Campione del mondo e ‘numero 1’ al mondo: un vecchio equivoco
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FIDE World Cup 2023 - Magnus Carlsen concentrato contro Pragg (Stev Bonhage/FIDE)
(Riccardo Moneta)
Nei giorni scorsi Magnus Carlsen ha ribadito che non parteciperà alle prossime selezioni ‘mondiali’. Peccato. Il match del 2023 tra Ding Liren e Nepomniachtchi è stato comunque assai interessante. Così si dice. Mi chiedo però se quel match sia stato percepito dal pubblico come un vero ‘Mondiale’ o se l’ombra di Carlsen si sia fatta sentire e séguiti ancora a farsi sentire. Al prossimo mondiale ci avete pensato?
Ebbene, anzitutto vi propongo di leggere attentamente la definizione di “Campionato mondiale” che si trova nella Enciclopedia Treccani:
“Nello sport, campionato mondiale è una gara o un complesso di gare a cui partecipano atleti o squadre di diverse nazioni per l’assegnazione del titolo di ‘campione mondiale’ in una determinata specialità”.
Chiarissimo. C’è poi da tener ben presente la differenza fondamentale esistente tra le parole campionato mondiale/campione mondiale da un lato e dall’altro la parola “campione”, che (sempre nell’Enciclopedia Treccani) definisce in senso generico un “atleta eccellente e di grande fama”. Pertanto di campioni in ogni sport non ne esiste uno solo ma evidentemente anche più di uno, e talvolta anche contemporaneamente.
Intorno a tale definizione di campionato mondiale vorrei in particolare sottolineare la presenza delle parole ‘diverse nazioni’ e ‘specialità’. Invece la parola “campionato”, per gli amanti della etimologia, proviene a sua volta dal latino medioevale “campio”, che deriva da “campus” nel significato di “campo di battaglia”. Qualche mese fa Ding e Nepo hanno onorato bene l’origine del nome, dandosi battaglia aperta. Però, sapere che a darsi battaglia erano soltanto in due su quel campus, anziché tanti “atleti di diverse nazioni”, lascia dei dubbi. Qualcosa non va. E ne parlai in passato in un paio di miei articoli. Adesso però il tema è tornato fortemente di attualità in seguito alle due ultime “mosse” di Carlsen, il quale prima ritenne di non voler ‘difendere’ il suo titolo mondiale e poi ha deciso di rinunciare a partecipare al prossimo ciclo mondiale, scelta già ventilata tempo fa e nell’agosto scorso confermata.
Provate a seguirmi ancora (e fino in fondo se avrete pazienza, perdonandomi magari qualche ripetizione di troppo).
Partiamo dal match “mondiale” di Astana (aprile 2023) e vediamo per prima cosa quale è stata l’opinione del Presidente della FIDE Arkadj Dvorkovich intervistato in quei giorni da “MatchTV”.
D.: – Alcuni hanno criticato la qualità del gioco, il che ha alimentato l’opinione che, causa l’assenza di Carlsen, non abbiamo un vero campione del mondo. Cosa risponde?
R.: – Non condivido assolutamente il tema del finto campione. E sono particolarmente lieto che Magnus si sia congratulato con Ding Liren per la sua vittoria. Questa è la prova che il norvegese considera Ding Liren un legittimo campione del mondo.
D.: – È quindi possibile affermare che il mondo degli scacchi non ha perso nulla a causa del rifiuto di difendere il titolo da parte di Magnus?
R.: – Da un lato ha perso, ma dall’altro ha guadagnato. Non posso dire che non abbiamo perso nulla, perché il mondo ha perso l’opportunità di vedere Carlsen difendere il titolo di campione del mondo. Allo stesso tempo, abbiamo avuto un’entusiasmante lotta per la corona mondiale. Quale di questi due elementi si rivelerà più importante nella storia degli scacchi, lo sapremo solo in seguito.
Niente di particolare da mister Dvorkovich, si tratta di dichiarazioni interlocutorie, prudenti. Non mi aspettavo di più sul momento. Andiamo oltre e auguriamoci che in futuro un Presidente della FIDE sia in grado di dire che da un mondiale il mondo degli scacchi non ha perso nulla (ma ciò dipenderà anche da lui …).
