[R] Einstein ed Hannak con Emanuel Lasker
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R I S T A M P A
(Adolivio Capece)
“Non mi piace la lotta tipica del gioco degli scacchi. Le ragioni della mia avversione sono, soprattutto, di natura etica. Non mi piace che l’obiettivo principale del gioco sia quello di battere l’avversario applicando diversi trucchi ed inganni” (da P. Bucky: “The Particular Einstein”, pag. 213)
(nota introduttiva della redazione)
Il 29 maggio del 1919 ci fu una eclisse di sole che passò alla storia.
Due spedizioni composte da noti astrofisici, una a Sobral (Brasile) e l’altra nell’isola africana di Principe (ex Guinea Spagnola e oggi stato indipendente di “São Tomé e Príncipe”), riuscirono a fornire una decisiva prova della validità della “Teoria della Relatività” di Albert Einstein, il quale da un giorno all’altro si ritrovò famoso.
Ma che cosa c’entra Einstein con Lasker e con gli scacchi?
C’entra eccome! Ce lo spiega qui Adolivio Capece, il quale oggi vi parlerà di Einstein e di Lasker.
Questo post che vi presentiamo costituisce un aggiornamento di un articolo di Adolivio che apparve su un fascicolo del 1991 della “Italia Scacchistica” per celebrare il 50° anniversario della morte di Emanuele Lasker, “grandissimo campione di scacchi ma anche matematico e filosofo”, un personaggio che “… vogliamo ricordare proprio sotto l’aspetto più umano che scacchistico, attraverso un profilo tratteggiato niente meno che da Albert Einstein”.
E adesso lasciamo la parola ad Adolivio.
Uno dei più interessanti libri su Lasker è “Emanuel Lasker, Biographie eines Schachweltmeister” di Jacques Hannak, che vanta una introduzione scritta niente meno che da Albert Einstein: di certo un personaggio del calibro di Einstein non avrebbe perso tempo se avesse considerato banale la persona e non si può pensare che abbia buttato giù un testo qualsiasi, tanto per scrivere qualcosa, visto che in calce ha apposto la sua firma.
Albert Einstein (Ulma, 14.3.1879 – Princeton, 18.4.1955), Premio Nobel per la Fisica nel 1921, fu infatti grande amico di Emanuel Lasker, che conobbe a Berlino nel 1927 e con il quale condivise un appartamento sempre a Berlino nel 1930.
Nel 1931 apparve un libretto dal titolo “Cento Autori contro Einstein” che contestava la teoria della relatività: tra gli autori si legge anche il nome di Emanuel Lasker!
Einstein giocava a scacchi, ma solo con gli amici.
In una intervista al New York Times del 1936 affermò che aveva imparato gli scacchi e ci giocava da ragazzino, ma da adulto nei momenti di relax preferiva cose che non impegnassero la mente, mentre gli scacchi erano troppo intellettuali.
Inoltre riteneva di non avere il necessario “spirito fieramente competitivo, proprio invece di Lasker”.
Nel 1952 Albert Einstein scrisse appunto la prefazione alla biografia di Jacques Hannak [1] “Emanuel Lasker, vita di un maestro di scacchi” nella quale si legge addirittura: “confesso che la lotta per il potere e lo spirito competitivo espresso nella forma di quel gioco ingegnoso mi sono sempre stati ripugnanti.”
Seguiamo quindi il testo del celebre fisico, in una traduzione forse un po’ libera ma fedele, che ci permette di avere uno squarcio di Lasker più come uomo e scienziato che come scacchista.

“Emanuel Lasker è stato senza dubbio uno degli uomini più interessanti che io abbia conosciuto nei miei anni maturi.
Noi dobbiamo essere grati a coloro che hanno tracciato la storia della sua vita per i contemporanei e per i posteri. Pochi uomini infatti hanno unito una così singolare indipendenza di personalità ad un così caldo interesse per tutti i grandi problemi dell’umanità.
