Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

Gli scacchi nei disegni di A. Paul Weber

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A. Paul Weber, I fantasmi, 1976, litografia

(Claudio Mori)
Due guerre mondiali. Perse. In mezzo l’illusione di una Repubblica, quella di Weimar (1918 – 1933). A chi, per nascita, si è trovato dentro a questa catastrofe la vita deve essere apparsa assurda. La morte che ti parla ogni giorno. Il futuro avvolto in una nebbia talmente impenetrabile che puoi solo sognarlo. Anche se il sogno è un incubo che urla l’inquietudine di un’intera generazione, la sua disperazione culturale, il suo sradicamento.

Dentro il fermento di Weimar nasce un’opposizione, la Rivoluzione conservatrice, movimento di intellettuali e artisti che ce l’hanno con il mondo intero, con il razionalismo, con la scienza, con il capitalismo. Apprezzano l’esoterismo. Vagheggiano un neopaganesimo.

Andreas Paul Weber (1893 – 1980), Autoritratto, 1976, litografia

In questo magma c’è anche l’esistenza di Andreas Paul Weber, litografo, pittore, stampatore. Nel 1926 ha 33 anni quando collabora alla rivista a sostegno del nazionalbolscevismo, Widerstand, pubblicata a Berlino e diretta da Ernst Kiekisch. Tra gli esponenti del gruppo ci sono anche i fratelli Jünger, Ernst e Friedrich Georg, scrittori, con i quali Weber condivide pulsioni romantiche e naturalistiche giovanili.

Ernst Jünger aveva in animo di scrivere un saggio sulle opere di Weber e di altri due artisti. Weber lo ringrazia scrivendogli: “Sono lieto che tu voglia ancora scrivere questo saggio, e mi è venuto in mente un vecchio pensiero che avevo sepolto. Era da tempo che desideravo dipingere un doppio ritratto: I fratelli Jünger. Cosa ne pensi? Potresti organizzare la cosa?… Se avrò successo nell’opera – allora spetta a te – in cambio del saggio”.

A. Paul Weber, Friedrich e Ernst Jünger, 1935, olio su tela

Il dipinto dei due fratelli che giocano a scacchi mentre sono al Brümmerhof, il luogo d’incontro dei membri del Circolo della Resistenza è stato realizzato nel 1935. “Friedrich e io giocavamo di tanto in tanto durante queste visite [al Brümmerhof] per cui formavamo anche un modello per A. Paul Weber”, scriverà Ernst.

Il doppio ritratto rimarrà nelle mani di Weber. E il saggio non sarà mai scritto. Ci sarà un altro doppio ritratto davanti alla scacchiera nell’opera di Weber, quello dei fratelli Thomas ed Einrich Mann, eseguito nel 1977/78.

Campione del mondo era il russo-francese Alexander Alekhine che proprio in fine d’anno perse il titolo con l’olandese Euwe. Hitler era salito al potere da due anni. Erhardt Post, presidente della federazione scacchistica tedesca, la Grossdeutscher Schachbund (GSB), si era occupato della produzione di massa di scacchi in legno a basso costo, a Erzgebirge, da diffondere in tutti i circoli tedeschi. I Bundesform, cioè gli scacchi federali, dovevano sostituire gli Staunton degli odiati inglesi. E l’Italia fascista, per non essere da meno, nel 1935 aveva presentato sul fascicolo di marzo de L’Italia Scacchistica un set autarchico a firma del fiorentino Guido Angelo Salvetti.

Weber mastica lentamente. Non c’è fretta. Ha le labbra sporche d’inchiostro nero perché è passato alla parte scritta dei fogli del giornale. I bordi bianchi sono già stati macinati dalla sua bocca. Mastica come il topo che di tanto in tanto viene a fargli visita, e intanto pensa ai boschi della Turingia, la terra dove è nato nel 1893, alle escursioni con gli amici, alle notti all’addiaccio, alla moglie Toni e ai cinque figli.

Le prigioni di Norimberga, nelle quali Weber è rinchiuso da luglio, gli permettono questo lusso.

