Uno Scacchista

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La FIDE e l’essenza della battaglia tra Carlsen e Niemann

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Carlsen contro Niemann alla Sinquefield Cup 2022 (Foto di Lennart Ootes)

(Uberto D.)
Dopo Saint Louis, dopo le interviste di Niemann, dopo l’abbandono in due mosse e dopo le dichiarazioni di Carlsen, finalmente la FIDE batte un colpo e avvia i lavori di una Commissione d’inchiesta per stabilire una propria “verità” sulle dichiarazioni del Campione del Mondo (sono diffamazione o no?) e la condotta di Niemann (che ha ammesso di aver barato online).

La commissione di inchiesta della FIDE

La mossa della FIDE era attesa e inevitabile, ma onestamente non riesco ad immaginare quali potrebbero essere le conclusioni di questa indagine. Siccome l’eventuale interpretazione delle dichiarazioni di Carlsen come diffamatorie nei confronti di Niemann dipende dalla decisione sul fatto che lo statunitense sia un cheater o no, si direbbe che la commissione d’Inchiesta debba forzatamente lavorare su questo fronte.

I componenti della Commissione sono la criminologa lituana Salomeja Zaksaite (WIM e presidente della Commissione “Fair Play” della FIDE), il professor Vinzent Geeraets (dal dipartimento di Storia e Teoria della legge all’università Vrije di Amsterdam) e il tedesco Klaus Deventer (arbitro internazionale). I commissari avranno la facoltà di coinvolgere consulenti ed esperti esterni per accertare al meglio i fatti e addivenire ad una conclusione.

Come si intuisce, i tre membri della commissione non sono giocatori di altissimo livello, perché la questione viene trattata dal punto di vista strettamente legale e procedurale, lasciando ai consulenti le eventuali valutazioni tecniche e tecnologiche necessarie a stabilire se c’è stato cheating o no.

Le mie perplessità nascono da due osservazioni separate ma convergenti. La prima riguarda l’oggettiva possibilità di provare il cheating “ex-post”, ovvero dall’analisi delle mosse giocate, in maniera talmente certa da poter arrivare alla “prova provata”. La seconda considera le reazioni di una buona parte di Grandi Maestri ed esperti del gioco a tavolino, che basano le proprie conclusioni sulla comprensione di cosa vuol dire giocare a livello di super-GM e di Campione del Mondo.

Come provare il cheating con l’analisi delle partite?

Chiariamo subito un equivoco nel quale i meno esperti del gioco possono cadere: qui non si sta parlando di un giocatore di basso livello che riceve con continuità le mosse da giocare da un computer e quindi gioca nettamente al di sopra delle proprie capacità. Qui si sta parlando di Grandi Maestri, ai quali bastano pochissime indicazioni per cambiare le sorti di una partita, anche solo un paio di “dritte” che diano la valutazione di una posizione critica o che segnalino che in quella posizione c’è qualcosa di decisivo che vale la pena di cercare.

Quello che viene definito “smart-cheating” è difficilissimo da provare perché, di fatto, le mosse giocate dal GM in esame sono ovviamente alla sua portata e nessun algoritmo può identificare una particolare mossa o una sequenza di mosse come al di fuori dell’ordinario.

D’altra parte non esiste un’analisi oggettiva paragonabile agli esame del sangue e delle urine per gli atleti: la partita di scacchi è stata giocata e non c’è traccia residua, a meno che il giocatore incriminato non abbia addosso (o impiantato) un qualche dispositivo di calcolo o comunicazione. Ma anche in questo caso, la verifica va fatta immediatamente, perché solo la flagranza di reato può collegare la possibilità di barare con l’effettivo cheating.

Il prof. Ken Regan sulla copertina di Chess Life di giugno 2014

Su questa base, ho molti dubbi che le analisi del prof. Kenneth (Ken) Regan, riconosciuto super-esperto e autore dell’unico programma certificato dalla FIDE come in grado di emettere un verdetto affidabile sui casi di cheating, saranno in grado di provare qualcosa. D’altra parte, Regan ha già dichiarato che l’analisi delle partite di Niemann non ha portato ad alcuna indicazione che abbia barato.

Se altre analisi di tipo statistico sul medio periodo possono provare un’insolita abilità di un giocatore nel giocare ad alto livello, ciò non ha nessun valore nella partita singola e, nel caso di giocatori giovani in rapido miglioramento, forse neanche nel periodo di un anno (vi consiglio di leggere l’interessante analisi di Nate Solon: “Did Hans Niemann cheat?“).

Gli algoritmi che le piattaforme di gioco on-line utilizzano sono certamente in grado di scoprire giocatori di basso livello che giocano improvvisamente molto al di sopra delle proprie capacità basandosi non solo sulla qualità delle mosse, ma anche sul tempo impiegato per muovere e, nei casi più sofisticati, sullo stile del giocatore (ad esempio come spiegato nel mio articolo “L’identità di Rey Enigma (e non solo) è in pericolo?“), ma molto poco possono dire delle partite dei Grandi Maestri alla scacchiera, specialmente se il campione analizzato è molto ridotto, come nel caso di uno o due tornei.