Titolo mondiale dunque. Ne parlavamo in Redazione tempo fa, prima dell’ultimo match. “Ogni sport lo prevede”, si diceva. Bene, benché non sia esattamente così. Però non esiste un motivo per cui un titolo mondiale non possa esserci anche negli scacchi. E in merito alla rinuncia di Carlsen ci si chiedeva giustamente: ”come si può evitare che un campione in carica si sfili …. se non eliminando il concetto di difesa del titolo?”. Appunto, ci siamo!
E’ proprio quel concetto che va eliminato (e non il Campionato mondiale!), quel concetto di “difesa del titolo” che non esiste in altri sport, tranne che nel pugilato, e che è fuorviante. Un titolo mondiale lo si vince, poi eventualmente lo si rivince, oppure non lo si vince più, ma non c’è nulla da dover ‘difendere’ perché non c’è nulla da dover restituire. Si tratta di un vecchio e resistente quanto evidente equivoco.
Quel particolare concetto di un “campione del mondo” che si erge sopra gli altri a detenere i simboli del più forte, fa molto somigliare codesta figura di campione di scacchi ad un Re, ad un personaggio che si è eretto su un piedistallo di prestigio e la cui valenza-violenza finisce quasi per travalicare gli aspetti strettamente sportivi; è un concetto ‘monarchico’, autoritario, che il tempo ha materializzato e che mai ha voluto oscurare. Fu, tra l’altro, un concetto che per gli scacchi si andò non a caso imponendo in Europa fra l’Ottocento e il Novecento, nutrendosi di quel culto della personalità che è stato particolarmente robusto presso alcune realtà (quella russo/sovietica e quella germanica) che un gran peso hanno anche avuto nello sviluppo del nostro gioco negli stessi decenni. Non c’è dubbio che l’immagine dell’uomo “forte” ha dominato in gran parte dell’Europa la scena politica della prima metà (almeno) del Novecento e che non ne sono state esenti (nel bene e nel male) neppure Inghilterra, Francia e Italia. Non nascondo, fra l’altro, che ne temo un ritorno generalizzato, dal momento che oggi il cosiddetto “circo mediatico” spinge pesantemente e pericolosamente verso una estrema personalizzazione della vita politica. Ma questo è altro discorso.
Sarebbe viceversa auspicabile che sparisca ovunque questo mito del campione assoluto, del monarca detentore di trono e corona, e che sparisca la conseguente attesa di un successivo (presunto) “uomo forte” che aspiri a prenderne l’eredità scalzando il vecchio Re dal trono attraverso massacranti “Tornei dei Candidati” e matches fra i candidati (altra roba quindi da eliminare).
E’ vero che gli scacchi sono anche stati definiti “il gioco dei Re”, ma io mi augurerei che possano meglio diventare “il gioco del popolo”, il gioco di tutti, un gioco che per me è divertimento più che guerra, a qualsiasi livello.

Un mio vivo desiderio è quello di vedere un giorno il titolo mondiale scaturire da una sola, unica, meravigliosa competizione e col maggior numero possibile di partecipanti, una delle tante (la più importante) che unisca democraticamente e sportivamente grandi maestri di ogni parte del mondo, un po’ come avviene per i Giochi Olimpici, che sono uno dei rari momenti di felice incontro dei popoli di tutto (o quasi) il globo. In queste competizioni potrebbe anche accadere che a vincere sia un outsider, ed anzi sarebbe preferibile per lo sport se ogni tanto i vincitori non si identificassero con i “numero uno” delle classifiche mondiali, perché la cosa darebbe grossi stimoli ai più giovani e alle seconde linee.
Diamo un’occhiata in giro. Alcuni sport non hanno una specifica competizione valida quale campionato del mondo (vedi il tennis); i più lo hanno, talora ogni 4 anni (il football, anche perché è uno sport di squadra e non individuale) talaltra annualmente. Ogni anno sarebbe l’ideale per un mondiale di scacchi, come lo è, ad esempio, per il ciclismo.
