Uno Scacchista

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Scacchi, hijab e una vita stravolta da una foto

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(Uberto D.)
Shohreh Bayat: sono sicuro che sapete chi è e come la sua vita sia stata stravolta un mese fa da una foto. Vorrei ripercorrere qui una vicenda che nella sua concretezza mostra come basti il “battito di ali di una farfalla in Brasile” (in questo caso una foto scattata a Shanghai in una Cina pre-Coronavirus) a “provocare un tornado in Texas“, ovvero stravolgere la vita di una persona a causa delle condizioni socio-politiche in Iran. [NdA: il riferimento è a Edward Lorenz, 1972]

Shohreh Bayat ha 32 anni ed è una figura importante nel movimento scacchistico iraniano e asiatico in generale. Oltre ad essere una giocatrice molto brava, Maestro FIDE femminile e miglior giocatrice iraniana per molti anni, è la migliore arbitra asiatica e a gennaio 2020 è stata l’arbitro principale del match mondiale tra Ju Wenjun e Aleksandra Goryachkina.

Ed è stato proprio un episodio durante il mondiale a causare lo stravolgimento della sua vita, non solo professionale. Come noto, in Iran vige l’obbligo di indossare lo hijab per le donne e questo obbligo è imposto anche quando, all’estero, partecipano ad un evento pubblico, come, appunto, il match mondiale che era in quel momento in svolgimento.

Durante la 3ª partita, Shohreh Bayat indossava chiaramente lo hijab (foto di Lewis Liu dal sito ufficiale del mondiale Ju-Goryachkina)

Nelle interviste rilasciate, Shohreh Bayat non ha fatto mistero di non gradire, come moltissime altre donne iraniane, questo obbligo ma che, gioco forza, lo aveva sempre rispettato. Le foto scattate nel corso dei vari tornei da lei arbitrati e anche in occasione delle prime partite del match mondiale la mostrano infatti con il capo coperto dal velo, in maniera più o meno completa. Essendo infatti un capo di vestiario che può intralciare alcuni movimenti, viene spesso indossato a coprire solo parzialmente i capelli.

La foto incriminata, dove Shohreh Bayat sembra non indossare lo hijab (foto di Lewis Liu dal sito ufficiale del mondiale Ju-Goryachkina)

E questo è stato il caso durante le mosse inaugurali della seconda partita del match, giocata il 6 gennaio a Shanghai. Il caso ha voluto che in una fotografia scattata e prontamente diffusa dai social media, la porzione posteriore del capo di Shohreh Bayat, dove era appoggiato lo hijab, non fosse visibile, dando l’impressione che la donna non lo stesse indossando.

Questa foto, scattata nello stesso momento di quella precedente ma da un angolo diverso, mostra chiaramente lo hijab (Foto di Zhang Yanhong dal sito ufficiale del match Ju-Goryachkina)

Quello che è successo è la combinazione letale del potere della comunicazione e del potere politico iraniano: la foto è stata ripubblicata più volte (oggi si dice che è diventata “virale“) in Iran, con commenti aspri e accuse per aver infranto l’obbligo e aver arrecato disonore alla nazione. La sorpresa e la costernazione di Shohreh Bayat devono essere state inimmaginabili (“Dopo aver visto la foto e quei commenti sono rimasta scioccata e ho cominciato a piangere: ormai ero considerata una criminale.” ha dichiarato al Sunday Times). Se vi sembra esagerata la sua reazione, pensate solamente che per questo tipo di reato è molto probabile finire in galera ed è certo che lo “stigma” le avrebbe reso impossibile viaggiare e comunque continuare la sua vita professionale, vista la concreta possibilità che le autorità l’avrebbero eletta a caso-simbolo. Oppure pensate a Nasrin Sotoudeh, avvocata e attivista iraniana militante per i diritti umani, che nel marzo del 2019 è stata condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate per “incitamento alla corruzione e alla prostituzione” e “commissione di un atto peccaminoso (…) essendo apparsa in pubblico senza il velo”

Tutto ciò che avevo realizzato, anche combattendo con la società prettamente maschilista iraniana, sarebbe stato cancellato e la mia stessa vita sarebbe stata in pericolo” ha dichiarato alla BBC. Shohreh Bayat ha cercato immediatamente di trovare una via di uscita dalla situazione, tenendo presente che in altre foto dello stesso giorno è chiaro che stava indossando lo hijab. Di fronte alla richiesta di firmare una dichiarazione di scuse e di accettazione dell’obbligo senza, in cambio, alcuna garanzia di impunità, si è vista costretta a prendere una decisione terribile: non rientrare in Iran, non rivedere più la sua famiglia e, anzi, esporla a rischi di reazioni da parte del governo.

Dal giorno successivo a questa decisione, la donna ha tolto definitivamente lo hijab, di fatto rendendo impossibile un ripensamento e, anzi, affermando chiaramente la sua sofferta scelta di libertà. Del suo dramma si è saputo solo in maniera ovattata, sia perché c’era in corso un mondiale, sia perché la stessa Shohreh Bayat ha voluto mantenere la situazione fuori dai riflettori mediatici visti i problemi che ciò avrebbe potuto creare ai suoi familiari.