Ma allora perché Carlsen sta accusando Niemann?

Se non è possibile basare le proprie certezze sull’analisi delle partite giocate, perché Carlsen è così convinto che Niemann abbia barato? Dico subito che nel mio ragionamento elimino la possibilità che il norvegese abbia perso il lume della ragione dopo aver perso con Niemann a Saint Louis. E’ una premessa per me fondamentale perché, al di là dell’irritazione per una sconfitta, Carlsen non ha mai attaccato gli avversari, anche quando ha perso con giocatori molto giovani (Esipenko e Duda per fare qualche esempio di partite a cadenza classica) e una sconfitta contro qualsiasi altro ragazzo in rapida ascesa (ad esempio Erigaisi o Gukesh) non avrebbe scatenato quella reazione. No, qui la questione è personale e legata proprio al cheating e non agli atteggiamenti spavaldi di Niemann (come l’ormai famoso “Chess speaks for itself“).

Che Niemann fosse un osservato speciale da parte di molti è risultato evidente dopo il ritiro di Carlsen da Saint Louis e ancora di più dopo l’abbandono alla seconda mossa durante la Julius Bear Generation Cup. Ricordo ai lettori che Niemann fu invitato a giocare la Sinquefield Cup solo pochi giorni prima del suo inizio, a causa dell’impossibilità di Rapport di andare degli Stati Uniti. Dopo il torneo, Nepomniachtchi ha dichiarato che, all’annuncio di questa sostituzione, aveva sollecitato gli organizzatori ad adottare misure anti-cheating più stringenti di quelle normalmente impiegate, in reazione evidente alla presenza di Niemann. Lo stesso Carlsen ha detto che aveva considerato di non giocare il torneo, pur decidendo poi di rimanere nella competizione.

Insomma, il passato di cheater online di Niemann (era stato squalificato due volte da chess.com) e i suoi risultati degli ultimi mesi avevano reso sospettosi molti giocatori di primo piano e la decisione di Carlsen di abbandonare il torneo è stata probabilmente solo la deflagrazione di una situazione che covava da molto tempo. Eppure, tutte queste premesse ancora non spiegano perché il Campione del Mondo, persona che ha anche maggiori responsabilità pubbliche rispetto agli altri giocatori, ha deciso di attaccare a testa bassa mettendo a rischio non solo la carriera di Niemann ma anche la propria credibilità. Proprio per il motivo che ho spiegato prima, Carlsen deve essere conscio del fatto che nessuno potrà provare che Niemann abbia barato durante la loro partita.

Ho discusso di questo aspetto con più di un giocatore titolato a livello internazionale e quasi tutti mi hanno spiegato che ci sono tanti, troppi segnali del fatto che Niemann non possa aver battuto Carlsen da solo. Si parla della qualità del giocatore Niemann, che durante i tornei di pochi mesi fa non era assolutamente al livello di poter impensierire Carlsen; si parla della decisione per certi versi incomprensibile di scartare una variante che avrebbe forzato la patta contro il Campione del Mondo, continuando a giocare in una posizione non necessariamente vincente; si parla della mancanza di emozioni nei momenti in cui sta per battere il Campione del Mondo (cosa fatta notare anche da Carlsen e che contrasta con il carattere sanguigno del ragazzo); si parla della impossibilità che, come egli stesso ha dichiarato, Niemann abbia ripassato la mattina prima della partita esattamente quella variante giocata da Carlsen, minore e anche strategicamente dubbia (scelta, probabilmente, proprio per gettare Niemann fuori preparazione) e si parla, ovviamente, della qualità incredibilmente povera dei commenti di Niemann nel dopo partita.

Sono tutte sensazioni che forse solo giocatori di alto livello possono notare ed apprezzare, ma che di sicuro non possono essere trasformati in prova inconfutabile.

E quindi verso cosa stiamo andando?

Il cuore di tutta questa vicenda sta nel fatto che il Campione del Mondo si è lanciato apertamente in una battaglia contro il cheating e, a mio personale parere, Niemann è stato solamente il detonatore, una sorta di vittima collaterale di qualcosa che sarebbe esploso prima o poi. Molti commenti da parte di allenatori e giocatori ad altissimo livello esprimono rispetto nei confronti di Carlsen per aver avuto il coraggio di “metterci la faccia”, di spendere la sua enorme credibilità in una battaglia difficile da vincere, ma fondamentale per mantenere la credibilità delle competizioni scacchistiche.