E soprattutto dovrebbe essere chiaro che il campione del mondo NON deve necessariamente risultare il giocatore più forte (o la squadra più forte) in uno sport. Quando l’Italia vinse i suoi ultimi mondiali di calcio, ad esempio, non era la squadra numero uno delle liste mondiali. E allora? Forse non meritò quel titolo mondiale? Forse non doveva neppure stare in finale?
Che io sappia, fra gli sport più noti, solo in un caso si trova il concetto di “match” per il titolo mondiale tra un campione e uno sfidante: nel pugilato. E’ proprio l’assurdo concetto di “difesa del titolo” che va soppresso! Non si difende un bel nulla: si è semplicemente vinto un mondiale lo scorso anno e si tenterà di rivincerlo quest’anno e l’anno prossimo, tutto qua. E poi voi ritenete normale che un cosiddetto ‘pretendente’ al titolo debba scalare montagne per arrivare lassù dove lo aspetta, comodo, allenato e riposato, un ‘detentore’? Io no, assolutamente no (e mi pare che anche Carlsen abbia espresso lo stesso concetto).
Il Campionato del mondo non dev’essere altro che una grande e singola manifestazione internazionale, articolata in più giornate consecutive, nella quale gareggiano più partecipanti, compreso ovviamente (se vuole partecipare, e fa niente se non vuole!) il campione dell’anno precedente. Tutti alla pari ai nastri di partenza! Chi prevale in un siffatto torneo “mondiale” può non essere il più forte in assoluto in quell’anno in quella disciplina, ma sarà stato il più meritevole (o più bravo o più fortunato) in quei determinati giorni di svolgimento del mondiale.

Una manifestazione assai seguita e bellissima è, ad esempio, il campionato mondiale di Atletica leggera, seconda soltanto alle Olimpiadi. Il fatto che sia tutta racchiusa nello spazio di pochi giorni (e che quindi possa incidere il ‘fattore fortuna’ in presenza di forma fisica carente o altro) non è assolutamente riduttivo né del valore della competizione né della bontà dei risultati (e chi in agosto ha visto gli ultimi emozionanti mondiali di Budapest lo sa bene), anzi il concentrarsi in poche ore dell’attenzione e della suspence aggiunge molto allo spettacolo, all’impegno e alla prestazione di atlete e atleti.
Ci sono poi degli sport nei quali non esiste una specifica singola gara di campionato, ma per i quali il campione del mondo è designato in base ad una classifica che è stilata a fine anno sulla base dei risultati di alcune gare di quell’anno. Attenzione, però: di quell’anno e NON di anni precedenti! E’ questo il caso dell’automobilismo-Formula Uno. Nel 2024 il campione del 2023 Max Verstappen ricomincerà da capo, alla pari con tutti gli altri, ovvero senza vantaggi da ‘detentore’.
Di conseguenza il considerare negli scacchi campione del mondo il giocatore che ha il più alto punteggio Elo (determinato da risultati che si assommano da più anni) non sarebbe per niente corretto, perché il campione del mondo in ogni sport dovrebbe essere proclamato solo sulla base dei risultati di una o più, ma ben determinate, competizioni di un altrettanto ben determinato e possibilmente breve periodo. Se volessimo nominare campione del mondo il numero uno per Elo, potremmo anche in teoria farlo (qualcosa di simile accade nel tennis), ma allora non servirebbe alcuna competizione aggiuntiva denominata “Campionato del mondo”.
Ove pertanto esista una competizione mondiale, occorrerà insomma ben distinguere fra il “numero uno” del mondo e il “campione del mondo”, che potrebbero essere la stessa persona ma anche no. Io (ad esempio) potrei essere campione del mondo di getto del peso del 2023 perché sono stato il più bravo in quella specifica competizione di luglio o agosto 2023, ma potrei non detenere o non aver mai detenuto il record mondiale di getto del peso: nessuna meraviglia deve far ciò in quanto si tratta di due aspetti diversi di uno stesso sport.
