Addio alle edicole (e alle rubriche di scacchi sui giornali?)
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(Riccardo Moneta)
Si leggeva alcuni mesi fa in un’analisi dello SNAG (il Sindacato Nazionale Autonomo Giornalai) relativa a tutto il 2021, che solo in quell’anno sono state chiuse a livello nazionale 850 edicole “classiche” (cioè quelle che vendono solo giornali); calcolando altri punti di vendita “misti” ecco che si può probabilmente parlare di oltre 1.000 chiusure annue.
Insomma, in Italia spariscono d’incanto circa 3 edicole al giorno, forse adesso anche 4. Venti anni fa le edicole in Italia erano circa 35.000, oggi ne sono rimaste circa 10.000. Ad esempio metà dei comuni della provincia di Bergamo è rimasta senza neppure un’edicola, a Civitavecchia hanno chiuso 5 delle 10 edicole esistenti. E’ un trend inarrestabile, che non si potrà arginare e che spesso avviene nel disinteresse degli stessi operatori del settore, i quali al fenomeno non hanno mai dato eccessivo spazio. Ed è un fenomeno naturalmente spiegabile col fatto che i contenuti della carta stampata sono ai giorni nostri immediatamente reperibili e fruibili in altro modo, cioè on line, un modo più facile e meno costoso per l’utente.
Peccato però; è qualcosa che rattrista, anche perché l’edicola rappresentava, in specie nei comuni più piccoli o in certi quartieri storici di città, una tradizione, quasi un luogo centrale di aggregazione, un punto di riferimento per tutti i cittadini; era spesso un chiosco (talora perfino artistico) che esprimeva, con ciò che lo circondava, un momento significativo del tessuto sociale di una collettività; e per noi meno giovani c’era il ricordo di quando accompagnavamo al chiosco il papà e ne approfittavamo magari per acquistare un pacchetto di ‘figurine Panini’. Rimuovere certi chioschi equivale a rimuovere un pezzo della nostra storia.
Parallelamente, quindi, sono crollate le vendite dei giornali: si è passati dai 7 o 8 milioni di copie al giorno di 15 anni fa a meno di 2 milioni del 2017 e a circa 1 milione e duecentomila oggi. Si tratta naturalmente di dati approssimativi. Del resto qualcuno si chiede: “Per quale motivo debbo comprare un quotidiano se la notizia che è pubblicata diventa già vecchia nel giro di poche ore? Servirebbe semmai un giornale che ci dicesse quello che accadrà il giorno dopo e non quello che è accaduto il giorno prima …”. E’ così. E di elementi per aprire un tavolo sul tema ce ne sarebbero tanti altri.
Forse qualcuno erroneamente pensa che questa tendenza, che ha assunto negli ultimi anni le sembianze di una vera e propria slavina, sia un fatto relativamente recente. Invece no, non è così: basti solo riflettere sulla circostanza che oggi esistono in Italia solo 98 quotidiani diversi, mentre intorno al 1860 erano circa 310. Sono stati radio e televisione a dare la prima spallata ai giornali, poi è giunto Internet. E della stessa spallata hanno sofferto, sia pur meno, anche i libri e le librerie.
Non è più dello stesso spessore nemmeno la qualità della informazione: un tempo, appunto, si cercava in primo luogo di dare la più essenziale e approfondita informazione possibile, si cercavano giornalisti preparati ed esperti in grado di commentare al meglio; oggi il primo scopo di un quotidiano è in genere quello di usare l’informazione, un tipo di informazione piegata ai propri interessi particolari, per colpire anzitutto gli avversari politici, al di là della correttezza e serietà del resoconto, che invece sta diventando un optional.
Insomma oggi l’informazione cartacea, non potendo più sconfiggere o competere con i social, cerca disgraziatamente di sfidarli con le loro stesse armi, che sono armi in prevalenza populiste ed estremiste.
Veniamo però (“era ora!”, direte) ai nostri scacchi e parliamo di un’altra tradizione che va scomparendo: sono quasi sparite dai quotidiani e dai settimanali anche le rubriche scacchistiche, e lo stesso spazio che i giornali dedicano agli scacchi non è più quello di un tempo, ma questo è tutto un altro discorso.

