Vlastimil Hort, il cavallo zoppo e i tre geni nel mondo degli scacchi
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(Riccardo Moneta)
Lo sapete già chi sono i tre geni del mondo degli scacchi oppure provate a indovinare? La seconda? Bene, allora potreste andare subito a verificare, verso la fine di questo articolo. Ma ne sarei piuttosto dispiaciuto: sarebbe un peccato non leggere tutto il resto perché … semplicemente perché Vlastimil Hort merita che si parli di lui.
Strano davvero è a volte il destino delle persone. Era il 1949 e Vlastimil aveva 5 anni. Nessuno in ‘casa Hort’ giocava a scacchi, non c’era stavolta il solito papà docente (con figlio volente o non volente).
Il bambino, ammalatosi, dovette trascorrere un lungo periodo in ospedale. Aveva spesso la febbre. Era irrequieto, e se ne accorse un medico di guardia la notte, il dottor Novak (?); questi, che era un giocatore di scacchi per corrispondenza, impietosito, portò una scacchierina e provò a mostrargli il gioco: fu un colpo di fulmine! Gli scacchi da quel momento entrarono a far parte della quotidianeità della vita di Vlastimil.
Lo sono ancor oggi, nel 2023. Hort (che è nato il 12 gennaio 1944 a Kladno, una cittadina industriale situata a 25 km a nord-ovest di Praga) di recente lo ha confessato: “Gli scacchi sono una droga per me, non riesco a immaginare nessuno che me li porti via. Lo so, ormai sono come un cavallo zoppo, che non corre più per migliorarsi ma che non può fare a meno di sentire la pista“.
Ed io, a mia volta, non riesco ad immaginare un giocatore ed insieme un personaggio scacchistico della Vecchia Europa che nel ventesimo secolo sia stato così poliedrico, divertente, onesto e schietto come Vlastimil Hort.
A proposito di schiettezza, pensate che nel 2005, in occasione del centenario degli scacchi cechi, l’Unione Scacchistica della Repubblica Ceca lo dichiarò il secondo miglior giocatore della storia della Cecoslovacchia alle spalle di Richard Reti. Hort ebbe subito ad osservare che lui si considerava solo terzo, perché i primi due posti appartenevano certamente a Richard Reti e a Salo Flohr.
Chissà se il dottor Novak ha mai saputo quanto quel suo gesto d’affetto in ospedale ha poi determinato il destino di una persona: Hort tanti anni dopo cercò quel dottore, ma non lo trovò mai, sparito come un angelo custode apparso dal nulla e tornato ai suoi compiti chissà in quali altri luoghi della Terra …

Guarito e rientrato a casa dall’ospedale, la mamma fu costretta a trovare al piccolo Vlasty qualcuno, in prossimità della sua abitazione, che avesse del tempo per giocare a scacchi con lui. E si rivolse ad un anziano vicino di casa, allevatore di conigli. Costui accettò, ma in cambio il bambino doveva aiutarlo ad accudire i conigli. Affare fatto. Nella prima partita con l’allevatore, Vlastimil aveva il Nero e, ad un certo punto, mosse … f5; il suo avversario rispose con exf6 en passant e qualche tratto dopo gli diede scaccomatto. Il piccolo Vlasty tornò a casa dalla mamma piangendo, le disse che era stato vittima di una ingiustizia; eh, sì: purtroppo il dottor Novak si era dimenticato di parlare al bambino della “presa en passant” … cose che succedono …
A Kladno, la sua città, viveva e si allenava anche Frantisek Pospisil, un giovanotto che faceva parte della nazionale cecoslovacca di hockey su ghiaccio. E così il ragazzo Vlastimil provò anche questo sport, cimentandosi come portiere: imparò benino, ma considerò l’hockey troppo faticoso rispetto agli scacchi, così come gli scacchi ben più interessanti rispetto all’allevare conigli. Per fortuna a Kladno c’erano pure due circoli di scacchi e così prese l’avvio e presto decollò la carriera di Vlastimil Hort.

