Uno Scacchista

Annotazioni, Spigolature, Punti di vista e altro da un appassionato di cose scacchistiche

[R] Arrigo Boito e l’Alfiere Nero

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R I S T A M P A

(Adolivio Capece)
Arrigo Boito (Padova, 24 febbraio 1842 – Milano, 10 giugno 1918), come noto, fu l’autore, tra altri, dei libretti delle opere di Giuseppe Verdi ‘Otello’ (1887) e ‘Falstaff’ (1893), di un libretto per un’opera di Ponchielli, come vedremo meglio più avanti, e scrisse anche opere musicali (la più nota il “Nerone“, postuma) e il melodramma ‘Mefistofele’.

Nel 1861 si recò a Parigi dove conobbe Rossini, Berlioz e Verdi: per quest’ultimo scrisse il testo poetico dell’Inno delle Nazioni eseguito alla Esposizione Universale di Londra.
In Italia l’Inno alla gioia viene oggi spesso cantato usando l’adattamento in lingua italiana del testo di Schiller fatto proprio da Boito.
Nel 1912 fu nominato senatore del Regno.

Fu autore, inoltre, di un ‘romanzo scacchistico’ dal titolo “L’Alfiere nero” (1867): molti critici hanno affermato che tale racconto presenta qualche somiglianza con la storia del Moro di Venezia e anzi alcuni di loro hanno visto l’Otello come “una gigantesca partita a scacchi” (si veda l’articolo in fondo a questo testo).

Arrigo Boito era appassionato di scacchi (cosa forse dovuta al fatto che la madre era polacca: la contessa Jozefa Radolinska) e fu anche uno dei primi soci della Società Scacchistica Milanese quando questa fu fondata nel 1881.

Abbiamo già visto in un precedente ‘post’ relativo a Lasker il biglietto che scrisse all’editore Giulio Ricordi, il 24 aprile 1897, per disdire un invito a pranzo, preferendo prendere parte a quello organizzato in occasione della visita a Milano del campione del mondo di scacchi Emanuele Lasker.

Lo ripetiamo per comodità del Lettore.

E’ arrivato Lasker! O Giulio, quest’oggi dovevo pranzare a casa tua e – fatalità – arriva Lasker! Il campione del mondo di scacchi, sì, proprio lui! E mi è fatta violenza estrema per farmi desinare ad un desco dove lui, Lasker, sarà festeggiato. Lasker, il grande, parte domani e sarei vituperato se non pranzassi con lui! Perdon, perdono, perdonami! Mi inviterò a casa tua un altro giorno, o Giulio; oggi – ahimè – non attendermi. Pensa che c’è il Lasker a Milano!”

Boito nel 1881 fu uno dei più assidui spettatori del grande torneo che si tenne a Milano in occasione dell’Esposizione Nazionale. Poi divenne socio della Scacchistica Milanese, ma si sa che come giocatore Boito si limitava a partite con amici e conoscenti: dalle cronache su giornali milanesi dell’epoca sappiamo per esempio delle serate passate a giocare a scacchi con Giuseppe Giacosa e con Giuseppe Verdi, dopo cena mentre fumavano dei sigari regalati a Verdi dal tenore Tamagno (sembra però che Boito preferisse limitarsi a guardare gli altri due che giocavano).
Da ricordare che con Verdi Boito ebbe una relazione burrascosa; nel 1863 a un banchetto Boito aveva recitato l’ode “All’arte italiana”: quattro versi furono ritenuti ingiuriosi da Verdi, che non dimenticò mai l’offesa.
I rapporti migliorarono proprio solo nel 1881, grazie anche alla collaborazione nella revisione del “Simon Boccanegra”.

Come già detto, tra gli scritti ed i racconti nei quali Boito si cimentò, forse il più noto è “L’Alfiere Nero”, proprio a soggetto scacchistico, scritto nel 1867 e inizialmente pubblicato a puntate su riviste d’epoca. Ricordiamo solo l’inizio: “Chi sa giocare a scacchi prenda una scacchiera, la disponga in bell’ordine davanti a sé ed immagini ciò che sto per descrivere.
Il testo completo è reperibile e può essere letto su vari siti, per esempio qui (in pdf).

