Giangiuseppe Pili – cinema, filosofia e scacchi tra Kubrick e Intelligence
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(Riccardo M.)
Il Dr Giangiuseppe Pili dovreste conoscerlo già, anche perché è uno dei nostri più affezionati e giovani collaboratori e lettori, seguendoci fin dal 2017. E “Scuola Filosofica” è il suo intrigante ed elegante Blog, dal quale abbiamo tratto l’immagine di copertina. Ha lavorato a Dublino come assistant professor in intelligence analysis e attualmente sta finalizzando una attività di promoting culturale basata sul blog con lo scopo di portare gli autori da dove sono stati a dove non sono mai stati.
[Immagine di apertura Copyright ©: Kristoffer Ovsjö 2013]
Di lui potete trovare degli interventi sulle pagine di UnoScacchista, ad esempio “Gli scacchi come scacchiere geopolitico mondiale” e “Un giocatore di scacchi e un analista di intelligence“.
Sull’ultimo numero (2019) del semestrale statunitense American Intelligence Journal appare, fra altre affermate firme, anche il suo nome grazie a questo articolo:
“Is a Chess Player an Intelligence Analyst? A Philosophical Analytical Comparison between Two Disciplines to Understand the Nature”
L’American Intelligence Analysis è un giornale appartenente alla National Military Intelligence Association. Cosa c’entra il DR Pili con quest’ultima? Beh, lui, oltre ad essere stato assistant professor in “Intelligence studies” per l’IMSISS (International Master in Security, Intelligence and Strategic Studies) alla Dublin City University, ha anche pubblicato nel 2014 un libro dal titolo “L’eterna battaglia della mente, scacchi e filosofia della guerra” e nel 2015 “Filosofia pura della guerra”. E cosa c’entrano gli scacchi con la guerra? Beh, dovremmo ben saperlo, e lo stesso DR Pili ce lo ricorda nel corpo di quell’articolo: “ … After all, chess as a game is highly considered as a fruitful, even if limited, comparison to war and battles …”.
Egli sottolinea come sia i giocatori di scacchi sia gli analisti dell’Intelligence condividano comuni problemi e comuni obiettivi e come di conseguenza i secondi possano trarre spunti e benefici dalle analisi che conducono durante le partite i giocatori di scacchi.
Tra le diverse affermazioni contenute nel post di Pili mi ha colpito in particolare quella che mette in luce come “il giocatore di scacchi può scegliere fra diverse successioni di mosse al fine di raggiungere la stessa posizione. Queste diverse scelte non sono affatto equivalenti perché, pur pervenendo allo stesso risultato, hanno lo scopo di ingannare la capacità dell’avversario di afferrare le nostre intenzioni e di nascondere quindi il più possibile il nostro piano reale”. Insomma, in pratica noi giochiamo non soltanto per giocar bene, ma pure perché il nostro avversario (negli scacchi come nella guerra o nella vita) giochi peggio di noi e metta il piede in fallo!
Ma oggi è soprattutto un nuovo lavoro del Dr Pili che vogliamo presentare. Si tratta del volume dal titolo: “Anche Kant amava Arancia meccanica – la filosofia del cinema di Stanley Kubrick”. (Pagine 128, euro 15,00, editrice “Petite Plaisance”).
Ne riporto un paio di brevi passi:
“Nella mia personale interpretazione, che non esclude certo alternative, Kubrick è il filosofo che amava la ragione a tal punto da criticarla e, per ciò, amarne i limiti. Nessuno che ami veramente qualcuno non ne vede le sue infinite limitazioni, che sono esattamente la misura e la cifra della sua capacità di amare. E quindi, Kubrick fu il Kant del cinema, quell’illuminista che guardò il mondo senza l’interesse di volerne scappare, ma piuttosto con la forza e la potenza di quella ragione che, pur avendo i suoi limiti, è anche capace di farci ricordare di essere quella razza capace di vincere la polvere”. E poi:
“…. Il cinema di Kubrick è una attenta analisi di tutto lo spettro della natura umana, sia essa concepita da sola (antropologia), sia essa pensata nelle infinite relazioni e interazioni (sociologia), ora fortemente conflittuali (filosofia della guerra), ora mediate da regole che consentono la cooperazione non necessariamente violenta (filosofia della pace)”.
