L’Alfiere nell’araldica
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Raffigurazioni dell’Alfiere in Italia, L’Italia Scacchistica n.831, Gennaio 1975
(Roberto C.)
Il predecessore dell’Alfiere degli scacchi era l’Al-fil dello shatranj (arabo), derivante dal Pil del gioco persiano Chatrang, che significa “elefante”. “È stata unanimemente accettata dalla critica la funzione del pachiderma come componente del gioco degli scacchi. In India gli elefanti svolgevano un ruolo primario nella scacchiera. Gli Arabi conservarono il pezzo all’interno del gioco durante i primi secoli dopo l’avvento dell’Islam, per modificarlo successivamente in pezzi stilizzati che mantenevano solo le zanne.” [1]
[Nell’immagine di apertura, “Raffigurazioni dell’Alfiere in Italia” L’Italia Scacchistica n.831, Gennaio 1975]

L’elefante era un ‘componente abituale dell’antico gioco orientale e del tutto estraneo alla mentalità del giocatore europeo’; il pezzo raffigurato qui sopra è un antico Alfiere medievale del XII-XIII secolo dalla forma cilindrica arrotondata (a tronco di cono campaniforme) e dal classico profondo taglio tra le due protuberanze superiori a stilizzare le zanne dell’elefante, ‘che col tempo diventeranno, con il loro completo avvicinarsi, la nota forma della mitria vescovile (alfiere in inglese si dice bishop, cioè vescovo)’ [2].
La parte principale del poema medievale Versus de scachis (X-XI secolo) è dedicata ai pezzi (dai colori bianco e rosso) ed ai loro movimenti; questi i loro nomi: “rex, regina, rochus, eques, pedes e comites, ovvero i conti, ma più tardi anche curvus, cornutus, stultus, termini latini, di evidente estrazione europea per indicare l’attuale alfiere, che si troveranno con frequenza in antichi documenti scacchistici” [3] ed il termine cornutus potrebbe essere riferito alle zanne (?).


Il passaggio dell’antico gioco shatranj del mondo arabo al mondo medievale europeo ha portato dall’Al-fil al Bishop molto probabilmente perché il simbolismo del vescovo aveva un senso per la nobiltà europea; il termine “vescovo” entrò per la prima volta nella lingua inglese nel XVI secolo, con il primo esempio scritto che risale al 1560 [4], in islandese è chiamato “biskup” con lo stesso significato in testi risalenti alla prima parte del XIV secolo, mentre già i pezzi di Lewis (XII secolo) raffigurano l’Alfiere come una figura inequivocabilmente ecclesiastica per via del pastorale, il bastone dall’estremità ricurva e spesso riccamente decorata usato dal vescovo nelle cerimonie più solenni.
Molti secoli dopo le zanne erano ancora molto evidenti nei pezzi inglesi in stile Northern Upright, Calvert, S. George e Barleycorn, tutti precedenti agli Staunton che furono ideati nel 1849.

Non è chiarissimo se l’attuale pezzo per il gioco abbia mantenuto tale caratteristica, fatto sta che quel taglio obliquo sulla ‘bocca’ è grosso modo a metà strada tra le due zanne ed un elmo con la celata.

E non è un caso se questo pezzo degli scacchi viene chiamato con differenti termini dal significato molto diverso: Alfiere in lingua italiana, è il portabandiera delle insegne del casato, Fou in francese, è il folle giullare (il buffone di corte, il Jolly delle carte francesi ?), Läufer è corridore in tedesco (ma identico significato anche in norvegese, svedese, olandese e finlandese), e Bishop in lingua inglese, cioè il vescovo; conseguentemente, anche la sua raffigurazione simbolica sui diagrammi scacchistici fu molto diversificata al punto di essere rappresentato sulla rivista IL PUTTINO persino con un animale: l’aquila.
Certo non è facile immaginare che la chiesa abbia modellato la mitria del vescovo, un tipo di copricapo di forma allungata e bicuspidata che, oltre l’Al-fil, ricorda vagamente anche il Rocco bicuspide medievale, ovvero, la Rukh, l’antica Torre degli scacchi, più precisamente il ‘carro da guerra’ del suo predecessore shatranj.

Abbiamo già scritto su questo blog che tra gli elementi del gioco degli scacchi maggiormente presenti nell’araldica, ci sono la scacchiera e la Torre; oggi scriviamo dell’Alfiere, anche se “di rado si può garantire che il simbolo araldico abbia allusione scacchistica” avendo “lasciato scarsa traccia nel blasone” [5] ma del resto i simboli presenti sugli scudi araldici hanno significati quasi mai o raramente strettamente pertinenti al nostro amato gioco. Motivo per cui, questa volta, l’abbiamo presa larga…
L’araldica è il “segno di riconoscimento” dell’appartenenza di una famiglia, originariamente riprodotto sugli scudi e sui vessilli del cavaliere medievale sia in pace che in guerra; qui un paio di stemmi: uno con l’elmo con la celata e l’altro con la mitria vescovile: il Marchesato della famiglia Cholmeley di Eaton e quello degli Abbati di Carpi.
[1] ANEDDA D., L’elefante eburneo della Sala Islamica al Museo Nazionale del Bargello in OADI, Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia, Anno 3, n.5, giugno 2012, pp.12-24
[2] SANVITO A., Gli otto pezzi di scacchi delle Catacombe di San Sebastiano, Brescia, 1992, pp.121-125
[3] SANVITO A., Scacchi Manoscritti, Caissa Italia Editore, 2008, p.9.
[4] Informazione tratta dalla Piececlopedia, Online Etymology Dictionary
[5] G. A. Salvetti: “Scacchi ed araldica”, L’Italia Scacchistica, 15.7.1929, pp.217-221