Il mio ragionamento può destare perplessità in molti scacchisti, ma ciò è spiegabile in quanto lo scacchista è stato comunemente abituato a leggere e ad assimilare una storia del gioco che ha nominato i campioni del mondo sempre a seguito di matches individuali, matches in passato perfino a volte sottoposti a volontà e capricci del campione in carica. Inoltre l’appassionato di scacchi è portato ad identificare un diverso campione per ogni diverso periodo storico, periodi anche piuttosto lunghi (come è stato il caso degli anni di Lasker, Capablanca e Alekhine) e perfino privi di incontri. E tutto ciò finisce per sembrare normale. E’ innegabile come al mondo scacchistico manchi generalmente oggi quella che un apprezzato giornalista come Mario Lavia definirebbe una “cultura istituzionale diversa dal conservatorismo dell’esistente”.
Torniamo alla definizione di “Campionato del mondo” che si trova sulla “Treccani”:
“… gara o complesso di gare cui partecipano più atleti di diverse nazioni”. Ecco: diverse nazioni. Voi pensate che sarebbe davvero il massimo dell’interesse mediatico una sfida mondiale a due nella quale detentore e sfidante appartengano alla stessa nazione? Ad esempio due indiani, o due cinesi, o due russi, o due statunitensi? Io penso proprio di no. Eppure potrebbe succedere prima o poi, con il sistema attuale (due indiani?).
Un altro inconveniente del sistema attuale con match è quello cui avevo già scherzosamente accennato in un mio precedente articolo e che qui riporto: “… E non dimentichiamo poi il match mondiale del 1935 in Olanda, quello vinto sorprendentemente dal giocatore di casa Max Euwe su Alekhine, del quale qualche testimonianza ricorda come il campione russo durante il match avesse “alzato il gomito” un po’ troppo spesso. Così può accadere che il vero vincitore di un match mondiale possa essere non un novello Gioacchino Greco bensì un … Greco di Tufo!”
In proposito mi piace ricordare che lo stesso Carlsen è uscito vincitore dall’ultima Coppa del Mondo disputata a Baku nonostante una piccola indisposizione nel match finale con l’indiano Praggnanandhaa: e se l’indisposizione fosse stata un po’ meno piccola? Rifletteteci. Piantiamola con questi logoranti match, è meglio! Piantiamola di restare abbarbicati a questo bellico o belluino concetto di match che spesso nasconde perfino un sadico e subliminale piacere di vedere due persone/due menti confrontarsi battagliando per settimane (come su di un ring) fino allo sfinimento e alla resa di una delle due. Piantiamola!
Con la mia proposta, quella del Torneo mondiale di Campionato (che non andrà confuso con la “Coppa del Mondo” come già ora fa qualcuno) non si sminuisce affatto l’importanza del “mondiale”. C’è inoltre da considerare che l’attuale percorso verso il “mondiale”, cioè la selezione che designa “lo sfidante”, interessa in prevalenza gli addetti ai lavori e non certo la gran massa degli sportivi e dei mass media, e poi che tale selezione, diluita in un arco di tempo eccessivamente ampio, può portare a conseguenze bislacche; prendiamo il caso del campione del mondo in carica, Ding Liren, il quale ha avuto la strada piuttosto favorita da una serie di circostanze non soltanto tecniche presentatesi sul suo percorso mondiale. E poi quella strada è così lunga, contorta e psicologicamente sfibrante, che finirebbe per poter essere scansata anche dal giocatore più forte del mondo: e infatti il Carlsen di oggi l’ha scansata, così accade che in molti continueranno a dire “Beh, il vero campione del mondo però è sempre Carlsen”. Non ci siamo, così non va, e lo afferma onestamente l’ottimo Magnus Carlsen per primo.

Sapete tutti che Carlsen, che a suo tempo non volle “difendere” il titolo mondiale, ha deciso di non partecipare al “Torneo dei Candidati” che si disputerà ad aprile 2024 in Canada. Come scrissi in altro post “… anche per Carlsen il sistema oggi in vigore è sbilanciato in favore del campione in carica, mentre lo sfidante deve sottoporsi ad un logorante tour de force. E anche Carlsen auspica un Campionato del mondo con cadenza annuale…”. Magnus ha ragione! Completamente ragione! E allora cosa aspetta la FIDE a muoversi?
