencio. La sfida iniziò subito con un colpo di scena: l’apertura 1.e4 da parte del cubano, il quale dovette pentirsi amaramente viste le inesattezze ai tratti 15 e 16 che lo condussero a perdere un pedone e la partita. Alekhine gli aveva opposto una difesa francese, contro la quale il suo avversario non si trovò mai troppo a suo agio in carriera.
Capablanca reagì con destrezza ed efficacia, imponendosi nella terza e settima partita e prendendo il comando: 2-1 per lui con 7 patte nelle prime 10 partite. Fu la partita n. 11 ad avere un peso determinante, quella che Alekhine definì “La commedia degli errori”. Perse chi commise l’ultimo, ovvero il campione cubano, il quale nella posizione del diagramma, dopo il tratto 59 del Nero…
Errori del genere, inconsueti per i due campioni, forse lasciarono un immediato segno su Capablanca, il quale, perdendo anche la partita successiva, si ritrovò d’improvviso in svantaggio e non ebbe più la capacità di recuperare. Tra la 13^ e la 20^ partita furono 8 patte, alcune pure noiose e piuttosto criticate. Evidentemente Alekhine aveva scoperto un limite del campione cubano: mentre lui era in grado di tenere a freno il suo gioco per solito tagliente e offensivo, adattandosi al terreno metodico e razionale preferito dal campione cubano, non altrettanto quest’ultimo era in grado di fare con il proprio per renderlo abbastanza tagliente e vario da scalfire le operazioni dell’avversario. Ma di ciò parleremo più oltre.
Si trattò comunque di un match estenuante, tanto che dopo 20 partite si era ancora sul punteggio di 3 vittorie a 2 per il russo, un match estenuante perfino per gli organizzatori che dovettero reperire ulteriori fondi. Talmente alto era il richiamo del match, in Argentina e non solo, che i due campioni ricevettero in due diverse occasioni anche la visita dello stesso presidente argentino, Marcelo Torquato de Alvear.
Apparve chiaro, via via che si andava avanti, come fosse ottimale la preparazione (fisica, tecnica e mentale) di Alekhine, che aveva studiato a fondo tutte le partite dell’avversario e che si era reso conto che il cubano non fosse così invincibile come si diceva. Non bastava, contro il gioco estremamente completo del russo, la semplicità artistica e la capacità sintetica del campione in carica. Né i nervi di Alekhine mostrarono di cedere alla fatica e alla tensione, così come Capablanca aveva sperato.
Un particolare che non sono mai riuscito a spiegarmi sulle scelte di gioco del campione in carica (particolare -come vedremo- più avanti menzionato dal suo stesso rivale nelle sue dichiarazioni) è il motivo per cui, procedendo il match con risultato negativo e dovendo egli assolutamente recuperare, non abbia tentato qualcosa di diverso nelle aperture, lasciando che in pratica quasi tutto il match fosse un “match tematico” sul Gambetto di Donna rifiutato. Almeno nelle ultime partite sarebbe stato certamente opportuno tentare qualche strada diversa, portare l’avversario su di un altro terreno.
Ma c’è un altro punto da tenere a mente, e qui riprendo le considerazioni di Horacio Olivera in “Ajedrez12”: “Narra la tradizione che l’atteggiamento di entrambi i concorrenti ha continuato ad essere assolutamente diverso in termini di abitudini e procedure lontane dal tavolo di gioco. Lo sfidante rispettava rigorosamente una rigida disciplina fisica e, dopo ogni partita, si chiudeva nella sua stanza per proseguire con le analisi. Capablanca, viceversa, non aveva rinunciato al suo status di “bon vivant” e godeva con noncuranza del fascino della vita notturna di Buenos Aires, come i teatri delle riviste, il buon cibo e la compagnia di graziose signorine”.
Merito o meno che fosse delle “agraciadas señoritas”, il russo andò sul 4-2 vincendo la ventunesima partita, poi 4-3. Il campione in carica ebbe una chance di andare sul 4-4 nella partita 31, avendo guadagnato un pedone, ma la fallì e la n. 32 decretò il 5-3 e fu per lui un colpo micidiale.
Dopo 73 giorni di lotta, il 28 novembre, Capablanca mise in busta l’ottantunesima mossa della partita n.34, partita in cui Alekhine seppe evidenziare tutta la propria superba tecnica, ma il giorno dopo abbandonò senza riprenderla: 6-3 per Alekhine fu il risultato finale di quel Campionato del mondo.
