Eh, la memoria, la memoria!
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(Riccardo Moneta)
Ogni tanto la memoria mi fa strani scherzi. Naturalmente non ricordo quali… Non ricordo cosa pensassero/pensino della loro memoria i campioni del mondo di scacchi. Probabilmente ritenevano/ritengono di avere una memoria normale. Se è così, mi permetto di apporre un “?!”: mossa dubbia, molto dubbia, caro grande maestro!
Avere scarsa memoria non aiuta i giocatori di scacchi. E’ ovvio. Potrebbe però aiutare gli scrittori di scacchi (e non solo loro) a descrivere o immaginare i propri ricordi: senza memoria precisa, essi sono più liberi di parlare di ciò che a loro piace. Così faccio io, che ricordo una cosa soltanto: i miei errori, che sono stati pochi proprio perché la memoria degli stessi mi ha aiutato a non ripeterli. Infatti … ho smesso presto di giocare! Quindi potete star (quasi) certi che non ripeterò più l’errore di scrivere un post confuso e non … memorabile com’è nei primi due capoversi (… e oltre) questo di oggi.
In qualche sito (che ovviamente non ricordo) lessi tempo fa di un giocatore di scacchi (?) britannico, tale Dominic O’Brien (classe 1957), che ha vinto otto titoli mondiali di “mnemonica” e che da bambino a scuola non ricordava mai nulla e, anzi, soffriva di dislessia. In realtà non ho trovato nessun giocatore di scacchi con quel nome. Fa niente. O’Brien, capace di performances eccezionali, ha scritto diversi libri sulle ‘tecniche di memorizzazione’. La memoria, insomma, la si può coltivare. Nel 2002 egli ha avuto una menzione nel “Guinness dei primati” per aver ricordato una sequenza casuale di 2.808 carte (54 mazzi) dopo aver visto ogni carta solo una volta. Gli è stato poi vietato (se ben ricordo) l’ingresso in tutti i casinò del mondo. Chissà perché.
Non l’aveva coltivata, la memoria, bensì gli era innata, un vero giocatore di scacchi, il fenomenale statunitense Harry Nelson Pillsbury (1872-1906), uno dei più bravi giocatori di tutti i tempi. Scriveva il giornalista Harold Schonberg che Pillsbury era famoso per le sue esibizioni in giochi di memoria: “gli davano 50 foglietti numerati, ognuno con una frase di 5 parole. Lui li leggeva tutti e li metteva in un cappello. Poi qualcuno li estraeva uno alla volta, annunciava il numero segnato sul foglietto e Pillsbury snocciolava la frase corrispondente. Alla fine recitava ogni frase a rovescio”.

Voi dite che tutti i giocatori di scacchi debbono avere un’ottima memoria? Anche i meno forti? Mah! Uno studio pubblicato sulla rivista “Nature” all’inizio degli anni 2000 descriveva di come alcuni scienziati tedeschi dell’Università di Costanza avessero scoperto come i bravi giocatori di scacchi utilizzassero di più nell’attività scacchistica determinate aree del cervello, come le cortecce frontali e parietali. Viceversa i giocatori meno bravi si avvalevano di più del lobo temporale mediano. Ma ciò è valido in senso generale e non limitatamente alla memoria. E per nutrire al meglio il cervello è fondamentale anche l’alimentazione, come da noi ricordava in questo post il nostro Renato Tribuiani: “Elementi di nutrizione finalizzata agli scacchi“.
Qualcuno (che ovviamente non ricordo) sostenne che è diversa la memoria fra donne e uomini. Uno studio dell’Università di Los Angeles concluse, dopo vari test, che i risultati ottenuti dai due sessi erano praticamente identici. Tuttavia un altro studio sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” affermava (se ben ricordo) che, essendo il cervello delle donne dotato di più connessioni fra i due emisferi, le donne avrebbero una memoria diversa, più ‘emotiva’ rispetto a quella degli uomini. Questo non significa assolutamente che dette differenze portino in pratica a delle diversità comportamentali fra i due sessi.
