Felix Mendelssohn giocava bene, anzi … un po’ meglio
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(Riccardo M.)
Una scacchiera in casa dei Mendelssohn non dev’esser mai mancata. Ah, perdonatemi, … forse sto correndo troppo! Voi conoscete i Mendelssohn, sì? Si sta parlando oggi di Moses e Felix Mendelssohn, nonno e nipote.
Il primo dei due, ovvero “nonno” Moses Mendelssohn (Dessau 1729-Berlino 1786), proveniva da una famiglia israelitica di umili origini. Trasferitosi a Berlino, studiò lettere e filosofia, e nel 1763 vinse un concorso bandito dall’Accademia delle Scienze di Berlino al quale aveva partecipato anche il grande Immanuel Kant, che si classificò secondo dietro di lui. La sua casa in Spandauerstrasse 68, Alt Berlin, divenne pian piano un punto di ritrovo degli illuministi tedeschi, in primis dell’importante filosofo e scrittore Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), e divenne altresì il simbolo di una coesistenza armoniosa fra tedeschi ed ebrei.
Di Lessing, che era laureato in teologia, medicina, filosofia e filologia, così scriveva (1984, in “Interpreters of our cultural tradition”) Ernst H. Gombrich: “La sua passione per gli scacchi gli procurò la più fruttuosa amicizia dei suoi anni di formazione, quella con Moses Mendelssohn, che gli era stato raccomandato come avversario scacchistico e che diventò suo interlocutore nel dibattito filosofico. Nel padroneggiare il linguaggio della discussione, Lessing si dimostrò un maestro, nello stesso preciso senso in cui parliamo di un maestro nel gioco degli scacchi”.
Lessing, che viaggiò molto anche in Italia (Napoli, Milano, Roma, Torino, Firenze e Venezia) come accompagnatore del principe Leopoldo di Braunschweig, era una persona tanto colta quanto aperta e sensibile, e la sua opera era pervasa da ideali di tolleranza e solidarietà: “L’uomo più pietoso è anche il migliore, il più disposto a tutte le virtù sociali, a tutti i generi di magnanimità” (G.E. Lessing).
Moses Mendelssohn e Gotthold Ephraim Lessing furono due giganti del periodo dell’illuminismo europeo. Nel 2015 Eric Kohlmann, recensendo un libro di Vera Forester (“Lessing e Moses Mendelssohn, storia di un’amicizia”, 2010) scriveva: “Al di là delle loro affascinanti corrispondenze e incontri, la loro stessa connessione e la stessa vita simboleggiano i valori del periodo dell’Illuminismo come quasi nessun altro. Questa biografia dà un senso alla speranza di cui furono piene le loro vite: speranza per un mondo migliore contro ogni previsione; speranza per gli stessi diritti per tutti i cittadini e uno stato moderno, laico e per una educazione universale. In un certo senso, molte di queste speranze sono ancora insoddisfatte, il che dimostra quanto i loro pensieri siano sembrati radicali alla maggior parte delle persone oltre 250 anni fa”.