L’arbitrò consegnò al russo una lettera scritta in francese da Capablanca e che così recitava:
“Buenos Aires, 29 novembre 1927.
(al Dr. A.Alekhine)
Caro signor Alekhine, abbandono la partita. Voi siete dunque il campione del mondo ed io mi congratulo per il vostro successo. I miei complimenti a Madame Alekhine. Cordialmente vostro, Jose Raúl Capablanca”.
32 delle 34 partite furono giocate al Club Argentino e due, la n. 4 e 16, presso il Jockey Club di Buenos Aires. La gran parte di esse furono un duello sul tema del “Gambetto di Donna rifiutato”. E questo fu forse un limite del match.

Le prime dichiarazioni dell’ex campione furono di rammarico per aver mancato nel corso del match almeno una decina di occasioni che gli sarebbero “bastate per vincere almeno due match”, mentre le occasioni perse dal suo avversario erano state a suo parere al massimo un paio.
Più a freddo, dopo la fine del match del 1927, i due protagonisti concessero un’intervista al giornale di Buenos Aires “La Nacion”. Le due interviste furono riprese in tutte le lingue e in Italia una sintesi fu pubblicata sulla “Italia Scacchistica”. Ne riporto qui i brani più significativi, sottolineando che le considerazioni di Alekhine mi paiono molto interessanti (e condivisibili) sotto l’aspetto prettamente tecnico, al punto che io mi permetterei di ritenere che se Capablanca avesse avuto con sé un allenatore come Alekhine sarebbe davvero rimasto per sempre il giocatore più forte di tutti i tempi.
Capablanca
“Io sono in decadenza dal 1917. Quella sicurezza nella mia forza, che era una conseguenza della infallibilità dei miei giudizi sulle posizioni che consideravo, è scomparsa…. Oggi conosco molti più segreti della tecnica del gioco, l’esperienza ha arricchito le mie cognizioni, ma gioco peggio di prima. E’ decaduto il fattore personale, e questo non può essere rimpiazzato né dai libri, né dalle conoscenze. La causa di questo è facile a verificarsi. Ciascun anno che passa, anzi ciascun giorno, aumenta il mio disinteresse per il giuoco. Altri problemi hanno maggiormente interessato il mio spirito ed attualmente mi risulta veramente penoso di star schiavo 5 ore davanti ad un tavolo di scacchi, effettuando un intenso lavoro cerebrale che realmente non mi produce una soddisfazione intima maggiore.
In questa condizione d’animo non è possibile sperare che i valori scacchistici si mantengano inalterati e questo match è stato la prova piena di ciò che affermo. Ho perso varie opportunità di vincere delle partite, che poi ho impattato. Ho commesso errori grossolani e inusitati. Ho sofferto una serie d’inesplicabili dimenticanze in varianti meditate, ed è impossibile, giocando in questa forma, vincere un maestro della taglia del dr. Alekhine, una delle più straordinarie figure degli scacchi.
Molto prima di giocare questo match ho manifestato l’opinione che Alekhine era uno dei tre maestri più forti dell’epoca. Più tardi ho detto che poteva avvenire in qualsiasi momento che fosse il primo in assoluto. Il titolo di campione del mondo è in buone mani. Non credo che alcun maestro di oggi sia capace di togliere il maestro slavo dalla posizione che ha ora acquistato …. Non credo che Alekhine in questo match abbia giocato meglio che in altre occasioni, né che debba il suo risultato ad un momento eccezionale della sua carriera scacchistica. Il dr. Alekhine gioca bene sempre ed in tutte le fasi del giuoco rende manifesta la sua abilità e per conseguenza non posso accettare che in questo match sia stato migliore che altre volte.
Tanto meno sono d’accordo con l’opinione generalizzata che lui mi abbia superato nelle aperture. Se si studiano queste partite, si vedrà che abbiamo avuto alternativamente le migliori possibilità. Io ho perso perché in determinati momenti ho commesso seri errori, ma non, in generale, per ragioni strategiche inevitabili”.