Pili non nasconde di amare profondamente il regista americano, che lui definisce “il Kant cinematografico”, al punto che nelle ultime pagine confessa che “Kubrick è stato presente in tutta la mia vita. È stato un maestro, un’ispirazione. Un ideale, a suo modo. Ma soprattutto è stato un continuo stimolo alla mia intelligenza e sicuramente lo sarà ancora sino a quando vivrò”.
Silvano Tagliagambe, nella prefazione al volume, ci fa notare come Giangiuseppe Pili abbia cercato di individuare il motivo conduttore che, come “un filo di Arianna”, connette tutte le opere di Kubrick: quel filo è l’incredibile lancio dell’osso bianco in una delle scene più note del film “2001, Odissea nello spazio”.
Io, purtroppo, mi riconosco un po’ in quell’amica di Giangiuseppe che, completamente digiuna di cinema, l’autore cercò un giorno di convincere portandola a vedere i film di Kubrick e ottenendo invece una reazione ancor più negativa e addirittura di rigetto se non di odio. Ma debbo ammettere che questo lavoro di Pili è indubbiamente molto coinvolgente e stimolante, direi pure ricco e scoppiettante, navigando e districandosi con abilità fra grandi autori, filosofi (Platone, Jung, Hobbes, Rousseau e, certamente, Kant e Spinoza) e registi (Fellini, Truffaut, Hitchcock), con piglio sempre deciso e autorevole ma insieme con ammirevole modestia (“la mia interpretazione … non esclude certo alternative”!). In ogni modo, alternative o meno, è impossibile contraddire Pili quando scrive che “Il cinema di Kubrick è un’attenta analisi della natura umana”.
Abbiamo incontrato Pili una sera a cena, in una trattoria di Roma, prima dei tragici eventi sanitari che hanno colpito il Paese, ed è stato il momento per iniziare a preparare questo post/recensione e pensare di rivolgergli alcune domande.
1D.: Giangiuseppe, toglici una curiosità. Tu scrivi che nei film di Kubrick gli scacchi compaiono diverse volte, “tra cui una celebre partita di HAL 9000, profetica perché nessun computer all’epoca era capace di vincere anche il più modesto dei giocatori”. La partita mostra una posizione ottenuta una volta da un Grande Maestro, Geller. Perché proprio Geller? Una scelta casuale o no?
R.:
Scrivo come se tu, Riccardo, mi fossi di fronte insieme ai cari Uberto e Roberto a cena a Roma magari con i nostri lettori! Dunque, una bella domanda. Non saprei dire di conoscere la motivazione della scelta della partita. C’è qualcuno che ha provato a delinearla. A quanto mi risulta, quella posizione fu presente in due partite di cui una appunto del grande GM sovietico. Conoscendo la maniacalità di Kubrick – nonché il suo ben noto amore per gli scacchi che fu la sua prima fonte di guadagno – perché negli USA tutto quel che c’è di buono diventa facilmente un valore economico, ci sarà una motivazione. Ma è sempre importante ammettere la propria ignoranza e quindi … sorry!
2D.: Sul finire delle tue pagine riporti una frase di San Tommaso, questa: “L’uomo di sapere è come il grano, più diventa maturo, più china la testa”. Ti chiedo: probabilmente è vero, è vero per la maggior parte delle persone di cultura; ma non pensi che più “l’uomo di sapere” chinerà la testa e più, nei campi più disparati, possa ergersi pericolosamente dominante l’uomo che non sa? O questa sarà l’inevitabile fine per il mondo? O forse il mondo potrà benissimo, secondo te, fare a mano della cultura, da riservare ad èlites più o meno inutili, in quanto sarà guidato dall’intelligenza artificiale?”