In una intervista dopo il match con Nepomniachtchi del 2022 Carlsen aveva ribadito: “Non sono mai stato un sostenitore del Campionato del Mondo, e ho detto, sia prima sia dopo ogni match, che non sapevo se avrei giocato in quell’occasione o nella prossima. Mi sono sentito obbligato a giocare perché gli altri se lo aspettavano, non tanto perché io stesso lo volessi”.
Sono queste stesse parole a far concludere senza tema di dubbi che: a) la formula attuale del Mondiale non è quella più giusta e b) una formula giusta non dovrebbe risultare eccessivamente esposta agli umori e alle scelte (pur legittime) di Tizio o di Caio, di campioni e di sfidanti vari.
In ogni modo un Campionato del mondo serve, perché un Campionato del mondo porta lustro e pubblicità ad ogni sport. Si tratta solo di trovare la migliore formula, che dev’essere (per quanto fin qui spiegato) completamente diversa dall’attuale. Coraggio, allora! Proponiamo questo torneo unico valido per la designazione del campione del mondo di scacchi” sì o no? Senza “logoranti tour de force” preliminari si o no? Ci decidiamo a metterlo in piedi sì o no?
E smettiamola di guardare sempre il punteggio Elo: il punteggio Elo non c’entra nulla! I migliori Grandi Maestri che vogliano fare la loro corsa sull’Elo, la corsa della loro carriera sull’Elo, la facciano pure, nessuno lo impedirà loro. Carlsen (o chi sarà in futuro il primo della lista Elo) avrà tutto il diritto di sentirsi il numero 1 al mondo finché guida le classifiche Elo, così come il campione del Mondo che risulti da una specifica e chiara competizione mondiale avrà tutto il diritto di sentirsi il vero campione del Mondo per quel determinato anno. Le classifiche vanno bene, servono eccome, ma la competizione “mondiale” e il suo spettacolo e le attese sportive che ne derivano sono tutt’altra cosa.
Completo la mia proposta, senza peraltro entrare in eccessivi dettagli da definire in un secondo tempo. Molto giustamente il nostro Grande Maestro Sergio Mariotti in un recente articolo ricordava che nel 2018 Carlsen piegò nel match mondiale Fabiano Caruana solo agli spareggi “Rapid”, concludendo con “… ma quello è un altro sport!”. Verissimo. Nell’atletica leggera, ad esempio, c’è una gara che assegna il titolo mondiale sui 10.000 metri, una sui 5.000, una sui 1.500, una sugli 800 e così via. Non c’è mica una gara di “corsa” e basta, no? Perché non dovrebbe essere la stessa cosa anche negli scacchi? Cosa ci azzecca un blitz da 5 minuti con una partita di 3 o 4 ore? Cosa ci azzecca un torneo a cadenza classica che vada a concludersi con spareggi rapid, blitz o addirittura con Armageddon? Sarebbe come se due atleti giunti con lo stesso tempo nella finale dei 10.000 metri facessero poi uno speraggio sui 100 metri per l’assegnazione del titolo! Come la chiamereste se non una colossale stupidaggine? La stessa Enciclopedia Treccani sopra citata parla non di Campionato del Mondo di uno sport, ma di “specialità”, e anche negli scacchi si possono individuare più specialità distinte e non una sola. La specialità regina è naturalmente il gioco su tempi classici di riflessione, e a questa mi riferisco col presente articolo.

Pertanto ribadisco che la mia proposta è quella di un unico Torneo Mondiale a cadenza classica (senza necessità di eliminatorie o qualificazioni), all’italiana o a sistema svizzero (opterei per uno svizzero), concentrato in un arco di tempo determinato (e da svolgersi ogni anno!). Quando questo Torneo Mondiale avrà inizio, il campione mondiale in carica sarà già il campione uscente, avrà dismesso l’immaginaria corona e dovrà lottare alla pari con tutti gli altri giocatori per riconfermarsi, così come avviene nella gran parte degli sport.