Dunque Boito era appassionato di scacchi, ma in realtà forse più di enigmistica…


Tobia Gorrio … un nome che probabilmente non dice molto ai nostri Lettori.
Le cose cambiano se diciamo che è l’anagramma del nome di Arrigo Boito, ideato dallo stesso poeta e musicista. Possiamo ora aggiungere che proprio con questo pseudonimo firmò il libretto della Gioconda di Ponchielli.
Come enigmista Boito fu soprattutto autore di ‘palindromi’, cioè frasi che si possono leggere da sinistra a destra e da destra a sinistra; un esempio semplice di frase palindroma da lui composta è: A essi do l’Odissea.

Con lo pseudonimo Tobia Gorrio collaborò ai ‘giochi enigmistici’ che dalla fine del 1871 occuparono l’ultima pagina della “Gazzetta musicale di Milano”, quasi sempre introdotti dalla rubrica “Posta della Gazzetta”, rivolta agli enigmisti e costituita di poche righe, di contenuto criptico e comunque priva di qualsiasi informazione di carattere musicale. Direttore-editore era Giulio Ricordi e i ‘giochi enigmistici’ furono introdotti quando appunto alla fine del 1871 come redattore-capo ad Antonio Ghislanzoni (1824-1893; dapprima cantante, poi brillante giornalista, romanziere e librettista) subentrò il critico e romanziere sardo Salvatore Farina (1846-1918).
Nel 1903 gli venne commissionata una pubblicità per il dentifricio Odol, molto diffuso all’epoca e che si caratterizzava per la colorazione nera e blu: ideò per l’occasione come slogan il fortunato palindromo Lodo l’Odol.

E almeno due versi palindromi li ideò per accompagnare il dono di un anello ad Eleonora Duse, con la quale ebbe una lunga relazione, durata undici anni, dal 1887 al 1898: E’ fedel non lede fè  / E Madonna annoda me.

Alla Duse dedicò anche un gioco di parole che potremmo definire ‘italo-francese’: In questo mese il raggio/dei vostri occhi mirai. /Letto in francese è il maggio/ma in italiano è un mai.

Un altro divertente gioco di parole con le note musicali venne realizzato nel 1882  da Boito con i versi che scrisse per l’inaugurazione del monumento a Guido d’Arezzo, il monaco vissuto nell’undicesimo secolo che con l’invenzione del sistema degli esacordi diede l’avvio alla notazione musicale moderna.

UTil di Guido REgola superna,
MIsuratrice FAcile de’ suoni,
SOLenne or tu LAude a te stessa intuoni;
SIllaba eterna!
(UT venne poi sostituito da DO, a sua volta sillaba iniziale di DOmine).

Quanto alla musica, ricordiamo che nel poemetto Re Orso (1864) Boito fa recitare ad un frate il miserere così: “Maùt maidrociserìm mangàm mudnùces, suèd ièm erèresim.” (Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam).

E infine non va dimenticata la pagina per pianoforte realizzata a palindromo: lo spartito dà infatti la medesima musica letto sia diritto sia capovolto, ovvero anche se ruotato di 180 gradi!



L’alfiere nero: Otello come partita a scacchi

di Angela Fodale

da: PROMETHEUS, Quindicinale di informazione culturale Direttore: Gianfranco Restivo
Anno I, numero 2. 25 giugno 2001

L’Otello di Shakespeare ha avuto la fortuna di avere due grandi trasposizioni in musica, quella di Rossini, che è stata forse l’opera più famosa dell’Ottocento, e quella di Verdi, che nel Novecento l’ha sostituita. L’idea di Otello fu proposta a Verdi da Ricordi, che gli fece mandare il libretto scritto da Arrigo Boito. In questa prima stesura il libretto era una traduzione in versi molto fedele al dramma shakespeariano, cui Verdi fece apportare, dallo stesso Boito, alcune sostanziali modifiche. Ciononostante il libretto di Otello resta un puro prodotto della fantasia di Boito, soprattutto per quanto riguarda una particolare interpretazione che di esso si può dare.