R.:
Come ho argomentato in Scuola Filosofica nelle poche lezioni che questa situazione inusuale mi ha condotto a considerare, una di queste è che l’intelligenza artificiale sono, al momento, due parole vuote sin tanto che si esce fuori dai calcoli e computer. Che infatti non sono capaci di curarci e di prendersi cura di noi. Non è quello il loro scopo, più che una scopa si prenda cura del pavimento. Quindi, semmai, la situazione ci ricorda che siamo umani, fragili, impotenti, irrazionali e che sappiamo del futuro poco ma siamo pronti a sacrificare tutto pur di non pensarci. Kubrick credeva che la scienza avrebbe posto termine alla morte e credeva nella criogenesi. Mi pare che i fatti – ad iniziare dalla sua stessa morte – dimostrino piuttosto il contrario. Purtroppo, come Socrate, non è ancora tornato dall’al di là per raccontarci quanto bello fosse il mondo delle idee. Quanto la frase di San Tommaso voleva dire che l’uomo sapiente (secondo lui principalmente il filosofo) è colui che riconosce i limiti della propria conoscenza a tal punto che non è mai sicuro di poter avere una parola definitiva su niente. Ed è quindi umile in questo. Non perché non sia possibile averne mai ma perché non si può avere la prova che quella sia infatti la parola definitiva davvero. Mutatis mutandis, era quello che sosteneva un classico del liberalismo: la democrazia liberale si fonda sul fatto che nessuno può essere sicuro di avere l’ultima parola. Perché nel momento in cui qualcuno pretende di averla, pretenderà anche che tutte le altre parole sono idiozie e farà quel che può per imporre unilateralmente il suo punto di vista. Che raramente questo combacia con la verità (qualsiasi cosa essa sia) e anche quando combaciasse ancora non basterebbe a legittimare una sua imposizione annullando la libertà e la dignità dei suoi simili. L’uomo di sapere è per necessità umile come già Socrate aveva drammaticamente mostrato.
3D.: Leggo che ti ritieni molto lontano da Platone e dalla sua dottrina della conoscenza. Immagino quindi che per te la conoscenza non è innata in ciascuno di noi, ovvero non è reminiscenza perché per te l’anima non è immortale. Però nel contempo scrivi che questo libro lo sentivi “dentro di te”. Come la spieghi questa apparente contraddizione?
R.:
In quel contesto sentire che qualcosa mi appartiene significa solo che senza di me essa probabilmente non sarebbe mai esistita. In quel punto mi riferisco che non credo che la fonte della conoscenza sia infatti semplice calcolo interiore indipendente dall’esperienza (come infatti sosteneva Platone). Sono, appunto, due cose diverse. L’ispirazione – che per natura non ha nulla a che fare con la conoscenza anche quando ne sia appunto la causa – era dettata da una necessità personale ed interiore che una felice opportunità ha dischiuso. L’ispirazione è l’essenza di un punto di vista personale sul mondo che, in quanto essere umano, non possono non avere!
4D.: E vorrei anche capire: per te l’essere umano è debole e fallace come quasi tutti i personaggi descritti da Kubrick? Quindi all’uomo è impossibile il raggiungimento della completa conoscenza e del predominio della ragione sull’istinto e di conseguenza è vana la stessa ricerca della conoscenza? Tu non pensi che a volte la conoscenza la si possa percepire e raggiungere grazie al contatto con l’esperienza, ovvero grazie a qualcosa che potremmo chiamare, … riprendendo Platone in una specie di variante moderna, una “reminiscenza di specie”? E magari che, dopo averla raggiunta, solo non ci sia data la possibilità di rappresentarla appieno e dimostrarla?