Grazie a una spia infiltrata, la Gestapo, polizia segreta nazista, ne ha arrestati centododici, come lui aderenti al Circolo della Resistenza, compreso l’ideologo, Ernst Kiekisch. L’amico Friedrich se l’è cavata con un interrogatorio. È il 1937 e il cielo sa di pioggia anche quando c’è il sole. Hitler si sta preparando all’annessione dell’Austria dopo avere occupato militarmente la Renania.

Ecco, adesso i pezzi ci sono tutti, bianchi e neri, come le strade ricoperte di neve e le divise delle SS disegnate da Hugo Boss, come i giornali che ha masticato. Come gli scacchi fatti con la mollica del pane da Mr. B imprigionato in una stanza dell’Hotel Metropole di Vienna nel romanzo La novella degli scacchi di Stephan Zweig, scritto tra il 1938 e il 1941.

Gli stessi scacchi, quelle “fonti segrete” da cui Mr. B. e Weber traggono la “forza di una resistenza così incrollabile” agli interrogatori della Gestapo.

Ora Weber può iniziare a giocare a scacchi con sé stesso e non sentire il freddo della cella. “Questo gioco mi ha affascinato fin dalla giovinezza” confesserà alla artista Käthe Kollwitz. Siamo agli inizi di dicembre. Come ogni mossa del giocatore apre a innumerevoli possibilità così all’artista libera nuove idee. “Dai, facciamo un altro gioco” scrive Weber su un foglio. Allora prende penna e inchiostro e si mette al lavoro. “Il giorno dopo avevo già disegnato sette o otto fogli” racconterà sempre alla Kollwitz.

E in sei giorni, dal 4 al 10, realizza la serie di due avversari davanti a una scacchiera, I giocatori di scacchi, dove la scacchiera diventa lo specchio dei conflitti sociali, la metafora degli opposti dialettici del mondo.

L’oltre lo specchio di Alice in un paese tutt’altro che meraviglioso.

A. Paul Weber, Napoleone e l’Inverno russo, 1937, disegno a penna colorato

Un soldato della Prima Guerra Mondiale gioca contro una lattina di carne in scatola britannica, un magro gesuita contro un grasso filisteo, Napoleone perde contro il Generale Inverno russo, un cattolico gioca contro un prete protestante…

Un modo per combattere da una cella la sua personale guerra contro il vento gelido di un Eolo nazista.

Nei disegni dei giocatori di scacchi inutile cercarvi posizioni di gioco. Perché la sfida è altrove, nella componente psicologica dei suoi partecipanti, nel confronto umano, nel mondo delle antitesi.

Risuona la frase di Hugo Fischer che nella prima monografia del ‘36 già affermava: “…l’artista alza uno specchio al mondo perché si riconosca, si spaventi”. Così l’idea si fa ipertrofica. Weber vorrebbe creare addirittura una partita a scacchi della storia del mondo per continuare a denunciare la debolezza umana, gli abusi del potere.

Tra quei fogli, uno è diverso da tutti gli altri.

Un uomo, solo, in abiti antichi, giace su un letto di legno all’interno di una prigione e gioca a scacchi contro sé stesso.

A. Paul Weber, Solo con se stesso, 1937, disegno a penna colorato

Sorprendente questa riedizione della metafora morale del gioco.

Nell’epoca moderna e contemporanea sembrava essere stata divorata dalle regole e dalla tecnica.

Dopo schiere di affannati dai pulpiti, dalle prose, dai versi a trarre dagli scacchi insegnamenti etici, edificatori, erotici, politici. Francescani e domenicani e chierici e cappellani benedicenti ed esortanti ci hanno intinto la penna come mosche nella marmellata. E dal momento che la morale è spesso doppia, mentre da una parte elogiavano come divina una società di servi e padroni e terrorizzavano con il memento mori, che ovvietà!, dall’altra compravano ville e terreni giocando a scacchi a soldi come il vicentino padre Lorenzo Busnardo (1532 – 1598).