La più parte delle rubriche di scacchi aveva visto la luce in Italia a seguito del successo strepitoso del “match del secolo”, il celeberrimo Spassky-Fischer del 1972 che segnò una grande svolta nell’editoria scacchistica. Apparve anzitutto nel 1972 una rubrica settimanale di Mario Monticelli su “il Corriere della Sera”, che però non ebbe lunga vita.
Fu seguita da altre su altri quotidiani di peso, anch’esse in prevalenza settimanali: quella di Adolivio Capece su “il Giornale” (dal 1974 fino al 1994, poi per breve tempo fu curata da Ennio Arlandi), quella di Giorgio Porreca su “il Tempo”, quella di Roberto Messa su “il Giornale di Brescia” (dal 1974 al 2007!), quella di Roberto Palombi su “Paese Sera”, quella di Angelo Cillo su “il Messaggero”, per citare soltanto alcune delle più note.

Via via si affievolì questa breve moda, che per un certo tempo coinvolse anche i periodici settimanali (Vladimiro Grgona tenne una rubrica su Panorama e di nuovo Giorgio Porreca su L’Espresso) e che ora rimane su pochissimi fogli stampati, tra i quali “La Stampa” grazie ad una rubrica settimanale (esce ogni domenica) del nostro insuperabile Adolivio Capece. Mini-rubriche appaiono ancor oggi su pubblicazioni minori.
Auguro ad Adolivio di divertirsi e intrattenerci per tantissimi anni ancora sul quotidiano torinese “La Stampa”.

I vari Blog ai nostri giorni, così come le rubriche ancora ospitate su riviste e quotidiani, fanno del loro meglio per diffondere gli scacchi e le news intorno agli scacchi.
Occorre passione e fatica, tanta passione in primo luogo, dal momento che di solito (almeno è così nel caso di UnoScacchista) non ci sono ‘entrate’ ma solo ‘uscite’. Dispiace piuttosto che talvolta alcuni lettori passino al setaccio gli articoli dei blog e paiano quasi soddisfatti nel rilevare una sola svista o imprecisione su centinaia di notizie e dati, imprecisione implacabilmente confrontata su Google e mostrata immediatamente su altri social. Eppure a me sembra che sbagliamo noi dilettanti articolisti così come possono sbagliare più affermati scrittori e professionisti, finanche nei libri, che pure sono visti e rivisti e controllati prima della pubblicazione.
Faccio, dal momento che ho già parlato de “Il Corriere della Sera”, un solo esempio di un errore, piuttosto serio a parer mio, che un giorno ravvisai nel testo della ben nota “La Storia degli Scacchi in Italia” (di Adriano Chicco e Antonio Rosino, Marsilio ed. 1990).
Alla pagina 198 si legge esattamente così: “… (Serafino Dubois) di ritorno dalla Francia si fermò a Torino, dove il 5 novembre 1855 si batté contro il polacco Czaikowsky, antico habitué della “Régence” (+11 =1-1). Questo incontro fece un certo rumore nella capitale piemontese, tanto che una delle partite ebbe l’onore, insolito in quei tempi, di essere pubblicata in appendice su un giornale quotidiano (“Il Corriere della Sera”) …”.
Qualcuno dirà: “come avranno fatto a giocare 13 partite in un sol giorno, il 5 novembre del 1855?”. Già, ma non è questo il punto principale, è un altro.
In realtà “il Corriere della Sera” iniziò le pubblicazioni soltanto nel 1876. Nel 1855 il Corriere non esisteva ancora! Forse quella partita venne pubblicata da quel quotidiano un ventennio (o ancor più) dopo? Mah! Può essere. I due autori non sono stati precisi al riguardo, a meno che non abbiano confuso “il Corriere della Sera” con “La Gazzetta di Milano”, che in quegli anni era il quotidiano più diffuso in Lombardia, oppure con il torinese “La Gazzetta del Popolo”.
Tuttavia di errori come questi (e come i nostri eventuali) vorrei vederne ancora per altri 100 anni: gli errori aiutano a migliorare. Non aiuta invece a star bene, anche se ne comprendiamo i motivi, la sparizione di attività secolari, la sparizione di chioschi e di giornali, il tramonto di antichi mestieri e di tradizioni.
(P.S.: l’autore ringrazia Adolivio Capece e Roberto Cassano)