R.:
Caro Riccardo, sono molte domande! Risponderò alla prima perché coglie un punto indiretto nel mio saggio su Kubrick che ho volutamente posto sullo sfondo. Ma dato il fatto che hai posto bene il problema, mi sento in dovere di rispondere. Si, diciamo “casualmente” che la vedo esattamente come Kubrick (come argomento nel testo) e Kant in quel preciso aspetto – e molti altri, effettivamente. Ovvero, credo che gli esseri umani possano essere – a giuste condizioni – razionali. Però non è quel che capita per lo più o per tutti. Si potrebbe fare un semplice calcolo di probabilità. Se forse nasciamo tutti con la ragione, ciò non significa che la si sappia usare. La ragione è qualcosa che funziona perché la alleniamo costantemente, le diamo le informazioni che necessita e che essa stessa deve filtrare (un’operazione – direi – affatto secondaria).
Ed è per questo che l’educazione – intesa come processo di progressivo addestramento della ragione per massimizzare la capacità di discriminare, calcolare, valutare e risolvere problemi – rimane così importante. Alternativamente, potremmo farne a meno e niente di più il mondo contemporaneo mostra quando l’educazione sia ancora il centro della vita dell’uomo e del cittadino perché appunto lo vediamo dalla sua nefasta assenza. Ma questo ha un costo. Come ogni scacchista sa molto bene, ragionare, calcolare, valutare e decidere è molto faticoso, allontana spesso dalle cose urgenti (teoricamente) della vita e porta le persone a comportamenti contrari a quelli dell’uso comune perché la ragione è naturalmente non intuitiva (alternativamente, che farsene?).
E dunque, si, l’uomo è spesso e per lo più debole, fallace e incerto, limitato e finito (dal termine dell’esistenza al termine delle sue risorse fisiche e mentali). E questo molti lo interpreterebbero come una sorta di pessimismo perché si limitano ad intristirsi al considerare la finitezza umana, cosa che a me non interessa perché non reputo interessanti le emozioni superficiali scaturite senza pensare. Ma come Kant, Kubrick e Spinoza, anche io credo profondamente nella potenza della ragione umana, capace di andare oltre l’ovvio per scoprire quel che davvero è importante. Non sarà infinita e non potrà risolvere ogni problema – ad esempio se l’universo sia infinito o no, senziente o no etc. – però può certamente condurci alla migliore versione di noi stessi, che dovrebbe essere nostro dovere perseguire.
5D.: Nel 2012, giovanissimo, inventasti un gioco strategico di società, “Battle for the last district”. Per te è essenziale la strategia, negli scacchi e non solo. Pertanto, nei momenti in cui le istituzioni nazionali e internazionali vengono chiamate a rispondere a prove ardue, enormi, insolite e imprevedibili, quale ad esempio è stato lo scoppio del “Coronavirus”, che tipo di strategia suggeriresti per affrontarle con più probabilità di successo? E a cosa tu, essendone costretto, daresti la priorità, al salvataggio delle vite umane o al salvataggio delle economie e del lavoro?
