Uno Scacchista

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Quei “capelloni” di 50 anni fa…

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Kasparov, Speelman e Korchnoi, Reykjavik 1988

(Uberto Delprato)
In questi giorni fa molto discutere la trasformazione estetica di Carlsen, che sfoggia da qualche tempo una lunga capigliatura, recentemente anche raccolta in una “crocchia”, con tanto di baffi e folto pizzo. Da ragazzino con i capelli tagliati “a scodella” a un look quasi da attore hollywoodiano ne è passato di tempo, ma le sue indubbie capacità alla scacchiera, verticale o orizzontale che sia, fanno tornare alla mente quello che Vlastimil Hort disse nel 1975:

“Gli avversari con i capelli lunghi sono i più pericolosi: vanno sempre all’attacco e conoscono bene le aperture”

Magnus Carlsen al Superbet Rapid & Blitz Poland, 2023 (Lennart Ootes)

Questa frase ci riporta indietro di 50 anni, quando portare i capelli lunghi era un segno di protesta contro una società ritenuta benpensante e bacchettona. I cosiddetti “capelloni” erano guardati con sospetto e accusati di atteggiamenti irrispettosi tanto che (storia vera, accaduta solo pochi anni prima che lo frequentassi, nel liceo di Roma dove ho studiato) i ragazzi con i capelli lunghi erano spesso allontanati. Il risultato ovviamente fu l’opposto di quello desiderato, perché in quegli anni di ribellione non poteva essere certamente una soluzione far passare per perseguitati coloro che stavano manifestando una chiara voglia di cambiamento.

(NdA: Si potrebbe dire che ciò è valso sempre e vale anche ai giorni nostri, e questa considerazione mi porterebbe su un terreno estremamente interessante ma lontano da questo semplice post a sfondo scacchistico)

Negli anni ’70 i “capelloni” erano anche grandi protagonisti sulla scacchiera: i tanti giocatori inglesi che sarebbero diventati una fortissima generazione di GM (Miles, Mestel, Speelman, Nunn, Short, Conquest per citarne solo alcuni) sfoggiavano capigliature imponenti nei loro anni giovanili e anche l’olandese Jan Timman ha sempre preferito un look da Led Zeppelin a quello da bravo ragazzo.

Jan Timman e John Nunn, Wijk aan Zee 1982 (R. Croes / ANEFO)

Ci furono addirittura battaglie epistolari sulle colonne dell’importante rivista CHESS, come riporta Justin Horton sull’ormai cessato “The Streatham & Brixton Chess Blog“.

Nell’ottobre del 1973 il lettore Stanley Lorley di Sheffield scrisse una lettera, pubblicata, in cui lamentava la presenza di giocatori vestiti come “vagabondi” (“trumps”) e affermava che l’Inghilterra sarebbe riuscita a produrre giocatori del livello di Sir George Thomas solo quando nei tornei sarebbero di nuovo stati accettati solamente giocatori “ben vestiti” e con “i capelli corti”. La lettera era chiusa dall’auspicio che quei “vagabondi” si sarebbero vergognati leggendo la sua lettera.

Ai nostri tempi una lettera di questo tono (e ce n’era anche per le giocatrici!) avrebbe scatenato immediatamente fiammate sui social, ma in quegli anni la risposta arrivò su CHESS solamente nel novembre del 1973, a firma di un certo M.Lewis, che, definendosi uno di quei “vagabondi con i capelli lunghi fino alle spalle”, si dichiarava disgustato dalle parole di Lorley, affermando che l’abilità di un giocatore sta più in quello che sa realizzare alla scacchiera che nel suo aspetto. La chiusura era comunque incendiaria: “Il fatto che Mr. Lorley non riesca a capirlo mostra solamente che è proprio ciò che dice di essere: un anziano pensionato, fuori dal tempo e senza contatto con la realtà“.

A questa lettera seguì poche settimane dopo una risposta molto energica di una tale Leopold Winter di Hove, che prendeva chiaramente le difese di Mr. Lorley, chiudendo con un esplicito “Questi giovanotti hanno bisogno di un po’ di educazione militare per perdere la loro folle arroganza“.


Questo acceso scambio epistolare sarebbe potuto rimanere nella lista delle curiosità degli anni che furono se Jonathan Manley (sulle colonne virtuali e imperdibili di “Kingpin Chess Magazine“), non avesse suggerito una interessante ipotesi su chi fossero veramente i signori Stanley Lorley da Sheffield e M.Lewis da Finsbury Park. Secondo lui, nel 1973 uno studente di Sheffield conquistò il titolo di MI e, anagrammando “IM Stanley Lorley” si ottiene… “Really Tony Miles”!

Miles contro Hort nel Torneo IBM, Amsterdam 1978 (K. Sujk / ANEFO)

Come segnalato da Federico Manca qualche settimana fa, Tony Miles era un evidente amante degli anagrammi, e lo si capisce dal titolo della sua biografia “It’s Only Me” (anagramma di Tony Miles).

Semplice per Jonathan Manley poi sostenere che la “M” di M. Lewis sia semplicemente l’iniziale di “Miles”: tutto potrebbe essere, vista la verve e lo spirito di quello che fu il primo GM inglese.


Se con gli occhi di oggi questo scambio di battute, vere o scherzose, di 50 anni fa sulla lunghezza dei capelli di un giocatore ci fa sorridere, e se oggi, giustamente, non ci scandalizza un Magnus Carlsen “capellone”, perché facciamo ancora tanta fatica ad accettare le persone per quello che sono, che pensano e che fanno, anziché giudicarle per l’aspetto che hanno?

“Sia questa l’ultima battaglia” (“Let that be your last battlefield”), Episodio 15 della 3ª serie di Star Trek: è evidente che un uomo con la metà destra della faccia bianca non si può fidare di un uomo con la metà sinistra bianca, no?

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