Per parecchi secoli le truppe moralizzatrici hanno spopolato in Europa sotto le insegne di Jacopo da Cessole e di gentiluomini imbevuti di romanzi cavallereschi, fermate solo un istante dalla micidiale bordata del poeta inglese John Donne (1572 – 1631): “l’ottusa morale di una partita a scacchi”, quella di un Pedone (vale a dire la pedina di un gioco politico) sempre sacrificabile in caso di necessità. Poi sono incappate nel lavacro laico dei tornei e dei campionati. Ma il pretesto metaforico del gioco è troppo potente ed è risorto nel dissacrante sguardo sul bordello del mondo dei disegni di Paul Weber.

Il 15 dicembre 1937, dopo sei mesi di prigionia, Weber viene rilasciato dietro una cauzione di 18 mila Reichsmark pagata dai vecchi commilitoni della Prima Guerra Mondiale, Felix Krause e Fritz Goetze. Il procedimento a suo carico sarà archiviato nel novembre 1939. Da due mesi l’altoparlante delle radio gracchiava Lili Marleene e da un mese la Gran Bretagna era entrata nella Seconda Guerra Mondiale.

Curioso il destino dei Giocatori di scacchi.

Perché Weber cercherà a più riprese di pubblicare un libro con le immagini create in prigionia e successivamente. Prima nel 1941 con l’editrice Goverts-Verlag di Amburgo. Poi nel 1969 con l’editrice Econ. Niente da fare.

Nel frattempo, ai vecchi temi andavano aggiungendosene dei nuovi, nel lavoro incessante, quasi febbrile, di gettare la sua graffiante ironia sul corso della storia.

Davanti alla scacchiera di Weber allora vengono fatti sedere Lenin e lo Zar, Don Chisciotte e Sancho Panza, un mafioso e la magistratura, buffoni e re, nobildonne, generali, prelati, papi dorati e mitrati senza l’odore d’incenso agitato dal turibolo.

A. Paul Weber, Helmut Schmidt e Leonid Brezhnev, 1980, litografia

E, giusto poco prima della morte dell’artista, avvenuta nel 1980, la litografia di Helmut Schmidt e Leonid Brezhnev (in piedi tra loro Jmmy Carter). Archetipi nei quali proiettare paure e desideri.

Gunther Nicolin, Schachspieler, 1988, copertina

Solo nel 1988 uscirà, in lingua tedesca, il libro di Günther Nicolin, A. Paul Weber, giocatore di scacchi. Nella prefazione il Grande Maestro Lothar Schmid, l’arbitro del match del secolo tra Spasskij e Fischer a Reykjavik nel 1972, racconta del suo incontro con l’artista: “Il gioco dei Re ci ha uniti, A. Paul Weber, l’artista invecchiato ma ancora estremamente vitale, e me, il giramondo e collezionista di scacchi. La nostra corrispondenza è iniziata nel 1976. Da tempo ammiravo i suoi dipinti e i suoi disegni, che hanno un’aura così forte, addirittura unica, ed ero anche riuscito ad acquistare da una fonte privata uno dei tipici disegni a penna e inchiostro con il motivo degli scacchi-arlecchini. […] Scrive che sta continuando la serie di scacchi iniziata nel 1937 e che intende nei prossimi mesi disegnare sulla pietra 40 o forse 50 immagini: Ce ne sono già un numero considerevole in attesa di essere trasferiti sulla pietra in fasi iniziali e schizzi a mano. […] È un compito meraviglioso al quale sto lavorando con grande piacere”.

Schmid riferisce anche di una seconda lettera in cui Weber afferma: “Nella casa di Ratzeburg (il Museo dedicato all’artista nel 1973, NdA) ci sono circa 60-70 temi sui giocatori di scacchi. Stanno aspettando e sarebbero felici di ricevere la vostra visita! Senza esagerare: il compito è così bello e così grande, probabilmente il più grande del mio lavoro”

A. Paul Weber, I fantasmi, 1976, litografia

Forse proprio per questa loro bellezza, per la loro capacità di interpretare e trasmettere messaggi diversi, sempre nuovi e a volte spiazzanti, gli scacchi sono immortali, come in una litografia dell’incisore tedesco in cui tra le tombe di un cimitero appena rischiarato da una luna velata due vecchi scheletriti continuano a giocare.


 

Claudio Mori, giornalista

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