R.: Non voglio dare l’impressione sbagliata, ma non vorrei rispondere a questa domanda. Credo nel valore delle competenze e io non ne ho a sufficienza per giudicare con piena facoltà, per quanto posso dire che anche in tempi di crisi continuo a credere nel valore dei fondamenti della democrazia liberale il cui primo è la libertà di ogni individuo di disporre del proprio pensiero. Posso dire cosa faccio io nella pratica senza alcuna pretesa di insegnare niente a nessuno. Primo, mi isolo completamente. I social li uso professionalmente – rispetto a quello che io voglio ottenere – e quindi mi limito a immettere e non ricevere informazione. Mi seleziono molto accuratamente l’informazione in entrata – cosa che è da fare indipendentemente dalle crisi. Consulto solo materiali di persone o redazioni la cui qualità è garantita da un processo di selezione che reputo simile al mio e che tutti possono conoscere in SF. Secondo, lavoro come prima (o possibilmente più di prima). Come dissi a suo tempo, posso vivere d’ovunque perché ovunque posso leggere, annotare, analizzare, valutare e scrivere i risultati. Credendo nella mia ragione, chiedo poco altro al pianeta Terra. Terzo, mi limito a risolvere problemi concreti quando essi si pongono ed evito di “immaginare” ciò che può succedere. Lavoro serenamente e cercando di migliorare la mia posizione professionale e intellettuale per ritornare alla mia principale attività accademica e sviluppare quella imprenditoriale. D’altra parte, se dovessi pensare agli infiniti scenari catastrofici, smetterei di lavorare, vinto dai limiti e dalle passioni umane, come avrebbe detto Spinoza. Invece, con serenità, come a scacchi in una partita difficilissima, mi focalizzo sul buono della posizione, mi lascio ispirare da un piano logico e semplice (che non vuol dire facile) che analizzo nei dettagli, e lo perseguo con totale abnegazione e determinazione senza tentennare o oscillare. Triste o felice non cambia niente. Alla fine, la realtà è solo una mentre la nostra capacità di immaginare è infinita e solo i problemi reali vanno risolti di volta in volta. Quattro, mi concentro sui risultati che riesco ad ottenere, pianificando e portando avanti tutte le svariate attività che sono sotto il mio potere. Per cose di portata universale, posso rimandare alle cinque lezioni che ho tratto e che non sono necessariamente solo riguardanti questa situazione (https://www.scuolafilosofica.
6D.: Un vulcano di idee e attività quale sei tu, che hai prodotto, a parte i libri, già oltre 400 articoli di filosofia, storia e attualità, avrà già certamente in preparazione qualche altra opera. Puoi darci qualche anticipazione?
R.:
I post di filosofia a mia firma sono oltre 700 su SF senza contare altri blog (free of charge, check them out!). In italiano stanno per uscire due libri, uno con il co-author Mario Caligiuri, professore di pedagogia e direttore del master di intelligence all’Università della Calabria “Intelligence Studies – Una comparazione tra l’intelligence italiana e il mondo angloamericano”. Sta anche per uscire “Riflessioni filosofiche sul cinema di guerra” per la Mursia, nota casa editrice ai nostri amici scacchisti per aver pubblicato storici lavori di scacchi. Un istant book sarà l’ebook su Sun Tzu edito presto per Le Due Torri, sempre il mio principale editore in questo senso. Invece, a livello internazionale, ho già inviato 7 saggi a riviste internazionali di intelligence e di filosofia. Infine, con il mio stimato collega del King’s College – London sto pianificando la nostra prossima pubblicazione “Philosophy of Intelligence”.
7D.: Nella tua biografia c’è scritto che ti sei “più volte cimentato in esperimenti cinematografici“. Cosa volevi dire esattamente? E hai mai pensato di diventare un regista o di lavorare nel cinema?
R.:
Mi fa molto piacere che hai sollevato questa domanda! C’è stato un momento cruciale (nel 2012) in cui ho seriamente pensato di darmi al cinema come sceneggiatore e regista. Ma dopo che ho saputo le difficoltà di inserirsi in quel mercato del lavoro, unita alla mia perdurante determinazione di fare un dottorato (piano che risaliva sin da quando avevo circa 14 anni), ho capito che avrei fatto altro. Il motivo è che ho girato un cortometraggio (18’), un mediometraggio (45’) e due lungo metraggi (60’). Il primo inizia proprio con una partita a scacchi e la storia è stata riportata su SoloScacchi tempo fa. Ho avuto modo di scrivere la sceneggiatura, riprendere, dirigere, montare e organizzare tutti e quattro i film. Purtroppo anche recitare – che è quel che mi piaceva di meno.