Io non sono uno scacchista e perciò non sono in grado di apprezzare la potenza delle sue facoltà nell’ambito in cui si trovano le sue maggiori prestazioni intellettuali, gli scacchi appunto; devo anzi confessare che i contrasti di forze e lo spirito di competizione mi hanno sempre ripugnato, anche se sotto la forma di un gioco mentale.
Ho incontrato Emanuel Lasker la prima volta in casa del mio vecchio amico Alexander Moszkowski e ho avuto poi modo di conoscerlo bene nel corso di comuni passeggiate, durante le quali ci scambiavamo opinioni sui più diversi argomenti.
Era uno scambio alquanto unilaterale, in cui io ero soprattutto il ricevente, poiché era più natura le a quell’uomo eminentemente produttivo dare forma ai suoi propri pensieri piuttosto che adeguarsi a quelli di un altro.
Tuttavia, secondo me, la personalità di Lasker, nonostante la sua intonazione fondamentalmente ottimistica, aveva una nota tragica.
L’enorme tensione spirituale senza la quale nessuno può diventare un forte giocatore, era così intessuta di scacchi che egli non poteva mai distaccarsi completamente dallo spirito di questo gioco, anche quando si interessava di problemi filosofici e umani.
Con tutto ciò mi sembrava che gli scacchi fossero per lui più professione che scopo vero della vita.
La sua vera aspirazione era diretta alla comprensione scientifica e a quella bellezza che è propria delle creazioni logiche, una bellezza dal cui magico ambito non si può sfuggire, una volta che essa anche solo in parte si sia rivelata.
L’esistenza materiale e l’indipendenza di Spinoza si basavano sul levigare delle lenti; analogo era il ruolo degli scacchi nella vita di Lasker.
A Spinoza però era toccata la sorte migliore, poiché la sua occupazione lasciava lo spirito libero e disimpegnato, mentre il gioco degli scacchi trattiene chi ne è campione entro i suoi vincoli, incatena lo spirito e lo plasma in forma determinata, cosicché la libertà interiore e l’imparzialità dell’uomo, anche il più forte, deve soffrirne.
Questo sentivo io continuamente nel corso delle nostre conversazioni e durante la lettura dei suoi libri filosofici.
Di questi libri quello che più mi ha interessato è stato “La filosofia dell’imperfettibile”: questo libro non solo è molto originale, ma offre anche un’idea profonda dell’intera personalità di Lasker.
Devo adesso giustificarmi ancora poiché non mi sono addentrato nell’articolo critico di Emanuel Lasker sulla teoria della relatività.
Devo ora ben dire qualcosa sull’argomento.
L’acuto spirito analitico di Lasker aveva chiaramente riconosciuto che il punto cardinale di tutta la questione sta nella costanza della velocità della luce (nello spazio vuoto).
Egli vide chiaramente che, se si riconosce questa costanza, non si poteva sfuggire alla concezione di relatività del tempo, che a lui non era affatto simpatica.
Allora, che fare?
Egli si cimentò sulla questione alla maniera di Alessandro il Grande quando sciolse il nodo di Gordio tagliandolo con la spada.
Il tentativo di soluzione di Lasker può essere così riassunto: nessuno ha una immediata conoscenza di quanto velocemente la luce si propaghi nello spazio completamente vuoto, poiché una seppur minima quantità di materia è ancora sempre esistente per ogni dove, anche negli spazi interstellari e più ancora certamente negli ambienti dove l’uomo ha praticato il vuoto con le pompe, il meglio che può.
Chi ha dunque diritto di contestare che nello spazio veramente vuoto la velocità della luce tenda all’infinito?
La risposta a questo ragionamento può essere data per esempio così:
“E’ ben vero che nessuno sa da immediata cognizione sperimentale come la luce si propaghi in ambiente completamente vuoto; ma dovrebbe essere poco meno che impossibile ideare una ragionevole teoria della luce, secondo la quale minime tracce di materia abbiano sulla velocità di propagazione della luce una influenza pur vero significativa, ma pressappoco indipendente dalla densità di tale materia.