Studiò economia, poi divenne professionista di scacchi. Nel 1962 conquistò il titolo di Maestro Internazionale e nel 1965 quello di Grande Maestro. Proviamo a fare una lista dei soli principali “primi posti” da lui ottenuti? Eccola:
Marijanski Lazni e Kecskemet 1965, Hastings 1968, Venezia e Skopije 1969, Reykjavik 1972, Leningrado 1973, Hastings e Brno 1975, Hastings, Vrnjacka Banja, Vinkovci e Banja Luka 1976, Londra 1977, Helsinki e Lone Pine 1979, Sarajevo e Amburgo 1980.
Forse però un torneo che Hort ricorda con piacere è anche l’Interzonale del 1976 a Manila, quando l’ottimo terzo posto (mezzo punto dietro Mecking e alla pari con Polugaevsky) gli consentì di entrare fra i Candidati al titolo mondiale.
Hort venne pertanto anche in Italia, a Venezia, dove vinse nel 1969 con 11,5/15 e con ben due punti di vantaggio sul gruppetto dei secondi, mentre nel 1971 fu solo terzo, alle spalle di Browne e di un grande Sergio Mariotti.
Il gioco di Hort è caratterizzato da astuzia e razionalità, è uno stile universale, capace di adattarsi al tipo di avversario che ha di volta in volta di fronte.
Hort è un gentiluomo. Io ho sempre sostenuto che ai gentiluomini nella vita non si aprono mai tutte le porte, o, meglio, si possono aprire quasi tutte ma difficilmente si aprirà l’ultima, a meno che non si sia abbastanza “cattivi” e, di conseguenza, un po’ meno gentiluomini.
E quanto Hort sia un gentiluomo ne è stata prova l’andamento della sfida con il sovietico Boris Spassky nel match del Torneo dei Candidati, a Reykjiavik nel 1977. Il fatto è famoso in quanto fu subito evidente come si svolsero gli eventi. Spassky non era in buona forma né salute, e aveva già utilizzato le sue possibilità di chiedere il riposo di un giorno: non gliene rimanevano altre. Hort mostrò la sua grande sportività e, in quello che per lui era il match della vita, gli offrì un giorno dei suoi, il che consentì al sovietico di riprendersi piuttosto bene. Hort non fu ricompensato dalla sorte: sul punteggio di 7 pari giocò un’eccellente partita n.15, arrivando ad avere una posizione vincente. Stava riflettendo su quale fosse la strada migliore per una conclusione in bellezza: ogni variante portava alla vittoria. A quel punto, pur senza pressione di sorta e con molto più tempo a disposizione rispetto all’avversario, il cecoslovacco si addormentò, finché gli cadde la bandierina: 7 a 8. La sedicesima partita finì patta, determinando l’eliminazione di Hort e la qualificazione di Spassky.
Dobbiamo dire che Hort, per cercare di sopprimere la delusione e scaricare i nervi, si esibì il giorno dopo a Colonia in una gigantesca simultanea (un record mondiale se lo meritava, no?) contro la bellezza di 636 giocatori.
Un secondo episodio è stato rivelato dallo stesso Vlastimil in occasione di un interessante ‘articolo-confessione’ apparso su Chess Base il 25 dicembre del 2020. Si era a …
… Montecarlo 1968. Nel sesto turno del torneo si giocava la partita Larsen-Hort, quando giunse il momento della sospensione e della “mossa in busta” (la ricordate, sì?). Il danese Bent Larsen decise in fretta e l’arbitro chiuse la busta. Tale mossa non poteva essere ragionevolmente che una spinta di pedone, ma quale pedone, e5 oppure f5? Uno stanco Hort andò a dormire avendone esaminata soltanto una, quella delle due che appariva leggermente più debole ma più spontanea. Larsen aveva un pedone in più, era anche uno dei favoriti in un torneo il cui avvio era stato per lui incoraggiante. Poteva vincere quel finale e involarsi in testa alla classifica?
Al mattino successivo Hort si apprestava a scendere nella hall dell’albergo per la colazione quando in stanza squillò il telefono. Meravigliato, Hort andò a rispondere: sorprendentemente era l’ex campione del mondo Mikhail Botvinnik, il quale aveva già dichiarato che quello di Montecarlo sarebbe stato l’ultimo importante torneo della sua carriera.