Al cervello degli scacchisti dedica un capitolo, il decimo, anche l’interessante lavoro di Stefano Vezzani “Scacchi e Psicologia” (ed. “Messaggerie Scacchistiche”, 2011). Vezzani riferisce, ad esempio, di come alcuni studi (di Merim Bilalic, professore di psicologia alla Northumbria University di Newcastle, e altri) siano arrivati alla conclusione che sia nei giocatori esperti sia nei principianti si attivino aree del lobo temporale sinistro, ma solo negli esperti si attivano le stesse aree anche in quello destro.
Insomma, si tratta di argomenti affascinanti e complessi che varrebbe la pena di approfondire, magari da parte di qualcuno dei nostri lettori. Io mi fermo qui nei miei appunti, altrimenti finisce che non ricordo da dove sono partito né dove volevo ‘andare a finire’: probabilmente, come spesso mi succede, da nessuna parte!
Ah, sì, volevo soltanto ricordare, dopo Pillsbury, un altro personaggio storico dotato di una memoria formidabile. Italiano, stavolta! Si chiamava Pietro Tomai, o Tomasi, detto “Pietro da Ravenna” o anche “Pietro Ravennate” (Ravenna 1448?-Magonza 1508?), un giurista, da non confondere con un Pietro Crasso da Ravenna, anche lui giurista ma antecedente di qualche secolo.
Pietro Tomai insegnò diritto, diritto canonico in particolare, fra il 1475 e il 1496 in diverse città: Venezia, Piacenza, Ferrara, Pavia, Pistoia, quindi a Padova dove ricevette un buon stipendio, fino a 200 ducati, ‘in ragione dei suoi numerosi figli’.
In seguito fu titolare di cattedre presso le Università tedesche di Greifswald (dove si era trasferito nel 1497 al seguito del duca di Pomerania Boghislao X), poi Amburgo e Lubecca. Qui nel 1502 perirono di peste due suoi figli e lui decise di tornare in Italia con la seconda moglie Lucrezia Azzoni e gli altri figli.
Nel 1503, richiamato dal principe Federico di Sassonia, si trasferì nuovamente in Germania, prima a Wittenberg, poi a Colonia, dove diede alle stampe una controversa enciclopedia giuridica (“Alphabetum aureum”), per finire a Magonza, dove morì nel 1508 (secondo altre fonti invece sarebbe morto a Worms tra il 1509 e 1510).
La bibliografia su Pietro Tomai “il Ravennate” è ricchissima, con testi in italiano, tedesco e spagnolo, riscontrabili qui per chi volesse studiarne meglio la vita e le opere.
Nella “Storia della letteratura italiana” di Girolamo Tiraboschi (1731-1794), edizione del 1833, tomo III, venivano riportate alcune parole dello stesso Pietro Tomai a sostegno della sua capacità mnemonica fuori dal comune, parole tratte dal suo scritto (ed. Venezia, Bernardinus De Choris, 1491, edizione alla quale fecero seguito varie altre come Erfurt 1500 e Colonia 1508): “Phaenix, sive ad artificialem memoriam comparandam brevis quidem et facilis, sed re ipsa et usu comprobata introductio”. In sintesi: “La Fenice, ovvero la memoria artificiale”, uno scritto che ebbe per tanti anni un bel successo internazionale, che ancor oggi viene giudicato come il più influente trattato di ‘mnemotecnica’ del Rinascimento e al quale faceva riferimento lo stesso Giordano Bruno alla fine del Cinquecento.
Così si esprimeva Pietro Ravennate: “Io giocava agli scacchi, un altro giocava ai dadi, un altro ancora scriveva i numeri che da essi formavansi, ed io al tempo stesso dettava due lettere, secondo l’argomento propostomi. Poi ché fu finito il gioco, io ripetei tutte le mosse degli scacchi, tutti i numeri formati dai dadi, e tutte le parole di quelle lettere cominciando dalle ultime”.
Caspita! Formidabile davvero. Se fosse nato ai nostri giorni Pietro Ravennate avrebbe potuto dare spettacolo in qualche show televisivo di giochi e quiz.
In ogni caso teniamoci pronti a cambiare canale, non si sa mai, visto che si è quasi prossimi a scoprire i viaggi nel tempo (e anche ‘dal’ tempo)! Però …. ecco, vedete, ora non ricordo … non ricordo dove ho messo il telecomando! Eh, la memoria, la memoria! Vado a cercarlo. Alla prossima!