Dalla 4ª partita in po, Shohreh Bayat non ha più indossato lo hijab (foto di Lewis Liu dal sito ufficiale del mondiale Ju-Goryachkina)

Una escalation inverosimile, generata, è vero, da un obbligo mai accettato dalla maggior parte delle donne iraniane, ma scatenata da una foto scattata da un angolo sfortunato e interpretata senza appello: quando si parla del potere immenso dei  media… E’ possibile che il tutto abbia solo fatto da detonatore in una situazione già tesa, ma sta di fatto che senza quella foto probabilmente non sarebbe accaduto nulla e lei sarebbe adesso in Iran con suo marito e la sua famiglia.

A distanza di giorni, Shohreh Bayat è a Londra, approfittando del visto che aveva ottenuto in precedenza per il torneo di Gibilterra. La comunità scacchistica inglese l’ha accolta calorosamente, come ha dichiarato al Sunday Times, ma di certo il visto ha una durata limitata e non le è chiaro quale sarà lo sviluppo futuro della sua vita. “Ovviamente vorrei tornare in Iran, ma non so se e quando sarà possibile. Uno piccola cosa può cambiare la tua vita per sempre…

Shohreh Bayat a Londra (foto di Ray Wells, dal Sunday Times)

Il rapporto tra l’Iran e gli scacchi è molto complicato e il caso di Shohreh Bayat è solo quello probabilmente più eclatante per l’inconsistenza della causa scatenante. Ripercorrendo gli ultimi anni, dal mondiale femminile di Teheran del 2017 (al quale decise di non partecipare Maryia Muzychuk proprio a causa dell’obbligo di coprire i capelli con il velo), ai vari episodi di forfait “obbligatorio” in caso di abbinamento con giocatori israeliani (come ad esempio alla Rilton Cup dell’anno scorso, al Grenke Open sempre del 2019 in cui fu protagonista Alireza Firouzja e agli ultimi campionati mondiali Juniores) è chiaro come le limitazioni imposte dalle autorità iraniane alla incredibilmente ricca schiera di forti giocatori cominciassero ad andare troppo strette a molti.

Sara Khademalsharieh (foto di Dmitry Ikumin, da Instagram)

Nel 2017 fu Dorsa Derakshani ad essere rimossa dalla squadra nazionale per non aver indossato lo hijab al torneo di Gibilterra (e in conseguenza di ciò la ragazza è emigrata in USA), poi, a dicembre 2019, l’eclatante decisione di Alireza Firouzja di abbandonare la federazione iraniana a causa del divieto di partecipazione al mondiale Rapid & Blitz come “ritorsione” al fatto che Parham Maghsoodloo e Amin Tabatabaei a Sitges avessero giocato nel torneo blitz contro due israeliani. E il 2020 ha visto subito l’espulsione dalla nazionale iraniana di Mitra Hejazipour, anch’ella rea di essersi tolta lo hijab, in questo caso al Mondiale Rapid & Blitz di Mosca, a cui è seguita la dichiarazione pubblica di Sarasadat Khademalsharieh (la più forte giocatrice iraniana al momento) di non giocare più in nazionale in chiaro segno di protesta (pur senza minacciare di emigrare): “Non capiscono, non capiscono. Le ragioni della mia decisione sono chiare a coloro che devono capirle; magari non vogliono riuscirci, ma il problema non sono io“.

Kimia Alizadeh (foto da Instagram)

E l’insofferenza verso l’atteggiamento delle autorità sportive iraniane non si limita agli scacchi. Ha fatto infatti scalpore la defezione di Kimia Alizadeh, medaglia di bronzo nel taekwondo alle Olimpiadi di Rio del 2016, che ha annunciato su Instagram di lasciare l’Iran: “Sono una delle milioni di donne oppresse in Iran (…) . Mi hanno portato dove volevano. Qualunque cosa dicessero, l’ho fatto. Ho ripetuto ogni frase che hanno ordinato. Ogni volta che lo ritenevano opportuno, mi hanno bloccato. Hanno messo le mie medaglie sul velo obbligatorio e le hanno attribuite alla loro gestione e capacità.” Frasi chiare e pesanti, diverse nella forma ma non nella sostanza da quelle di Sarasadat Khademalsharieh.


Difficile dire cosa riserverà il futuro alle donne iraniane. Benché assai seguiti oggi in Iran, non saranno probabilmente gli scacchi ad avviare, da soli, un processo di cambiamento di un sistema politico e culturale che, a seguito della rivoluzione islamica del 1979, ha modificato radicalmente la vita degli iraniani, con un impatto quotidiano che è difficile per noi occidentali capire fino in fondo. E’ auspicabile, però, che ogni piccola testimonianza e ogni piccolo accadimento, come quello che ha avuto un impatto così drammatico sulla vita di Shohreh Bayat, possa contribuire a provocare riflessioni e correzioni.

“Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza”
(Alan Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza, 1950)

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