Botvinnik (badate bene) era uno degli idoli di Hort. “Se vuoi venire a trovarmi nella mia stanza, potrei mostrarti alcune interessanti varianti della tua partita aggiornata”. La risposta di Vlastimil (“nel mio miglior russo”) non si fece attendere e fu freddissima, quanto decisa e nobile: “Questa sarà forse una pratica usuale in URSS, ma nel mondo civile non lo è. Se questo è il tuo ultimo torneo, dovresti avere abbastanza coraggio da vincerlo con i tuoi soli sforzi! Sono molto deluso da lei, signor Botvinnik!”

Per fortuna di Hort (e di Botvinnik, ovviamente), la mossa in busta di Larsen era la più debole delle due citate, e il cecoslovacco strappò la patta. Ma per una volta la giustizia ebbe la meglio e Larsen vinse con pieno merito quel torneo … Questa la classifica finale: 1.Larsen 9,5/13 (unica sconfitta con lo statunitense Robert Byrne), 2.Botvinnik 9 (imbattuto), 3.Smyslov e Hort 8,5 (anche loro imbattuti). 5.Byrne 8, 6-8. Portisch, Benko e Gheorghiu 7,5. Ma dalla fine di quel torneo Hort e Botvinnik non si parlarono più, quella conversazione telefonica all’interno di un albergo di Montecarlo fu il loro ultimo contatto.
“Il mio personale codice scacchistico mi imponeva di non accettare l’aiuto dei rivali di Larsen e nello stesso di tempo di non offrire il mio aiuto a nessun altro giocatore del torneo”, così ha scritto lo stesso Hort, continuando: “… quell’offerta di aiuto ricevuta da un ex campione del mondo ancor oggi la considero oltraggiosa”.
Hort descrisse poi lo svolgimento della sua successiva partita in quel torneo, sempre di nero, con Botvinnik:
“… ho deciso di giocare l’indiana di re, ma non è stata la scelta migliore. Mi piaceva di più la posizione del Bianco, ma si sa che i problemi di tempo favoriscono sempre le giovani generazioni, e la nostra partita non ha fatto eccezione. Con solo poco tempo rimasto, le mosse di Botvinnik non erano impeccabili e, in una posizione equilibrata che si stava avvicinando ad un finale pari, mi sono preso la libertà di offrire una patta dopo la mia 27a mossa. Seguendo le regole FIDE, l’ho offerta dopo la mia mossa, in inglese e anche in russo per maggior sicurezza. Poi ho premuto l’orologio. Avevo circa cinque minuti rimanenti, Botvinnik ne aveva un po’ meno. Avrebbe accettato la mia offerta? Botvinnik fece silenziosamente la successiva mossa. Nessuna risposta è anche una risposta. Ma ormai avevo un finale facile, nessun problema in vista. Avevo finalmente tempo per una rapida visita in bagno e poi un ancor più veloce ritorno alla scacchiera. Qui mi aspettava una sorpresa: l’ex campione del mondo non si vedeva da nessuna parte, era nel frattempo sparito. Ma il suo formulario era stato lasciato sul tavolo, firmato da Botvinnik: 0.5-0,5”.
Il caso (o la storia) volle che alcuni mesi tardi, il 21 agosto, i carri armati del Patto di Varsavia entrassero a Praga a porre fine a quella che venne chiamata “La Primavera di Praga” (chi non ricorda Alexander Dubcek?). Hort non si trattenne dal fare un’amara considerazione: “Ho pensato che Botvinnik, che era un noto sostenitore di Stalin, avrebbe sicuramente inviato anche lui carri armati a Praga “per aiutarsi tra fratelli” nell’agosto del 1968. La mia Cecoslovacchia però non è mai stata una provincia sovietica ed io non mi sento un loro fratello …”.