A qualcuno la proposta potrebbe apparire limitativa/diminutiva per un titolo mondiale. Invece non lo è, anzitutto perché (scusate se mi ripeto per l’ennesima volta!) non si deve confondere il campione mondiale col detentore di un record mondiale o con il primatista delle classifiche, e poi basterebbe guardare, ad esempio, oltre all’atletica leggera, al ciclismo: le due edizioni 2022 e 2023 del mondiale sono state due edizioni spettacolari, indimenticabili per tutti gli appassionati, che hanno visto (in un giorno solo, una gara sola!) darsi una spettacolare battaglia di altissimo livello i migliori ciclisti del momento e hanno visto prevalere con azione stupenda due veri campioni: Evenepoel nel 2022 e Van der Poel nel 2023. E allora perché non ritenere che anche da un supertorneo con tutti i migliori giocatori di scacchi del mondo non possa emergere vincitore un giocatore che avrebbe tutto il merito di fregiarsi del titolo mondiale? Emergerà sicuramente, e anzi il titolo in palio spingerà in alto la lotta e la qualità delle partite!
Un altro vantaggio da non sottovalutare che si avrebbe con questa soluzione? Eccolo: che al termine di un torneo con sistemi italiani o svizzeri o italo-svizzeri il vincitore sarebbe automaticamente determinato anche in caso di parità finale, e non occorrerebbero spareggi e code di nessun tipo. “Determinato come?”, mi si potrebbe chiedere. Beh, basta mettersi a tavolino e studiare, fra le centinaia di soluzioni, una delle più eque e logiche. Ne parlò UnoScacchista in un antico post “Spareggi: come orientarsi fra tanti criteri“.
Suggerirei ovviamente come prima discriminante in una situazione di parità la quantità di vittorie.
“E come facciamo con eventuali vantaggi di avere più o meno colori bianchi in un torneo a ‘sistema svizzero’?”, potrebbe aggiungere qualcun altro. Beh, in qualunque sport le condizioni non possono essere identiche per tutti i partecipanti: nei 400 metri di atletica c’è chi corre in prima corsia e chi in ottava corsia (a volte è meglio l’una, a volte l’altra), nell’automobilismo c’è chi parte dal lato più bagnato della pista e chi no, nel tennis è sovente in vantaggio in un set chi “va al servizio” per primo, nello sci c’è chi parte col sole e chi dopo pochi minuti in un banco di nebbia, ecc… Normale, no? Quel che conta è che le condizioni siano il più possibile simili per tutti, poi è inevitabile che la fortuna possa risultare determinante in un torneo, così come nel calcio può essere determinante un palo o nel tennis può essere determinante un nastro. Questo è lo sport, ragazzi!
Altro lato positivo della presente proposta, in specie se si concretizzasse il progetto di un torneo a sistema svizzero molto numeroso (ad esempio con ammessi i primi 40 o 50 o 60 scacchisti delle classifiche mondiali) è quello di aver dato l’opportunità a tanti giocatori di aver realizzato almeno una volta nella vita il sogno della loro carriera, ovvero quello di aver preso parte ad un torneo valido per l’assegnazione del massimo titolo mondiale.
Non resta che auspicare che la FIDE si muova finalmente e decisamente in questa direzione, che si lasci una buona volta alle spalle le scorie di un inutile conservatorismo ideologico e vada a studiare tutti i più opportuni dettagli per l’organizzazione di un siffatto Torneo mondiale, che porterebbe oltretutto un gran vento di novità nell’arrugginito e indolente universo scacchistico mondiale.
Questo o altro che sia, occorrerà in ogni caso trovare una nuova formula per la competizione che assegna il titolo di campione del Mondo, in quanto l’attuale ha clamorosamente mostrato tutti i suoi limiti; occorrerà trovare una formula che soddisfi tutti, giocatori e organizzatori. Non mi pare un’impresa epica, basta un po’ di buona volontà e ci siamo. E vedrete che questa nuova formula, in specie se sarà quella da me suggerita, sarà adeguata anche alle aspettative di Magnus Carlsen (pur al momento poco interessato agli scacchi a cadenza classica) e di qualunque altro numero 1 al mondo (e non solo numero 1, ma numero 100 o numero 1.000 …).
La mia proposta non vi piace? Fa niente, trovatene un’altra! Muoviamoci, però, non buttiamo ancora una volta la palla in tribuna e non dimentichiamo mai le sacrosante parole di Winston Churchill: “non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”.