Alekhine
“Nell’anno 1913, quando a San Pietroburgo conobbi Capablanca, questi era per lo meno il secondo giocatore al mondo ed io presentii che, in un dato momento della mia vita, avrei dovuto disputare con lui il campionato mondiale…. Io ho vinto il match e credo che il risultato sia il chiaro riflesso della qualità di giuoco dispiegata nella lotta. Nelle aperture ho sempre giocato con piani determinati, sebbene quando intrapresi il viaggio per disputare il match non credessi che avrei esclusivamente aperto col pedone di Donna. Fu solo dopo aver guadagnato con questo alcune partite (la 11 e 12) che ebbi chiara la visione della vittoria finale. Di fronte al mio vantaggio di punti, non credetti opportuno cambiare di strategia. Dico di più: non m’interessava dimostrare a Capablanca che l’apertura del pedone di Re è tanto efficace quanto quella del pedone di Donna, e per quanto lui, dopo che questa apertura fu da me adottata, si fosse deciso ad imitarmi, mi fu più comodo seguitare a disimpegnarmi in una linea strategica che mi era favorevole, sebbene leggermente, nella maggior parte delle partite. Giocare il pedone di Re sarebbe stato per me un nuovo campo di preoccupazioni che non m’interessava e che non era giustificato dal punteggio ottenuto.
E’ per questo che io non mi spiego perché Capablanca non impiegò questa linea di giuoco in nessun momento del match, dato che io non posso supporre che il risultato della prima partita tanto poderosamente sulla sua psicologia.
Nel mezzo del giuoco ho notato in Capablanca una deficienza che indubbiamente ha contribuito al risultato del match. Il maestro cubano ha una vera mania di semplificare le partite, di esagerare la semplificazione anche quando non esiste per far ciò nessuna ragione strategica, ed in tal modo riduce il campo delle sue possibilità. Pare che sia nervoso quando la partita è complicata, ma ciò non avviene in realtà perché non sappia disimpegnarsi (dato che in questo terreno è formidabile) ma per una ragione che rientra nel campo della patologia. Questo dettaglio mi ha permesso di ottenere posizioni favorevoli in molte partite.
Credo che nel finale siamo equivalenti, per lo meno da ciò che si è visto in questo match. Io sono stato molto male in quattro partite, e di queste ne ho perdute tre. L’altra, la n. 27, è stata per Capablanca un vero accidente. Ho avuto posizione vinta nelle partite n. 20 e 22, posizione superiore nella 6, 8 e 25, per riferirmi solo a quelle chiare nel loro aspetto esteriore.
Credo che per queste ragioni il risultato non possa essere discusso ed ho il piacere di testimoniare a Capablanca, mio cavalleresco avversario, che si è comportato in tutto il match in tal maniera che io ho l’onore di accettare la sua sfida di rivincita per l’anno 1929. Fino a quell’epoca non penso d’impegnarmi a giocar seriamente a scacchi”.
Insomma, è evidente come Capablanca avesse leggermente sottovalutato le capacità di Alekhine, tecniche e psicologiche, mentre Alekhine non sottovalutò mai le chances di Capablanca, né prima né dopo questo match, tanto è vero che mai gli concesse la rivincita nonostante la promessa così apertamente fattagli.
Dalla più parte dei suoi contemporanei il vero “genio degli scacchi”, un tantino su tutti, continuò però, nonostante gli appunti tecnici del russo, ad apparire Capablanca. Così la pensava Tartakower e questo in seguito sarebbe stato anche il pensiero di Botvinnik e di Spassky. Fischer invece era più attratto dal gioco di Alekhine: “aveva concezioni di gioco fenomenali, piene di idee inimitabili e assolutamente nuove”.
Una cosa è certa: quel match mondiale del 1927, pur di altissimo livello, non sarà forse stato l’apice del loro gioco, alternandosi partite con errori (come l’undicesima) ad altre piuttosto noiose, ma ebbe una straordinaria eco mondiale ed è indubitabile che entrambi i giocatori rientrino di diritto nella ristrettissima rosa dei migliori di tutti i tempi.
Peccato che Alekhine, tra l’altro negli anni successivi sempre più avvolto da una nevrosi antisemita e filonazista, non abbia mai voluto concedere una rivincita a Capablanca. Tentò di ripararvi il giorno della morte del cubano (8 marzo 1942, all’età di 53 anni) dichiarando: “non c’è mai stato prima, né ci sarà mai, un genio degli scacchi come lui”. Ma con la sua madrepatria russa i ponti si spezzarono sempre di più, come in questo imperdibile articolo ci descrisse il nostro Mario Spadaro.
Il destino volle che Josè Raul Capablanca morisse nello stesso ospedale di New York dove l’anno precedente era morto il suo grande rivale del match del 1921, Emanuel Lasker. Curiosamente, il destino volle anche che Alexander Alekhine ci lasciasse, come Capablanca, alla stessa età di 53 anni, il che accadde il 24 marzo del 1946 ad Estoril, in Portogallo, in circostanze mai del tutto chiarite e alle quali, secondo alcuni, non sarebbero stati estranei i servizi segreti sovietici.