Hort è stato anche fra i protagonisti di una delle manifestazioni dello scorso secolo che più colpirono l’opinione pubblica, ovvero il match del 1970 URSS-Resto del Mondo (20,5-19,5), disputato a Belgrado. Hort fece la sua parte, sconfiggendo di misura Lev Polugaevsky, ma qualcuno nella stampa occidentale (forse spinto da un furibondo Fischer) adombrò poi il sospetto che alcuni giocatori dell’equipe del Resto del Mondo, in quanto appartenenti al Patto di Varsavia, avessero avuto nell’ultimo turno un atteggiamento piuttosto morbido sulla scacchiera verso i loro avversari sovietici. Dopo tanti anni Hort, richiesto di un parere, fugò drasticamente quei dubbi, definendoli “sciocchezze” e asserendo con certezza che Portisch e gli altri dell’Est Europa (Gligoric, Uhlmann, Matulovic e Ivkov) avevano svolto tutti, e in pieno, il loro compito.
Vlastimil Hort è stato sei volte campione della Cecoslovacchia e tre volte ha vinto il campionato della Repubblica Federale Tedesca. Perché (si chiederà qualcuno)? Perché dalla Cecoslovacchia comunista egli scelse di emigrare nel 1985, trasferendosi con la moglie Brigitta in un paese in prossimità di Colonia ed acquisendo la cittadinanza tedesca. Per molto tempo fece parte, in Germania, del team di commentatori di scacchi, in un programma televisivo condotto dal GM Helmut Pfleger, “Schach der Großmeister (“Grandmaster Chess“). Ed è lì vive ancor oggi, tra le piante del suo giardino e la sua cara e vasta biblioteca scacchistica.
Tra i lavori a lui dedicati segnalo “Legendary Chess Careers: Vlastimil Hort” di Tibor Kàrolyi (2016).
Riporto alcune considerazioni su Hort da parte di personaggi che lo hanno conosciuto. Il suo connazionale e G.M. Vlastimil Jansa scriveva: “A mio parere Hort è uno dei giocatori più intelligenti del mondo. Probabilmente non è il migliore al mondo in strategia o tattica, ma sa molto ben bilanciare ogni fase di gioco e altrettanto bene seguirne e dominarne i risvolti psicologici”.
Viktor Korchnoi disse che “Le posizioni di Hort a volte ricordano un accampamento di zingari. Sembra tutto caotico a prima vista, e invece hanno una loro perfetta logica“.
E infine la nostra pluricampionessa Rita Gramignani: “Ho sempre avuto di Hort l’impressione di una persona gentile, ‘pacioccona’ e molto riflessiva. Me lo ricordo con la sua mole (è assai robusto) appoggiato con i gomiti sul tavolo di gioco, concentratissimo sulla scacchiera. Ma quando alzava gli occhi ecco che appariva uno sguardo bonario col quale immediatamente si ricollegava alla più diversa realtà che lo circondava. Un bel giocatore e soprattutto una bella persona!”.
Benissimo. Anzi, perbacco! Stavo per chiudere il post dimenticandomi del titolo! “Vlastimil, quali sono i tre più forti giocatori che hai conosciuto?”, fu chiesto una volta ad Hort (vedere anche nel post del 21.7.2019 in heraldo.es/noticias/deportes/).
“Beh, oggi abbiamo Magnus Carlsen che forse alla fine della carriera sarà considerato il più forte di tutti i tempi. Però io personalmente ho conosciuto soltanto tre geni nel mondo degli scacchi:
il primo, il lettone Mikhail Tal; il secondo, Robert Fischer; e il terzo, Garri Kasparov. Per me, loro tre hanno fatto cose che io non avrei mai potuto fare. Avevo in particolare con Bobby Fischer un ottimo rapporto: lui per per me è il miglior giocatore di scacchi che ci sia mai stato”.
Da ultimo, una partita di Hort.
Hort – Shamkovitch
Interzonale di Mosca, aprile 1962
… anche di questo articolo.
Buon compleanno a Vlastimil Hort!
L’immagine sotto il titolo è di Jarmila Kuncová (da una simultanea del 2010), la successiva è tratta da un articolo di André Schulz (USSR vs “The Rest of the World”, Belgrade 1970: An interview with Vlastimil Hort) pubblicato su Chess Base il 7.4.20 ed è un particolare di una fotografia di Bert Verhoeff. La terza (del 2011) è di Martin Chrz. La quarta è stata postata esattamente un anno fa su Twitter dalla ‘International Chess Federation’.