E che in quella casa berlinese di Mendelssohn ci si intrattenesse, oltre che sulla filosofia, anche con gli scacchi, ce lo mostra questo dipinto molto noto, sia pur molto posteriore, il cui autore Moritz Daniel Oppenheim (1800-1882) immagina Moses giocare con il teologo Johann Kaspar Lavater (1741-1801), mentre la partita e la discussione è osservata da G.E. Lessing, in piedi fra gli altri due. Moses è a sinistra, con un cappotto rosso ed una calottina nera sul capo, il pastore Lavater è a destra con un libro aperto sulla mano sinistra e la destra allungata fino a toccare l’avambraccio di Moses, quasi a rappresentare i numerosi tentativi invano più volte da lui fatti, nell’intervallo fra una partita a scacchi e l’altra, per convincere Mendelssohn ad abbracciare il cristianesimo.
Così Johann Kaspar Lavater avrebbe poi ricordato Mendelssohn: “un’anima compiaciuta e brillante, con gli occhi penetranti, il corpo di un Esopo, un uomo di acuta intuizione, gusto squisito, ampia franchezza e sincero entusiasmo”.
Ma chi è che vinceva a scacchi fra Mendelssohn e Lavater? Un articolo apparso qualche anno fa su Chess.com che qui parzialmente e liberamente sintetizziamo, risolve la questione:
“Racconta Cyril Reade nel suo testo (2006) “Da Mendelssohn a Mendelssohn”: “Sulla scacchiera si notano sei pezzi bianchi che si oppongono a due pezzi rossi e al Re. La Torre bianca sull’ultima fila e la Regina sulla penultima hanno dato lo scacco matto al Re in ottava. Quindi il giocatore bianco ha vinto. Il gioco allegorico di Oppenheim vuol distinguere il bene (Mendelssohn e Lessing) dal male (Lavater), attribuendo a Mendelssohn la vittoria finale nell’affare Lavater””.
Nel 1758 Moses Mendelssohn fondò a Berlino, in collaborazione con Lessing, il “Briefe, die neuste Literatur betreffend“, giornale di letteratura e filosofia. I suoi occhiali sono oggi in mostra a Berlino nello “Jewish Museum”.
E passiamo ora dall’illuminismo al romanticismo, sempre tedesco, venendo ad accennare al nipote di Moses, l’ancor più famoso compositore e direttore d’orchestra Jakob Ludwig Felix Mendelssohn Bartholdy (Amburgo 1809-Lipsia 1847). Felix era figlio di Abramo, il quale, al contrario di Moses, si era convertito al protestantesimo.
Felix, analogamente a tanti scacchisti dei tempi moderni, fu un genio precoce, tanto che a 17 anni compose uno dei suoi capolavori, il “Sogno d’una notte di mezza estate”.
“La scacchiera è come un violino”, disse un giorno Felix Mendelssohn. Ed infatti i pezzi sulla scacchiera non si muovono allo stesso modo, e come le corde di un violino essi dipendono unicamente dall’abilità della mano che li padroneggia.
Felix Mendelssohn frequentò i migliori Caffè europei della sua epoca, e sappiamo come si giocasse a scacchi soprattutto a Parigi, ma anche a Roma. Noi lo abbiamo citato qui.
Accadde che a Parigi Felix si appassionasse al gioco degli scacchi, tanto che, si diceva, vi trascorresse parte delle sue giornate. E quando R.James ed M.Fox in “The Complete Chess Addict” (Londra 1987) scherzosamente prepararono una “squadra” degli otto musicisti che si avvicinarono con più successo agli scacchi, misero Felix Mendelssohn tra le riserve, definendolo “un osso duro”. Per curiosità citiamo i componenti titolari di quella immaginaria “squadra”: André-Danican Philidor (1652-1730) al primo posto per distacco, e poi Moriz Rosenthal, Sergej Prokofiev, Mischa Elman, David Oistrakh, Walter Parratt, Yehudi Menuhin e Fritz Kreisler.
Fra costoro probabilmente i due autori hanno dimenticato di inserire proprio colui che, forse unico insieme a Philidor, è stato nello stesso tempo in pari grado buon musicista e buon scacchista, e che quindi al meglio rappresenta il connubio felice fra due “arti” diverse, ovvero l’organista olandese Rudolph Loman (1861-1932), che fu per ben sei volte campione olandese di scacchi, nel 1922 perse di misura (+1, -2, =2) un match a Londra con Edgar Colle e che ha guagnato fama imperitura grazie a una mossa brillantissima contro Lasker.

Ma torniamo alla famiglia Mendelssohn e al nostro Felix. Nel numero de “L’Italia Scacchistica” 6/1936 è riportato uno stralcio di una lettera del “Dr. Ferdinand Hillson”, che parlava appunto di Felix come scacchista. Chi oggi volesse fare ricerche in rete col cognome Hillson non troverebbe nulla, dal momento che l’articolista italiano (o il tipografo?) si era sbagliato, trascrivendo malamente l’esatto nome, che era quello di Ferdinand Hiller (1811-1885), un compositore e critico musicale tedesco che di Felix fu conoscente e buon amico. Più preciso al riguardo era stato un articolo nella cronaca di “Chess Player” (novembre 1881, pagina 565) citato dallo storico di scacchi Edward Winter.
Cosa scriveva Hiller? Questo (da I.S., cit.): “Quando Felix Mendelssohn era a Parigi si dedicava spesso al godimento di una partita a scacchi e vi dedicava molta parte del suo tempo. Il suo abituale avversario era il poeta Michael Bee, ma anche il Dr. Herman Franck s’incontrava spesso seco con lui sullo scacchiere. Mendelssohn era discretamente accorto e spesso batteva quest’ultimo, il quale però non voleva riconoscersene inferiore. Mendelssohn però, eccitato da questa sistematica cordiale misconoscenza, tirò fuori un giorno una frase che non poté fare a meno di far sorridere gli astanti e di essere ricordata. Egli disse, dopo una delle sue consuete diatribe: “Ecco: noi giuochiamo bene tutti e due, sì, assolutamente bene; però …. io credo di giuocare un po’ meglio di voi!””
Molto argutamente, Felix Mendelssohn non disse altro che una cosa molto ovvia e che dovremmo sempre tenere a mente: tutti noi giochiamo bene a scacchi, assolutamente bene, certo, ma c’è sempre qualcuno, e forse sono tantissimi, a saper giocare (così come a suonare quel famoso “violino”) un poco meglio di noi!

Nella famiglia Mendelssohn c’era un’altra figura piuttosto nota, ovvero la sorella di Felix, Fanny Mendelssohn Hensel (Amburgo 1805 – Berlino 1847), anche lei “bambina prodigio”, compositrice, pianista e concertista. Fanny, andata sposa al pittore Wilhelm Hensel, è stata a sua volta nonna del filosofo Paul Hensel e del matematico Kurt Hensel. Non mi meraviglierei di leggere da qualche parte che anche loro abbiano amato il gioco degli scacchi.