Prima che venga sostenuta una simile teoria, che sia inoltre d’accordo con i già noti fenomeni dell’ottica negli ambienti quasi vuoti, per ogni fisico sembra che il citato nodo gordiano attenda ancora la sua soluzione, se non vuole ammettersi soddisfatto della soluzione attuale.
Morale: un pur ottimo ragionamento non può sostituire la sperimentazione.
Mi piacque comunque l’inconsueta indipendenza di Lasker, una qualità così rara in una umanità nella quale quasi tutti, anche gli intelligenti, appartengono alla classe dei seguaci e così non andai più oltre.
Io mi rallegro per il lettore in quanto egli da questa simpatica biografia impara a conoscere più da vicino questa forte e insieme fine e amabile personalità; io poi sono riconoscente per le ore di conversazione che mi ha regalato quest’uomo, instancabilmente ambizioso, indipendente, schietto.”
Forse è il caso di chiarire il discorso di Einstein, che potrebbe risultare complesso.
L’obiezione di Lasker era che, non essendo stato dimostrato che la velocità della luce nel vuoto è infinita, postulato questo che è il cardine della teoria della relatività, Einstein non avrebbe dovuto annunciare la propria teoria finché non fosse stata dimostrata la veridicità del postulato.
Einstein aveva replicato che non si poteva attendere indefinitamente, soprattutto poiché allora non si poteva verificare con alcun metodo certo il postulato stesso, affermando che il rifiuto di Lasker di giungere ad una conclusione traeva origine dalla sua mentalità scacchistica, che non esigeva una soluzione definitiva ad alcun problema, dato che gli scacchi dopo tutto sono solo un gioco.
Di Einstein viene tramandata una partita che sarebbe stata giocata con il fisico Robert Oppenheimer, suo famoso collega. Si tratta quasi certamente di un falso, dato che inizialmente la partita venne indicata come giocata a Princeton nel 1933, ma poi fu appurato che Oppenheimer non era a Princeton quell’anno; così poi fu indicata come giocata genericamente negli Stati Uniti nel 1940.
Einstein – R. Oppenheimer
(Princeton, USA, 1933 (?) – United States 1940)
Partita Spagnola

La biografia di Jacques Hannak si diffonde su circostanze storiche e ambientali di rilievo, sviluppando quelle concezioni sugli scacchi che lo stesso Lasker tra i primi ideò e sviluppò con rigore filosofico.
Riviviamo così la formazione della sua personalità, dall’epica lotta con Steinitz al contrasto dottrinale e sportivo con Tarrasch, e poi i viaggi e i tornei, le conferenze e gli scritti, la strenua competizione con Capablanca e tutta la nuova generazione di scacchisti, anche dopo la perdita del titolo mondiale, la vasta impronta innovatrice imposta negli ambienti scacchistici di tutto il mondo, non meno che nei concetti del gioco.
[1] Jacques Hannak (1892-1973) fu uno scrittore e giornalista austriaco; si occupò di sport, cultura e politica. Socialdemocratico ed ebreo, fu catturato e rinchiuso nei campi di concentramento di Dachau e poi Buchenwald, da dove riuscì a fuggire nel 1939, trovando riparo prima a Bruxelles e poi a Parigi. Tornò a Vienna nel 1946, e vi riprese la sua attività di giornalista. Oltre a questo lavoro su Lasker, si era in precedenza in più occasioni occupato di scacchi. Nel 1933 fu sua la prefazione al lavoro di Hans Kmoch “Rubinstein gewinnt! 100 Glanzpartien des großen Schachkünstlers”, pubblicato a Vienna. Nel 1936 scrisse, per la Schach-Zeitung di Vienna, “Der Michelangelo des Schachspiels “, sulla figura di Steinitz, e l’anno successivo scrisse la prefazione a “Semmering-Baden 1937, Sammlung sämtlicher Partien des Turniers”, pubblicato a Kecskemét (Ungheria).
Faccio notare che, probabilmente per un lapsus, si afferma che la velocità della luce nel vuoto è infinita.