Sono convinto che, come a Saint Louis è stato adottato il ritardo di 15 minuti nella ritrasmissione delle mosse come misura anti-cheating solo dopo il ritiro di Carlsen, anche la FIDE sarà obbligata ad un cambio di passo dopo la presa di posizione del norvegese. Le modalità con le quali sfruttare lo “smart-cheating” sono sempre più abbordabili grazie ai progressi tecnologici che tutti sperimentiamo giornalmente: micro-trasmettitori, componenti plastici non riconoscibili dai metal detector, trasmettori impiantanti o temporaneamente installati nel corpo dei giocatori sono realtà, e c’è sicuramente altro che è anche difficile da immaginare (se non in un racconto di fantasia come il mio “Cheating or not cheating?“). La FIDE deve obbligatoriamente adottare strategie più aggressive e moderne, senza rimanere ancorata al controllo fisico all’ingresso della sala di gioco e alle analisi post partita. Deve definire misure per intervenire durante lo svolgimento delle partite e prevenire il cheating anziché cercare di scoprirlo a cose fatte.


Da un lato la FIDE dovrebbe coinvolgere l’equivalente degli hackers nel campo della cyber-sicurezza: esperti di tecnologie, di spionaggio, di comunicazione criptata… insomma di tutto ciò che può essere sfruttato per far arrivare al giocatore quel bit di informazione che gli basta per sapere cosa cercare e quando. Anche ipotizzando che sia impossibile avere con sè un motore scacchistico in sala di gioco (e già questo richiede controlli particolari), va impedita la comunicazione dalla sala di gioco al motore esterno e dal motore esterno al giocatore. Escludendo complici, per il primo aspetto il ritardo nella trasmissione delle mosse e l’assenza di spettatori sono una possibile soluzione (anche se dolorosa per gli appassionati), e nel secondo un jammer (ovvero un disturbatore di frequenze) mi sembra un buon punto di partenza non impossibile da considerare per i supertornei. Ci saranno sicuramente aspetti tecnici e legali da verificare ma, come dicono gli inglesi “where there’s a will, there’s a way” (“se c’è la volontà, c’è un modo”).


Insomma, secondo me la FIDE deve cominciare a prendere misure più incisive e se Carlsen e Niemann stanno in qualche modo combattendo una battaglia con la propria credibilità in gioco, il risultato sarà di importanza capitale per il futuro del gioco: ci dovremo rassegnare a convivere col dubbio di giocare non solo contro l’avversario alla scacchiera o potremo continuare giocare contando unicamente sul nostro talento e la nostra preparazione?

Voglio aggiungere anche che l’accondiscendenza con la quale viene da molti accettato che un ragazzo di 14 o 16 anni possa barare online (“è solo una bravata, un errore di gioventù“) è un pericolo altrettanto grande: questi ragazzi sono già giocatori di enorme forza, spesso MI o GM a quell’età e il loro cattivo esempio non può essere classificato come una semplice leggerezza. E’ chiaro che si deve dare sempre la possibilità di redimersi, ma insinuare il dubbio che sia moralmente accettabile barare per migliorare il proprio ranking o acquisire visibilità, tanto poi basta scusarsi con un’alzata di spalle, è un gravissimo errore secondo me.

Non so quale sarà l’esito del lavoro della Commissione d’inchiesta della FIDE, non so se Niemann verrà scagionato (come credo probabile) e non so se Carlsen verrà deferito (cosa possibile) o addirittura squalificato per diffamazione (cosa per me inimmaginabile). Spero solo che tra i risultati di quella inchiesta la FIDE troverà le motivazioni per impegnarsi veramente a fondo nella lotta contro il cheating.

Il recente caso nel poker competitivo (che ha molte similitudini sorprendenti con quello che è accaduto a Saint Louis) ha già visto una presa di posizione netta da parte degli organizzatori, che coinvolgeranno i migliori esperti in tecnologie e analisi psicologiche e comportamentali. Il poker muove un indotto economico enorme e i privati che lo governano hanno chiaramente tutto l’interesse ad eliminare lo spettro del cheating.

Voglio pensare che anche la FIDE abbia a cuore la credibilità degli scacchi più di ogni altra cosa e, più che cercare di dirimere una questione tra due Grandi Maestri, decida di affrontare con convinzione ed impegno ciò che sta minando quello che sta alla base del nostro gioco: la fiducia reciproca tra i giocatori.

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4 thoughts on “La FIDE e l’essenza della battaglia tra Carlsen e Niemann

  1. Finalmente un articolo equilibrato e argomentato, che affronta il comportamento di Carlsen con buonsenso e logica. Nessuno si meraviglia se un bravo meccanico capisce i problemi di un motore dal solo rumore che fa, ma c’è chi non crede che il Campione del mondo di scacchi, abituato ad allenarsi con il computer da decenni, possa avere gli strumenti per capire la natura del gioco del suo avversario.

  2. Solo per precisione, in Italia l’uso dei jammer non è legale, perché potrebbero disturbare le comunicazioni delle forze di polizia.

    1. Nulla però vieterebbe di far giocare i giocatori in un’aula schermata – come lo sono tanti “bunker” o persino reparti di radiologia degli ospedali (non che debbano giocare lì, ma si può attrezzare una stanza perché risulti schermata così).
      Una volta che l’aula schermata risulti anche insonorizzata, o si invoca la telepatia, o nessuno riceve aiuti dall’esterno via radiofrequenze o colpi di tosse in morse (che pure questo ho sentito invocare – nel 2020!).

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