Otello è infatti una gigantesca partita a scacchi, articolata in diverse manches, in cui i personaggi si identificano ai pezzi sulla scacchiera e l’azione scenica si svolge in base alla logica delle mosse. Quasi sicuramente questa interpretazione di Otello non rientrò mai nelle intenzioni di Verdi, tanto è vero che le conferme di questa visione si trovano nel libretto più che nella musica e non se ne trova alcun accenno nell’epistolario tra Verdi e Boito. In quanto al compositore padovano invece la nostra “congettura può dar forma di prova a un altro indizio”: infatti nel 1867 Boito pubblicò un racconto, L’alfiere nero, in cui un bianco e un negro, rivali nella vita, si affrontano in una partita a scacchi che simboleggia il contrasto tra le due razze. Il negro, cosciente dell’importanza della posta in gioco, si immedesima tanto nell’alfiere nero da condividerne la tragica sorte. Questo racconto, che precede di parecchi anni la stesura del libretto di Otello, è una testimonianza dell’importanza che Boito attribuiva agli scacchi, in relazione ad una storia che presenta molte somiglianze con quella del moro di Venezia.

A sostegno di questa supposizione interviene in primo luogo la bicromia dell’opera, basata sul contrasto tra Otello e Desdemona. Inoltre Jago gioca contro il suo generale una partita in cui muove gli altri personaggi come pedine, in particolare Roderigo e Cassio, e bluffa con successo: infatti se Otello al II atto si accorgesse che quel fazzoletto di cui si parla lui l’ha appena visto…, ma Otello non se ne accorge e così l’audacia di Jago viene premiata.

Otello si può facilmente identificare con il re nero. Il ‘nero’ deriva naturalmente dal colore della pelle, e spesso sia in Shakespeare che nel libretto viene chiamato ‘moro’; in quanto alla condizione di re Otello ha una posizione di comando quasi assoluto su quanti lo circondano a Cipro, basti pensare che al suo solo apparire nel I atto il tumulto si placa improvvisamente e che nessuno osa mai opporsi alle sue decisioni. Ma non è solo un condottiero assimilabile a un re per il suo potere assoluto, e il potere non è solo un’emanazione del governo veneziano, ma gli appartiene come prerogativa intrinseca. Otello in Shakespeare si proclama “per nascita e sostanza, di stirpe regia“, dichiarazione di cui Boito ha certamente tenuto conto. Il re è però il pezzo più debole e vulnerabile della scacchiera, e la debolezza di Otello consiste non solo nel cadere nell’inganno di Jago, ma anche nelle sue crisi epilettiche.

Desdemona è certo la regina bianca. Sulla sua purezza, sul suo pallore si insiste per tutta l’opera, e in particolare nell’ultima aria di Otello: “E tu, come sei pallida, e stanca, e muta, e bella!“. Come una regina la riveriscono i ciprioti nel II atto e Jago la definisce “il duce del nostro duce“. È importante mettere in luce che Desdemona, diversamente dall’interpretazione tradizionale, non è un personaggio debole o di scarso rilievo, ma la regina, cioè uno dei pezzi più forti. Infatti in Shakespeare rimpiange di non essere un uomo per poter combattere come Otello, e in ogni caso i racconti delle battaglie non la spaventano, ma la affascinano.

Jago è un alfiere. Questo già per definizione: il suo grado è appunto di alfiere e così viene definito sia da Shakespeare che da Boito. È veneziano, quindi dovrebbe essere bianco. Ma si definisce anche “di sua moresca signoria l’alfiere”. Se Otello è il re nero, allora Jago in quanto alfiere di Otello deve essere l’alfiere nero. E certo se si considera la sua anima nera, non si può fare a meno di concludere per quest’ipotesi. Egli si pone in continuazione al servizio di Otello, ma anche di Cassio, Roderigo e Lodovico, che per la loro dichiarata fedeltà e ammirazione per Desdemona dovrebbero essere tutti pezzi “bianchi”. Come concludere allora se Jago debba essere considerato bianco o nero? Gioca contro la regina bianca o contro il re nero? L’alfiere è indubbiamente un pezzo ambiguo, come lo rappresenta Arturo Perez Reverte nel suo romanzo La tavola fiamminga. Quest’ambiguità deriva dal movimento obliquo che lo contraddistingue, paragonabile all’ipocrisia di Jago, che può insomma essere al tempo stesso l’alfiere bianco e quello nero, tanto che sarebbe interessante vestirlo con un costume totalmente bianco da una parte e nero dall’altra. Ma se si considerano il nero e il bianco come colori con una connotazione morale, legati al concetto di Bene e Male, è chiaro a quale schieramento appartenga Jago.