Sia chiaro che sono state delle esperienze straordinarie che continuo a ritenere tra le più umanamente appaganti che abbia mai fatto. Ma tutto questo sapendo che non ci sarebbe stata distribuzione e quindi era un gioco, sostanzialmente. Non giochi facili ma pur sempre privi di quell’attrito imposto dal fare risultati, rientrare nei costi etc. che fanno di un lavoro un lavoro. Oggi continuo ad essere un YouTuber attivo (nella misura del possibile) e ho traslato queste esperienze nelle mie presentazioni tramite slide (diapositive) che sono sempre state molto apprezzate da tutti i miei studenti e colleghi.
8D.: Tu quante volte vai al cinema e quale è la tua esperienza/idea del cinema come arte?
R.:
Purtroppo, amo il cinema nel senso appunto di “arte” ma non di cinema in quanto luogo, principalmente per ragioni di tempo. Non ho, però, mai abbandonato il mio perdurante interesse verso il cinema, per quanto abbia aspettative molto alte. Ad esempio, non concepisco il crollo verticale del cinema italiano rispetto alla produzione di maestri principali come Fellini, Monicelli, Ferreri e De Sica o anche di “minori” solo perché altri più assoluti come Salce (che io apprezzo abbastanza), Petri e Leone – naturalmente. Ad esempio, “8 ½” e “La grande abbuffata” sono oggi impensabili proprio perché così clamorosamente attuali. Neppure i primi due Fantozzi girano più – e, per inciso, considero i primi due libri di Villaggio capolavori che dovrebbero essere assimilati alla più alta tradizione della letteratura italiana. Per me il cinema è la suprema arte dei nostri tempi, come disse Orson Welles, e continua ad esserlo. Credo che più di questo non possa aggiungere!
9D.: In questo momento quale è la tua principale occupazione, l’insegnamento o la scrittura? E agli scacchi riesci ancora a dedicare uno spazio, per quanto minoritario?
R.: No, purtroppo, non trovo da oltre un anno il tempo per giocare. L’ultima partita fu con un mio studente a Dublino – ho sempre vinto contro i miei studenti (per fortuna! Ci sarebbero molti grandi aneddoti su questo ma non c’è tempo qui). Dopo che il mio contratto con DCU è terminato, ho avuto una proposta di lavoro negli Emirati Arabi Uniti che, per il momento, hanno dovuto bloccare. Quindi sto lavorando nell’azienda di famiglia – sperando che non chiuda, perché questa è la realtà ma, d’altra parte, la realtà è sempre dura e bisogna essere pronti a lottare rivoltando anche i sassi se necessario, vero? – e sto aprendo una attività di cultural promoting con il mio stimato amico e socio, dott. Giacomo Carrus. La mission è quella di portare autori, ricercatori e scrittori di ogni livello e qualità da dove sono a dove non sono mai stati, aiutandoli a migliorare professionalmente e ottenere performance migliori nel loro rispettivo mercato. Inoltre, sono il Co-Fondatore, Coordinatore e Direttore del Rigistro & Diario di Azione Filosofica – associazione culturale che promuove i valori della ragione e della fratellanza. Con l’associazione organizzo conferenze, seminari e partnership culturali – tutte in stand by ma torneremo agguerriti! Naturalmente, il mio obiettivo principale rimane quello uno specifico – ma nel frattempo si fa qualsiasi cosa con lo stesso entusiasmo, determinazione e razionalità.
10D.: Un’ultima curiosità: non è facile trovare in rete la tua età. E’ soltanto un caso o c’è un motivo?
R.: In generale, spero che non sia facile trovare informazioni personali su di me in rete. Ma questa non è un mistero. Vivo su un geoide che ruota attorno ad una nana gialla che ruota secondo una traiettoria a spirale (credo) insieme a vari sistemi stellari attorno al super massive black hole al centro della galassia di cui siamo solo un remoto punto nella prossimità della periferia. Non so se questo è un buon sistema per tenere il tempo che passa, comunque, se i sistemi di rintracciamento del moto non sbagliano, penso di poter dire che probabilmente è accaduto per 33 volte.