Oltre ad Otello, Jago userà, come strumento nella sua opera di distruzione e morte, Roderigo, che quindi appartiene al campo nero. Il giovane veneziano si lascerà trascinare fino alla morte del perfido alfiere, mentre invece Cassio riuscirà, magari solo per caso o per fortuna, a resistergli. Quest’ultimo rimane infatti saldamente schierato nel campo bianco, e la sua capacità di resistenza può dipendere dal fatto che non è solo una pedina come Roderigo, ma un pezzo di maggiore importanza, un cavallo. Infatti viene spesso chiamato scherzosamente da Jago “cavaliero”. Simili al movimento irregolare e sbilenco del cavallo sono di sicuro il carattere e il canto di Cassio, soprattutto nel I atto quando è ubriaco.

L’azione scenica e i rapporti tra i personaggi sono tutti ispirati alla logica del gioco. Jago “muove” gli altri personaggi e lo mostra dicendo “Vanne; la tua meta già vedo. Ti spinge il tuo dimone, e il tuo dimon son io, e me trascina il mio” o “Or qui si tragga Otello“. Jago muove anche fisicamente gli altri personaggi, ingiungendogli di entrare o uscire di scena, nascondersi o mostrarsi in modo da assecondare i suoi disegni. Un esempio può essere la prima parte del secondo atto, vero esempio di partita, con Cassio che si avvicina e si allontana da Desdemona, Jago che li spia dalla finestra, poi si allontana, ritorna alla finestra vedendo entrare Otello, lo fa avvicinare alla finestra, lo segue quando il moro fa per allontanarsi, poi gli sfugge… Tutto ciò avviene non solo nel dialogo tra i personaggi, ma anche nelle loro posizioni sulla scena, in modo da dare realmente vita ad una partita davanti agli occhi degli spettatori. Ogni volta che più di un personaggio è in scena insieme a lui, Jago va spostandosi tra l’uno e l’altro per tessere le sue trame. Questa caratteristica di Jago, non a caso antenato del Jolly del Jeu de cartes stravinskiano, è assente in altri personaggi negativi dei libretti di Boito, come Barnaba nella Gioconda o Mefistofele.

La partita a scacchi richiede abilità e mosse finte, fatte allo scopo d’ingannare l’avversario: “Non è tropp’arduo nodo pel genio mio né per l’inferno“, “S’anco teneste in mano tutta l’anima mia nol sapreste“.

Un elenco completo di tutti i passi di Otello che possono essere interpretati in questa chiave sarebbe possibile solo riproducendo per intero il libretto, ma questi esempi possono bastare a spingere il lettore a continuare su questa strada riascoltando l’opera o rileggendone il testo.

Otello è interamente impregnato della logica degli scacchi e ciò soprattutto per mano di Boito, anche se il cuore dell’opera resta il Credo, che il poeta riscrisse per espressa volontà di Verdi. Shakespeare accentua molto, forse anche più di Boito, la presenza del tema della lotta e quello dell’onestà apparente che si rivela un tradimento, ma non arriva a disporre il tutto sulla scacchiera come nell’opera, per quanto alcuni passi, come questa battuta di Jago a proposito di Cassio, “Non mise mai uno squadrone in linea; […] tutta la sua scienza militare è vana grammatica senza alcuna pratica“, potrebbero applicarsi anche agli scacchi. Inoltre in Shakespeare la presenza del castello, cioè la torre, è meno incombente che in Boito, grazie anche all’ambientazione del primo atto a Venezia. Nell’opera, invece, le mura, di cui si intravede sempre qualche pezzo, sono ossessivamente presenti: non c’è scena in cui non si ricordi che ci troviamo all’interno di un castello, quasi una prigione. Solo nell’ultimo atto la scena si svolge tra muri entro le mura, la camera di Desdemona è come un carcere dentro un carcere. A questo elemento del libretto di Boito si deve essere ispirato Orson Welles nel suo film Othello, mettendo in scena il dramma shakespeariano tra nude mura ciclopiche. La prima scena della pellicola ne anticipa la fine, mostrando il funerale di Desdemona e Otello e la punizione di Jago. Così al posto della struttura asimmetrica del dramma, con il primo atto a Venezia che si contrappone agli altri quattro, se ne crea una chiusa, ad anello, che accentua la sensazione di claustrofobia derivante dalla ricorrente presenza delle mura.

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1 thought on “[R] Arrigo Boito e l’Alfiere Nero

  1. Hola, buenas tardes:
    De nuevo otro extenso artículo e información de Dr. Adolivio Capece. Gran personalidad dentro de la rama de nuestro ajedrez. Mi felicitación !

    Gutiérrez Dopino, José María

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